menu start: Mon Oct 14 09:33:01 CEST 2024
menu end: Mon Oct 14 09:33:01 CEST 2024
La dinamica delle retribuzioni di fatto pro-capite nell’intera economia italiana ha accelerato sensibilmente nel 2022, attestandosi al +3,7% (dal +0,3% nel 2021), ed è attesa mantenersi su un ritmo medio annuo simile a questo nel corso del biennio di previsione (+3,0% nel 2023 e +3,6% nel 2024). In termini reali, tuttavia, il recupero si registrerà solo a partire dall’anno prossimo (+1,3%). Dopo il -6,2% cumulato nel biennio 2021-2022, che ha eroso completamente i guadagni registrati negli anni precedenti (+5,4% tra il 2015 e il 2020), le retribuzioni di fatto pro-capite reali quest’anno sono, infatti, attese in ulteriore calo (-3,1%), a causa del solo parziale rientro della dinamica dei prezzi al consumo.
La dinamica retributiva media nell’intera economia è il frutto di andamenti molto differenziati tra settori. In quello pubblico (circa un quarto del monte retributivo totale) anche nel 2023 la crescita salariale sarà sospinta dai rinnovi relativi alla tornata contrattuale 2019-2021. Sebbene questi si siano tutti conclusi nel 2022, l’effetto complessivo sulle retribuzioni contrattuali (+6% circa su base annua) si manifesterà in larga parte nel 2023, dato che gli aumenti sono arrivati in busta paga non prima dello scorso maggio, con la firma del rinnovo nel comparto “apri-pista” delle Funzioni Centrali (Ministeri, Agenzie Fiscali, Enti pubblici non economici), e da ultimo a dicembre in quello della Sanità. Gli arretrati, sempre relativi al triennio 2019-2021, sono stati invece pagati in tutti i comparti del pubblico entro fine 2022, per un valore intorno al +5% delle retribuzioni di fatto pro-capite, che tuttavia si manifesterà con segno opposto nel 2023. Dato questo effetto meccanico negativo a valere su quest’anno, che in parte spiazzerà l’impatto dell’avanzamento di stipendi tabellari e indennità, si stima che la dinamica complessiva per il pubblico impiego scenderà al +1,5% nel 2023 (dal +5,2% nel 2022) e si attesterà su un ritmo lievemente inferiore l’anno prossimo. Tale previsione ingloba gli effetti delle risorse stanziate dalla Legge di Bilancio 2023 per il pagamento di anticipi ai dipendenti pubblici, già da quest’anno, sulla tornata contrattuale 2022-2024 (i cui rinnovi non saranno verosimilmente conclusi prima del 2025).
Nel settore privato, la dinamica delle retribuzioni di fatto nel 2022 (+3,9%) è stata al di sopra di quella delle contrattuali (+1,0%) per effetto di svariati fattori, come l’allungamento degli orari di lavoro, il pagamento (specie nel 1° semestre) di premi di risultato per la buona performance economica nel 2021 e l’erogazione (specie nel 2° semestre e con un picco verso fine anno) di una tantum ed erogazioni di welfare, spesso specificatamente volte a sostenere il potere di acquisto dei lavoratori a fronte dei rincari (temporanei) nelle bollette energetiche.
Nel biennio 2023-2024, la dinamica salariale nel settore privato sarà sostenuta da un’accelerazione delle retribuzioni contrattuali, che si smorzerà solo più avanti, sulla scia del rientro dell’inflazione. Il meccanismo di aggiustamento dei minimi tabellari definito tra le parti sociali nel 2009 e confermato nel 2018 prevede, infatti, che al momento del rinnovo di un CCNL gli aumenti delle retribuzioni contrattuali nei tre-quattro anni di vigenza dell’accordo siano definiti sulla base dell’inflazione attesa, con adeguamenti ex-post per eventuali scostamenti con l’inflazione effettiva. L’indice dei prezzi preso a riferimento è l’IPCA al netto degli energetici importati (IPCA-NEI), come stimato dall’ISTAT con aggiornamenti annuali, diffusi tra fine maggio e inizio giugno. Questo meccanismo implica, in generale, che le retribuzioni contrattuali inglobino con ritardo eventuali pressioni inflazionistiche al di sopra delle attese. Nel caso specifico di questa crisi energetica, implica che le retribuzioni riflettano nell’immediato rialzi inferiori rispetto a quelli registrati dall’indice complessivo dei prezzi. Ciò almeno fintanto che è la componente energetica a tirare su l’inflazione. Quando però i prezzi dell’energia cominciano a diminuire, come sta avvenendo in questi mesi, la situazione si ribalta, perché l’IPCA-NEI può risultare più alto dell’IPCA totale. A conti fatti, questo meccanismo è come se “spalmasse” su più anni le fiammate inflazionistiche innescate dal rincaro dell’energia.
Prendendo questo meccanismo di aggiustamento a riferimento sia nell’industria sia nei servizi privati e assumendo che entro l’anno sia rinnovato il CCNL del commercio (in attesa di rinnovo da fine 2019), si prevede una dinamica delle retribuzioni contrattuali nel settore privato tra il +6 e il +7% cumulato nel biennio 2023-2024.
Le retribuzioni di fatto avanzeranno a un ritmo più elevato, stimato intorno a un punto percentuale in più, in virtù di emolumenti non continuativi, sia quest’anno (più probabili se sostenuti dall’estensione degli incentivi al welfare sui livelli del 2022), sia l’anno prossimo, anche grazie al previsto rafforzamento dell’attività economica.
La dinamica dei prezzi al consumo in Italia ha finalmente virato al ribasso a partire da dicembre 2022, scendendo al +9,1% annuo a febbraio 2023, un valore ancora molto elevato (Grafico 15). Ciò avviene dopo l’ascesa rapida nel corso del 2021 e 2022, fino a valori record (+11,8% a ottobre e novembre scorso). La variazione già acquisita per la media del 2023 è pari al +5,4%.
Nello scenario CSC, che incorpora un prezzo del gas stabile ai valori di inizio anno, l’inflazione continuerà a frenare durante tutto il 2023, arrivando poco sopra l’obiettivo del +2,0% a fine anno. In media, si attesterà al +6,3% (in calo da +8,1% nel 2022): si tratta di una revisione al rialzo di +2,0 punti rispetto allo scenario CSC di ottobre. Nel 2024, l’inflazione è attesa in ulteriore frenata, ma molto meno ampia rispetto a quest’anno, portandosi al +2,3% in media.
Questa previsione di un’inflazione in discesa, rapida quest’anno, più lenta nel prossimo, è basata sull’effetto netto di vari fattori, alcuni di segno opposto.
Il driver principale del ribasso nel 2023 è il progressivo venir meno (già iniziato a fine 2022) dell’impatto del precedente rincaro di petrolio e gas sulla variazione (a 12 mesi) dei prezzi al consumo energetici.
Il nuovo rafforzamento dell’euro sul dollaro (+8,1% annuo a marzo da ottobre 2022) alleggerisce in Italia l’inflazione “importata” tramite materie prime (e input intermedi) acquistati dall’estero. Questo tende a frenare la dinamica dei prezzi al consumo nel Paese. Per il 2023, l’ipotesi incorporata nello scenario CSC comporta un ulteriore apprezzamento dell’euro (+1,6%). Ciò amplia i benefici per i prezzi della prevista flessione delle quotazioni di petrolio e gas.
I dati qualitativi mostrano che le attese dei consumatori italiani sui prezzi sono divenute “ribassiste” da fine 2022, fino a un minimo di -9 a febbraio 2023 (saldo delle risposte, sui 12 mesi), dopo che erano salite a un picco di +51 a marzo dello scorso anno, sulla scia della guerra in Ucraina. Anche le attese delle imprese industriali sui propri prezzi di vendita si sono decisamente moderate da ottobre 2022, con il ribasso del gas, ma restano “rialziste”: +18 a febbraio 2023, da un picco di +54 nell’aprile 2022. Negli ultimi mesi, quindi, si è creata una forbice tra le aspettative di famiglie e imprese, che avvalora l’ipotesi che i prezzi core continueranno a essere sostenuti mentre il totale rallenta.
La domanda dei consumatori si era molto rafforzata nella parte centrale del 2022, ma si è di nuovo indebolita a fine anno ed è stimata fragile in avvio di 2023. Inoltre, l’attività economica in alcuni settori dell’industria è stata frenata dallo shock energetico nel 2022. Ciò potrebbe contribuire a moderare gli effetti di second round dei precedenti rincari di energia e altre commodity sui prezzi domestici.
Negli ultimi mesi, come previsto dal CSC, risentendo con il tradizionale ritardo delle pressioni inflazionistiche a monte, la dinamica dei prezzi core (esclusi energia e alimentari) in Italia ha continuato gradualmente ad accelerare, arrivando al +4,9% annuo a febbraio. La dinamica di questi prezzi resta più bassa in Italia rispetto all’Eurozona (+5,6%). Questo riflette il fatto che in Italia le imprese hanno inizialmente assorbito di più nei propri margini i rincari delle materie prime e ora il trasferimento a valle è ritardato rispetto agli altri partner europei. Per questo, si ipotizza che l’inflazione di fondo in Italia resti su ritmi significativi sia nel 2023, che nel 2024.
In Italia, la dinamica dei prezzi è salita molto per i servizi: +4,4% annuo a febbraio 2023 (da +1,8% un anno prima). I rincari nei servizi di trasporto, che risentono più direttamente del costo dei carburanti, si stanno moderando, pur restando ancora elevati (+6,3% da un picco di +8,9%). Viceversa, continuano a rincarare i servizi ricreativi-culturali (+6,1% da +4,6%) e quelli dei servizi relativi all’abitazione (+3,4% da +1,5%).
I prezzi al consumo dei beni industriali hanno accelerato ancora di più: +5,6% a febbraio, da +1,1% un anno prima. I maggiori rincari si registrano per i beni non durevoli (+7,0% da +1,0%). Tale dinamica ha seguito al rialzo, con qualche ritardo e con un ritmo inferiore, quella dei corrispondenti prezzi alla produzione per i beni di consumo (+12,0% annuo a dicembre 2022, sul mercato interno). Il persistente differenziale tra questi prezzi (al cancello della fabbrica e alla cassa del supermercato) sembra riflettere una lieve erosione dei margini nelle attività di distribuzione al consumatore, che quindi “assorbono” parte dei rincari.
Per l’aggregato della manifattura, i dati su costi e margini fotografano una prima moderazione del costo degli input a fine 2022 (-0,5% nel 4° trimestre), dopo il fortissimo aumento registrato da fine 2020 (+30,8% al 3° trimestre 2022), a causa dei rincari delle commodity soprattutto energetiche. A fronte dei maggiori costi, le imprese italiane hanno progressivamente rialzato i prezzi di vendita: +22,7% da fine 2020; tale rialzo è stato concentrato soprattutto nella prima parte del 2022, per il caro-energia, mentre ha rallentato negli ultimi due trimestri. Il risultato netto è che i margini operativi delle imprese hanno recuperato a fine 2022, ma restano erosi, in aggregato: -1,4% in media nel 2022 (Grafico 16).
L’aumento dei prezzi di vendita delle imprese italiane è più pronunciato per i beni intermedi (+12,6% annuo a dicembre), rispetto a quelli di consumo e, soprattutto, rispetto a quelli strumentali (+7,5%). Per questo e per il diverso peso dei costi delle materie prime nei vari settori, l’andamento dei margini industriali nel 2022 non è stato uniforme. Tendono, naturalmente, ad essere più sotto pressione i settori in cui è maggiore l’incidenza dell’energia sui costi totali (si veda il Focus 5).
I prezzi energetici al consumo in Italia stanno rallentando in misura significativa (+28,2% annuo a febbraio 2023, da un picco di +71,1% a ottobre 2022), sebbene non rapida come il crollo del prezzo internazionale del gas. Questa frenata spiega interamente la riduzione dell’inflazione totale in tale periodo (il contributo dell’energia è sceso a 2,8 punti, da un massimo di 7,2; ovvero, al 31% dell’inflazione dal 71%). I prezzi dell’energia in Italia (carburanti per i trasporti, elettricità e gas per la casa) stanno seguendo, infatti, il ribasso di petrolio e gas con un breve ritardo. Così come avevano seguito i rincari precedenti, anche se l’intensità degli aumenti al consumatore finale è stata smussata dagli interventi di policy.
Nello scenario CSC, nel 2023 il Brent, tradotto in euro, scende del 19%, mentre il gas del 57%. Nel 2024, il petrolio registrerà un ulteriore calo del 6%, mentre il gas è ipotizzato costante. In questo contesto, la variazione a 12 mesi dei prezzi energetici al consumo in Italia continuerà a rallentare gradualmente nel corso del 2023: a fine anno dovrebbe scendere vicino allo zero. Nel corso del 2024 la dinamica dei prezzi energetici finali dovrebbe divenire di poco negativa.
I prezzi alimentari hanno accelerato molto e, a differenza di quelli energetici, non stanno frenando (picco di +13,2% annuo a febbraio 2023). Dalle materie prime alimentari (in particolare le quotazioni dei cereali) è venuta una forte spinta al rincaro nella prima parte del 2022 e la successiva moderazione è stata parziale, non repentina come avvenuto per il gas.
In base all’ipotesi CSC di una flessione limitata per le commodity agricole nella media del 2023 e poi di un andamento quasi piatto nel 2024 (quindi su livelli ancora elevati), la dinamica dei prezzi al consumo alimentari in Italia dovrebbe rallentare progressivamente nel corso del 2023, tendendo ad azzerarsi entro il prossimo anno. Dunque, il contributo dei prezzi alimentari all’inflazione totale (pari al momento a 2,4 punti) dovrebbe via via scemare nell’orizzonte previsivo.
L’inflazione nell’Area euro è stimata dalla Commissione europea a +6,1% nel 2023 e a +2,6% nel 2024. Quindi, la dinamica dei prezzi in Italia dovrebbe risultare poco sopra quella dell’Eurozona nel 2023 (+0,2 punti). Nel 2024 dovrebbe aversi invece un differenziale negativo, con l’inflazione italiana più bassa (-0,3 punti).
Lungo tutto il 2022 è rimasto un ampio e inedito divario tra l’inflazione misurata sui prezzi al consumo e il deflatore dei consumi delle famiglie, stimati dall’ISTAT con metodi diversi. La prima è stata costantemente più alta: +0,7 punti percentuali nel 4° trimestre. Il motivo risiede nei cambiamenti in corso d’anno nelle abitudini di spesa delle famiglie italiane che, a fronte del balzo dei prezzi, si sono spostate, soprattutto quelle meno abbienti, verso acquisti di beni meno costosi (discount): ciò non viene colto dal NIC, calcolato su un paniere di beni e servizi fissato a inizio anno.
Il deflatore del PIL in Italia (che è calcolato a partire dal deflatore dei consumi), nello scenario CSC registrerà nel 2023 una dinamica (+4,3%) decisamente più bassa di quella dei prezzi al consumo; ciò anche per effetto delle minori variazioni dei prezzi delle altre componenti della domanda. Nel 2024, il deflatore del PIL (+2,0%) resterà, di poco, più basso rispetto all’inflazione: il gap tra prezzi al consumo e deflatore dei consumi è atteso quasi annullarsi, l’andamento dei prezzi delle altre componenti resterà più contenuto.
Il Clup nel manifatturiero italiano è cresciuto del +4,7% nel 2022, più che in altre economie europee (+3,6% nell’industria tedesca, +3,8% in quella francese, +2,1% in media nella UE-27). A fronte di una dinamica più contenuta del costo del lavoro per ora lavorata (+2,9% contro il +4,4% in Germania), la competitività dell’industria italiana è stata penalizzata da un più ampio calo della produttività (-1,7%).
Il deterioramento della competitività in termini di Clup nel 2022 ha eroso, ma non annullato, il miglioramento registrato dal 2015 rispetto ai principali competitor europei, che rimane significativo sia rispetto a Germania e Francia sia, e ancor più ampio, rispetto alla Spagna. Quest’ultima penalizzata soprattutto dalla dinamica della produttività del lavoro, già in calo prima della crisi pandemica (Grafico 17).
Nel biennio 2023-2024 il Clup in Italia sarà spinto verso l’alto dal rafforzamento della dinamica salariale, che avverrà un po’ in ritardo rispetto alla fiammata inflazionistica, anche in virtù del meccanismo di aggiustamento delle retribuzioni contrattuali descritto sopra. Per contenere il rialzo del Clup sarà, quindi, cruciale l’andamento della produttività, che tuttavia è attesa in espansione solo l’anno prossimo, condizionatamente al manifestarsi dei primi effetti degli investimenti e delle riforme attuati con il PNRR.