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Nello scenario CSC l’indebitamento netto della pubblica amministrazione si attesta al 4,9% del PIL nel 2023 e al 4,2% nel 2024 (Tabella 2). Lo scostamento rispetto a quanto previsto dalla Nota di aggiornamento al DEF (NaDEF) di novembre e poi nel quadro programmatico governativo della Nota Tecnica Illustrativa di gennaio (4,5% quest’anno e 3,7% il prossimo) è guidato principalmente da tre fattori: la revisione dei criteri di contabilizzazione dei crediti di imposta per agevolazioni edilizie ceduti, conseguenti alla recente revisione da parte di Eurostat dei criteri di contabilizzazione; l’aumento consistente dei tassi di rendimento dei titoli di Stato e, quindi, della spesa per interessi sul debito pubblico; l'impatto dell'alta inflazione sui consumi pubblici.
A febbraio Eurostat, infatti, ha chiarito che la cedibilità di alcuni crediti d’imposta (Superbonus, bonus facciate, ecc.) comporta la contabilizzazione degli stessi come “maggiori spese”. Se cedibili, i crediti sono da considerarsi esigibili nella loro interezza e quindi imputabili nell’anno in cui sorge l’obbligazione. La non esigibilità, viceversa, implica la registrazione dei crediti come detrazioni (“minori entrate”, nei conti pubblici) nel corso degli anni di effettiva fruizione dell’agevolazione fiscale.
Tale revisione contabile impatta fortemente sul deficit pubblico, perché le misure coinvolte hanno registrato negli ultimi anni un diffuso utilizzo: secondo il monitoraggio di ENEA, a fine 2022 erano pari a quasi 69 miliardi di euro le detrazioni a carico dello Stato per il solo Superbonus. Proprio sulla base di tali dati, già nella NaDEF il Governo aveva elevato a 110 miliardi l’impatto finanziario complessivo delle agevolazioni edilizie, inizialmente stimato a 33,6 miliardi (Tabella 3).
Con la riclassificazione contabile, gli effetti finanziari di Superbonus, bonus facciate e ristrutturazioni edilizie sono dunque imputati tra le maggiori spese e, in particolare, nei contributi agli investimenti per il periodo 2020-2023; di contro, sono annullate le rispettive minori entrate inizialmente ripartite fino al 2036. L’ISTAT ha perciò rivisto in forte rialzo l’indebitamento netto nel 2021 e nel 2022, rispettivamente al 9,0% e all’8,0% del PIL (da 7,2% e 5,6% precedentemente indicati).
Sebbene sia probabile un intervento governativo in merito al blocco della cessione dei crediti, si ipotizza un minor utilizzo delle misure a seguito delle modifiche sulla disciplina dei cd. bonus edilizi, come previsto dal DL 11/2023. Di conseguenza, per il 2023 la stima CSC a legislazione vigente prevede che il blocco della cedibilità a febbraio 2023 possa portare a un risparmio per l’anno in corso pari a 7,8 miliardi; quindi, la maggiore spesa per il 2023 anziché essere di 17,8 miliardi come stimata dalla NaDEF, è ipotizzata di 10 miliardi.
Per il 2024, si attende un miglioramento del deficit pari a circa 23 miliardi derivante dall’annullamento delle minori entrate previste in origine, mentre non si registreranno ulteriori maggiori spese.
Tuttavia, non ne derivano nuovi spazi per manovre espansive, trattandosi solo di effetti contabili. Inoltre, dato che si tratta di una discrepanza tra registrazioni di cassa e competenza delle spese, tra l’altro già effettuate, le variazioni impattano soltanto sul deficit e non sul debito pubblico.
Come indicato in seguito (par. 6 e 7), la politica monetaria restrittiva della BCE ha aumentato i tassi, provocando un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato (oltre il 4,0% per il BTP). I titoli italiani, che già scontavano un differenziale di rendimento rispetto al Bund di 170-180 punti base, potrebbero mantenere un divario simile anche nel 2023 e nel 2024. In quest’ultimo anno, è probabile che i tassi rimarranno fermi o caleranno, se le previsioni di inflazione indicheranno un rientro verso il target della BCE.
Nello scenario CSC, si attende un incremento di quasi 1,4 punti del rendimento dei titoli di Stato nel 2023 rispetto all’anno precedente, con una spesa aggiuntiva per interessi di oltre 8 miliardi tra titoli che giungono in scadenza e spesa per rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione. Complessivamente, la spesa per interessi è stimata a 96 miliardi nel 2023 e a quasi 98 miliardi nel 2024, pari al 4,8% e 4,7% del PIL nei due anni di previsione (dal 4,4% del 2022).
Nello scenario CSC, le entrate complessive si attestano al 49,5% del PIL nel 2023 e al 48,2% nel 2024, registrando una dinamica positiva nel biennio di previsione imputabile (come visto prima) alla recente riclassificazione contabile dei crediti d’imposta.
I dati di monitoraggio sul 2022 hanno confermato il buon andamento delle entrate, per il venir meno di proroghe, sospensioni e rateizzazioni dei versamenti decisi con i decreti emergenziali nel biennio 2020-21, e per effetto dell’incremento dei prezzi al consumo. Le entrate tributarie contabilizzate al Bilancio dello Stato sono cresciute complessivamente di 48,5 miliardi rispetto al 2021 (+9,8%). Nel dettaglio, le imposte dirette sono aumentate di 26,2 miliardi (+9,7%), trainate per lo più dal gettito IRES, e le imposte indirette di 22,3 miliardi (+9,8%), grazie al forte aumento del gettito dell’IVA, sia da scambi interni che da importazioni.
Nello scenario di previsione, le entrate tributarie crescono ancora significativamente quest’anno (+6,0%, dopo il +7,4% del 2022), meno il prossimo (+1,9%), attestandosi rispettivamente al 30,0% e al 29,6% del PIL. In particolare, le imposte dirette crescono nel 2023 (+1,5%), e nel 2024 (+2,0%); le imposte indirette aumentano sensibilmente quest’anno (+9,8%), per effetto combinato di maggiore inflazione, minori consumi e interventi contro il caro-energia, meno il prossimo (+2,9%). I contributi sociali crescono nel 2023 del 3,4%, registrando un rallentamento rispetto al 2022 (+6,1%) dovuto al taglio contributivo per i lavoratori dipendenti e alla proroga degli esoneri contributivi a favore di giovani e donne, così come stabiliti nell’ultima Legge di Bilancio. Nel 2024 i versamenti contributivi tornano a crescere a un ritmo più sostenuto (+5,2%).
La pressione fiscale e contributiva rimane ferma al 43,5% del PIL nel 2023 per scendere al 43,2% nel 2024: in termini nominali, aumenta del 5,2% quest’anno e del 2,9% il prossimo.
La spesa pubblica è stimata al 54,4% del PIL nel 2023 e poi in flessione al 52,4% nel 2024. Le misure contro il caro-energia adottate fino a marzo (per complessivi 11,6 miliardi), la revisione contabile dei crediti d’imposta e il forte aumento della spesa per interessi spiegano le maggiori spese per quest’anno. Si conferma il percorso di rientro dal picco raggiunto nel 2021, quando la spesa aveva toccato il 57,3% del PIL.
La spesa corrente primaria è stimata al 44,2% del PIL nel 2023 e in calo al 43,1% nel 2024; in termini monetari, cresce quest’anno (+3,5%), meno il prossimo (+0,8%) per il venir meno delle misure contro il caro-energia adottate fino a marzo. I redditi da lavoro crescono nel biennio di previsione (rispettivamente del +2,4% e del +1,9%) per effetto della dinamica positiva delle retribuzioni e dell’occupazione del settore pubblico, più marcata quest’anno. I consumi intermedi sono attesi in aumento nel 2023 (+4,5%) per effetto dell'aumento dei prezzi e in riduzione nel 2024 (-0,9%), per la fine delle misure emergenziali. In aumento la spesa pensionistica indicizzata all'inflazione.
La spesa in conto capitale è stimata in forte riduzione quest’anno (-25,2%) e il prossimo (-10,9%), in virtù dell'esaurirsi della maggiore spesa per contributi agli investimenti, dovuta alla riclassificazione contabile delle agevolazioni edilizie.
Infine, stando agli ultimi dati disponibili sul portale di monitoraggio REGIS, non sembrano esserci state nuove revisioni di spesa programmata del PNRR, rispetto a quanto previsto nella NaDEF di novembre. Tuttavia, ad oggi non è possibile stabilire se tutte le risorse programmate nel 2022 siano poi state effettivamente spese secondo il programma.
Il debito pubblico in rapporto al PIL è stimato al 142,9% nel 2023, in calo di 1,8 punti rispetto al 2022 (Grafico 18). Nel 2024 è previsto aumentare di altri 0,4 punti, fino al 143,4%. Rispetto alla dinamica indicata dalla NaDEF, in cui il debito calava gradualmente fino al 142,3% nel 2024, nello scenario previsivo del CSC agiscono almeno due fattori:
Il contributo al debito della componente di “aggiustamento stock-flussi” è quasi tutto ascrivibile agli effetti di contabilizzazione degli incentivi edilizi; specularmente, parte del disavanzo è costituito proprio dagli effetti della riclassificazione contabile di tali incentivi.
Salvo imprevisti, a gennaio 2024 sarà riattivato il Patto di Stabilità e Crescita e non è ancora chiaro se verrà adottata la nuova proposta della Commissione europea. Nonostante permanga la possibilità di qualche variazione rispetto alla proposta attuale, i tradizionali parametri del 3% di deficit sul PIL e del 60% di rapporto tra debito pubblico e PIL rimarranno validi (giacché sono inseriti nei trattati e quindi difficilmente modificabili). Allo stato attuale e con un debito in crescita, l’Italia potrebbe incontrare difficoltà nel rispettare le regole fiscali europee.
Perciò, alla luce delle prospettive economiche deboli, sebbene in ripresa, e in un contesto di inflazione che resta elevata, seppur in calo, gli spazi di manovra sul 2024 saranno limitati.