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I consumi delle famiglie italiane rimarranno quasi fermi in media d’anno nel 2023: +0,2% la crescita stimata dal CSC, al di sotto del trascinamento dal 2022 (+0,4%). Il calo della spesa delle famiglie iniziato nell’ultimo quarto dell’anno scorso è, infatti, atteso proseguire anche nella prima parte del 2023, seppur in maniera meno intensa. Sulla scia della discesa dell’inflazione e, al tempo stesso, della ripresa dell’attività economica, i consumi torneranno a crescere nella seconda metà dell’anno, e continueranno a farlo con un po’ più di slancio nel 2024 (+1,4%). Il biennio di previsione si chiuderà con una spesa delle famiglie ancora sotto i livelli del 2019 (-0,4%).
Nel 2022, nonostante l’impennata dell’inflazione, la spesa delle famiglie ha registrato un cospicuo, e largamente inatteso, +4,6% in media d’anno. La dinamica trimestrale, tuttavia, è stata molto discontinua. Dopo un 1° trimestre negativo (-1,1%), nel 2° e nel 3° trimestre dello scorso anno la spesa per i consumi ha registrato un forte rimbalzo (+2,1% e +2,2%) soprattutto nella spesa per i servizi.
La buona performance è derivata da una significativa diminuzione della propensione al risparmio (7,1% nel 3°), scesa sotto i livelli pre-pandemici (8,0% in media nel 2019). Ciò ha sorretto i consumi insieme alla sostanziale tenuta del reddito disponibile delle famiglie in termini reali fino al 3° trimestre (-0,3 nei primi tre trimestri, rispetto al 2021; Grafico 2).
L’extra-risparmio accumulato fino a metà 2022 (126 miliardi stimati dal CSC) ha svolto un ruolo essenziale nella parte centrale dello scorso anno, per poi venir meno alla fine dell’anno, per effetto del ridimensionamento delle risorse spendibili dalle famiglie conseguente all’erosione dei redditi da parte dell’inflazione, che ha raggiunto il picco a ottobre e novembre. Ne è derivato un forte calo dei consumi nel 4° trimestre (-1,6%), in particolar modo dei beni durevoli (-1,9%) e dei servizi (-1,5%), questi ultimi scoraggiati anche dai prezzi in salita nel comparto.
Il ripiegamento ha interessato anche i beni non durevoli (-1,3%), più colpiti dal caro-energia e in diminuzione per il terzo trimestre consecutivo. Il peggioramento è legato alla flessione del reddito disponibile reale nel 4° trimestre, che porta la sua variazione annua poco oltre il -1,0% rispetto al 2021 (stime CSC, si veda il Focus 1).
Le informazioni congiunturali confermano che un ulteriore indebolimento della domanda dovrebbe materializzarsi nei primi mesi dell’anno. Con qualche oscillazione a livello mensile, il clima di fiducia a inizio 2023 si mantiene ancora al di sotto della media pre-pandemica (104,0 a febbraio da 110,9 in media nel 2019), anche con riferimento ai giudizi sulla situazione personale e sul clima economico, nonostante si sia arrestato il deterioramento delle valutazioni dei consumatori proseguito lungo tutto il 2022.
Secondo l’indagine della Commissione europea, anche i giudizi sull’opportunità di effettuare acquisti di beni durevoli nei prossimi dodici mesi sono scesi su livelli prossimi ai minimi del 2020.
L’andamento delle vendite al dettaglio (di beni), nonostante il miglioramento congiunturale nel periodo più recente, fornisce ulteriore supporto allo scenario di prosecuzione (nel breve termine) della fase di debolezza dei consumi. I volumi delle vendite, infatti, si attestano su livelli significativamente inferiori a quelli dello scorso anno (96,8 a gennaio rispetto a 102,1 nel 1° trimestre 2022). L’indicatore elaborato da Confcommercio (ICC) segnala per febbraio un valore ancora molto inferiore a quello del 2019 (-8,2%, -19,3% per i servizi).
Le pressioni inflazionistiche sui beni alimentari e sui servizi hanno spinto verso una diversa composizione della spesa delle famiglie maggiormente indirizzata verso prodotti meno costosi. Ciò riguarda soprattutto le fasce di reddito meno abbienti, più colpite dall’inflazione (+18,4 annuo nel 4° trimestre 2022 per il quintile di reddito più basso, contro il +9,9% del quintile di reddito più alto).
I comportamenti dei consumatori, dunque, saranno prudenti nel 2023, specie a inizio anno. Tuttavia, nel corso del 2023 (e poi nell’anno successivo) i consumi potrebbero recuperare, con l’attesa discesa dell’inflazione, e la sostanziale stabilità del reddito totale reale, prevista nel 2023.
Nello scenario CSC, la debolezza dei consumi nella prima parte del 2023 riguarderà sia i beni durevoli, più sensibili al ciclo economico e alle condizioni di finanziamento, sia i servizi, che risentono maggiormente dell’andamento dei salari reali.
La ripresa dei consumi attesa per la seconda parte del 2023, legata al rientro dei prezzi, si rafforzerà nel 2024, favorita anche da una dinamica del reddito disponibile reale positiva, per effetto della ripresa dell’economia e dell’occupazione.
Gli investimenti fissi lordi sono previsti crescere poco nella media del 2023 (+0,2%), un dato che nasconde però un avvio molto debole e una successiva ripresa. Proseguiranno più speditamente nel 2024 (+2,0%). Alla fine dell’orizzonte di previsione, comunque, il flusso di investimenti sarà del +22% più alto rispetto al pre-Covid (oltre 70 miliardi di euro).
Nel 2022 gli investimenti hanno continuato a guidare la crescita italiana (+9,4%), sebbene con uno slancio quasi dimezzato rispetto al 2021 (+18,6%). A crescere, in particolare, sono stati ancora gli investimenti in costruzioni, soprattutto nella prima parte dell’anno (+4,4% nel 1° trimestre, +1,0% nel 2°) e, dopo una pausa nel 3° (-2,2%), sono tornati a salire nell’ultimo trimestre (+1,7%), soprattutto grazie alla crescita nel comparto dei fabbricati non residenziali (+3,0%, +0,5% invece gli investimenti in abitazioni). Ha influito la corsa al Superbonus, che era in scadenza a fine 2022 nella misura del 110%. Comunque, anche la componente relativa a impianti, macchinari e mezzi di trasporto ha attratto un ammontare elevato di investimenti (+8,5% annuo).
Questi andamenti positivi si sono avuti nonostante il contesto non favorevole a causa dei rialzi dei tassi, dell’aumento dei costi e delle prospettive non positive della domanda e grazie soprattutto ai numerosi incentivi fiscali introdotti dal Governo.
Dalle informazioni congiunturali relative al 4° trimestre 2022, in cui gli investimenti hanno proseguito in aumento di +2,0%, si ricavano segnali di miglioramento del sentiment imprenditoriale. Anche nei mesi più recenti il clima di fiducia delle imprese ha continuano a crescere (109,1 a febbraio da 106,5 del 4° trimestre). L’effetto di trascinamento per l’anno in corso (+1,8%) evidenzia una dinamica degli investimenti di gran lunga più rilevante rispetto ai consumi, anche se si prevede un forte rallentamento per tutto l’orizzonte di previsione.
Dalle indagini di Banca d’Italia, infatti, emerge come la quota di imprese che si aspetta di accrescere gli investimenti nel prossimo semestre sia in calo (20% da 25,2% in media nel 2021; 21,2% nelle costruzioni da 25% nel 2021), sebbene storicamente elevata (Grafico 3). Anche la percentuale di imprese che si attende un miglioramento nelle prospettive di domanda, sebbene in ripresa nell’ultima rilevazione, è scesa al 10,4 rispetto a una media nel 2021 di 41,6.
Due fattori contribuiscono a un ridimensionamento degli investimenti:
1) il graduale venir meno di alcune agevolazioni fiscali in campo edilizio, che riporterebbero in negativo l’andamento del comparto quest’anno (-0,9%), per la flessione degli investimenti in abitazioni (-3,1%) solo in parte compensati dalla crescita di quelli in fabbricati non residenziali (+1,5%), in aumento anche grazie ai fondi stanziati dal PNRR (più positiva, invece, la prospettiva di crescita del comparto dei macchinari, previsti aumentare di +1,2% nel 2023);
2) condizioni di finanziamento più stringenti, come mostrato dalle indagini di Banca d’Italia relativamente alle attese sul credito, da cui emerge che è aumentata la quota di imprese che prevede un peggioramento nelle condizioni di accesso al canale creditizio (-18,6% il saldo netto nel 4° trimestre 2022, da -7,1% nel 1°).
I vincoli al credito sarebbero meno sfavorevoli alle decisioni di investimento nel 2024, grazie all’allentamento della stretta monetaria nell’Eurozona (si veda il par. 7).
Nel 2022 l’attività produttiva delle imprese industriali è aumentata di +0,4% rispetto al 2021. Nel biennio di previsione la produzione è attesa in modesta crescita, sebbene con una forte eterogeneità tra i comparti industriali.
La produzione industriale italiana, in base ai dati mensili, ha superato i livelli pre-Covid di +2,1% (gennaio 2023 rispetto a dicembre 2019), meglio rispetto agli altri partner europei: la Germania mantiene un divario negativo di -1,7%, la Francia di -3,7% e la Spagna ha chiuso il gap (0,0%).
La dinamica in Italia, tuttavia, è stata caratterizzata da una notevole volatilità su base trimestrale: dopo il calo nel 1° trimestre (-1,0%), l’attività produttiva è cresciuta nel 2° (+1,0%), per poi tornare a scendere nel 3° (-0,6%) e, soprattutto, nel 4° (-1,4%) quando si è fatto sentire maggiormente l’impatto dei rincari dell’energia. E anche da una significativa eterogeneità tra i diversi raggruppamenti industriali coerentemente con la natura dello shock energetico che ha contraddistinto il 2022 e che ha colpito in maniera disomogenea la struttura produttiva. Il ridimensionamento della produzione industriale è stato marcato nei settori più energivori, che risentono di più dei rincari energetici (si veda il Focus 2). In particolare, il settore energetico ha registrato un calo significativo sia nel 1° trimestre (-3,2%), sia nella seconda metà del 2022 (-3,6% nel 3° e -5,9% nel 4°); su base annua il calo risulta pari a -1,3%. Anche i beni intermedi hanno visto una dinamica simile, in flessione in media d’anno di -2,4% (Grafico 4).
La moderata flessione congiunturale registrata a gennaio (-0,7%), segnala un ridimensionamento congiunturale dell’attività produttiva delle imprese italiane e riflette la debolezza del quadro economico.
Segnali positivi provengono dalle indagini qualitative. Il PMI manifatturiero a gennaio ha superato la soglia di espansione (50,4 da 48,5 di dicembre) e ha continuato a salire a febbraio (52). Anche secondo i giudizi derivanti dai direttori degli acquisti delle imprese dei servizi le condizioni sono diventate più favorevoli (51,2 a gennaio da 49,9 di dicembre, 51,6 a febbraio). Inoltre, il clima di fiducia delle imprese manifatturiere a gennaio è cresciuto a 102,8 da 101,6 del mese precedente, rimanendo poi stabile a febbraio.
Questi andamenti discordanti riflettono il ciclo economico particolarmente altalenante. Alcune indicazioni segnalano prospettive produttive più positive di quanto emerso nell’ultima parte del 2022, come mostra per esempio il miglioramento nei giudizi e nelle attese delle imprese della manifattura sulla produzione e sugli ordini (Grafico 5). Altre indicano, però, lentezza nella ripresa, posticipando alla fine dell’anno in corso, se non al 2024, una crescita più vigorosa, quando la discesa dei prezzi dell’energia, il rientro delle pressioni inflazionistiche e il venire meno dell’impatto negativo ritardato del rialzo dei tassi sulle variabili reali (si veda il Focus 3) potranno dare più impulso all’attività industriale.
Nello scenario CSC, le esportazioni italiane di beni e servizi, dopo la forte espansione nel 2022 (+9,4%), rallenteranno bruscamente al +1,6% nel 2023 e +2,3% nel 2024, tornando sui ritmi medi di crescita del periodo pre-Covid.
Le importazioni, cresciute in doppia cifra nel 2022 (+11,8%), registreranno una frenata ancora più accentuata, al +1,9% nel 2023 e al +2,2% nel 2024.
Il rallentamento delle vendite all’estero è dovuto all’indebolimento del contesto internazionale, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. La frenata della domanda interna, specialmente per investimenti, e delle stesse esportazioni, porrà un freno alle importazioni che, quest’anno, avranno comunque una dinamica superiore all’export.
Molto positiva, nell’ultimo anno, la performance dell’export di beni, nonostante la forte incertezza del contesto internazionale, generata dall’invasione russa in Ucraina e dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina, e le persistenti strozzature lungo le supply chain internazionali.
Le imprese esportatrici italiane hanno dimostrato grande resilienza agli shock e capacità di cogliere le opportunità generate dalle condizioni eterogenee e in veloce cambiamento nei mercati internazionali, facendo leva su alcuni punti di forza strutturali: una base manifatturiera rafforzata, una profonda diversificazione nei prodotti e lungo le filiere internazionali di produzione, un miglioramento competitivo nei costi e, soprattutto, nella composizione qualitativa dell’export (si veda il Focus 4).
Hanno giocato un ruolo importante anche fattori temporanei, come il deprezzamento dell’euro che ha spinto le vendite italiane soprattutto nei mercati extra-europei, e la performance eccezionale di alcuni settori, come il farmaceutico e i prodotti petroliferi raffinati, connessa alle attuali emergenze (produzione di farmaci anti-Covid, riduzione delle forniture russe).
Nel complesso, la crescita delle vendite italiane all’estero è stata maggiore di quella degli altri principali paesi europei e della propria domanda potenziale, cioè dell’aumento delle importazioni nei paesi di destinazione dell’export italiano. Nel 2022 l’export di beni italiano si è avvicinato ai 600 miliardi di euro, superando ampiamente, anche in volume, i livelli pre-Covid del 2019.
In prospettiva, la domanda potenziale è attesa rallentare fortemente nel biennio previsivo, per la frenata degli scambi mondiali e soprattutto di quelli in Europa e USA, che sono destinazione della maggior parte delle vendite italiane all’estero. La domanda debole e l’esaurirsi dell’effetto del cambio (che è risalito dai minimi di fine settembre ed è ipotizzato stabile nello scenario CSC) limiteranno la dinamica dell’export di beni nel biennio previsivo (Grafico 6).
L’export di servizi ha compiuto un balzo del +28,4% nel 2022, a prezzi costanti, colmando interamente il gap che ancora lo separava dai livelli pre-Covid.
È stato sostenuto dal forte rimbalzo dei viaggi internazionali, tornati anch’essi sui valori del 2019: +83,2% i flussi in entrata di turismo estero e +79,5% quelli in uscita di turismo italiano all’estero. Il surplus alla voce “viaggi”, nella bilancia dei pagamenti, è così tornato ai livelli precedenti la pandemia (oltre +17 miliardi di euro; Grafico 7).
Anche l’export di servizi di trasporto è risalito sui livelli pre-Covid, sebbene in questo comparto abbia giocato un ruolo rilevante l’aumento dei prezzi (connesso a quello dei carburanti). I maggiori costi hanno inciso soprattutto dal lato dell’import (per esempio, nei noli marittimi), anche a causa della perdita di quote di mercato dei vettori italiani. Di conseguenza, si è ampliato il deficit nel settore dei trasporti (da -10 miliardi nel 2019 a oltre -17 miliardi nel 2022).
Infine, i flussi negli altri servizi (alle imprese, finanziari, informatici ecc.) hanno registrato una risalita più veloce, tornando sopra i livelli pre-Covid già a inizio 2021 e mostrando una crescita in linea con quella dell’export di beni.
Nello scenario CSC, l’export di servizi, pur avendo esaurito la fase di recupero con tassi di crescita a doppia cifra, registrerà un’espansione robusta nel biennio previsivo (sopra al +3% medio annuo), anche grazie alle buone prospettive per il turismo.
Il balzo dei prezzi delle materie prime energetiche e di altre commodity e, allo stesso tempo, l’indebolimento dell’euro, hanno provocato fortissimi rincari dei prezzi (in euro) delle commodity importate e di conseguenza un netto peggioramento delle ragioni di scambio italiane (il rapporto tra deflatori dell’export e dell’import di beni, cioè il rapporto tra prezzi all’export e all’import), di oltre il 10% nel 2022, la variazione negativa più ampia in oltre 25 anni (Grafico 8).
L’effetto prezzi, insieme a una dinamica molto robusta delle importazioni in volume (sostenuta dalla crescita degli investimenti italiani), ha provocato una caduta in territorio negativo del saldo commerciale nel 2022 (-15 miliardi di euro, pari al -0,8% del PIL), per la prima volta dal 2011.
Il saldo delle partite correnti ha seguito la stessa dinamica di quello commerciale, dato che il deficit nei servizi è stato compensato da un surplus alla voce “redditi dall’estero” (Grafico 9).
Nello scenario CSC, il parziale rientro dei prezzi delle commodity e la stabilizzazione del cambio permetteranno un miglioramento delle ragioni di scambio nel 2023-24, che però non compenserà le perdite registrate nel biennio 2021-2022.
Di conseguenza, il saldo commerciale e quello delle partite correnti risaliranno gradualmente, tornando a valori lievemente positivi alla fine del biennio previsivo.
Infine, la posizione patrimoniale netta dell’Italia con l’estero, che si è ridotta nel 2022 (+5,5% del PIL nel 3° trimestre, da +8,1% a fine 2021) a causa dei saldi negativi, tenderà a stabilizzarsi nel biennio, su valori comunque positivi.