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La dinamica dei prestiti bancari alle imprese in Italia si è bruscamente fermata a fine 2022 (+0,1% annuo a gennaio 2023), dopo aver accelerato molto nella prima metà dell’anno scorso (picco di +4,8% in agosto; Grafico 19). Un andamento molto volatile, non caratteristico del credito, dovuto al peculiare contesto economico, incerto e rapidamente mutevole. I prestiti hanno frenato dopo l’estate nei servizi e nel manifatturiero, settori nei quali stavano crescendo di più; viceversa, hanno accelerato nelle costruzioni.
Il profilo del credito nel 2022 ha coinciso con quello del prezzo del gas, con il picco in agosto e la successiva discesa sotto i valori pre-guerra. Dunque, il ricorso delle imprese al credito sembra strettamente connesso al maggior fabbisogno di liquidità a causa del caro-energia, che ha richiesto esborsi di cassa superiori al normale.
L’indagine Banca d’Italia conferma tale ipotesi. Segnala che la domanda delle imprese, nel complesso, è stata sostanzialmente stabile nel corso del 2022. Ma questo nasconde forti movimenti al suo interno. Le richieste di fondi per scorte/capitale circolante, quindi per coprire esigenze di liquidità, hanno rallentato nella seconda metà del 2022 dopo il balzo nel 2° trimestre, ma continuano a crescere. Calano, invece, le richieste di fondi per finanziare nuovi investimenti (Grafico 20). Coerentemente, l’indagine indica che sta aumentando la domanda di fondi di breve termine, mentre si riduce quella per il lungo termine.
Questa indagine mostra, inoltre, che nel corso del 2022 si è avuta una stretta, progressivamente più forte, nei criteri di accesso al credito per le imprese. Il fattore principale che ha peggiorato l’offerta è stato il ribasso delle attese sull’economia e su specifici settori. Hanno contribuito anche i maggiori rischi percepiti dalle banche sulle garanzie, i problemi di dotazione di capitale, quelli di raccolta sui mercati e di liquidità, sebbene con un’ampiezza molto inferiore a quella della crisi del 2011-12. Ha pesato lo stop alle misure espansive della BCE, in particolare su acquisti di titoli e prestiti straordinari agli istituti (par. 7).
L’irrigidimento dell’offerta nel 2022 è consistito, secondo i dati qualitativi, soprattutto nell’aumento dei tassi pagati dalle imprese, ma sono cresciuti anche oneri addizionali, richieste di garanzie, limiti alle scadenze. Nella seconda metà dell’anno è segnalata anche una stretta sull’ammontare dei prestiti.
L’indagine ISTAT (sul solo manifatturiero) conferma che la quota di aziende che non ottengono i prestiti richiesti è aumentata nel corso del 2022, fino al 7,8% a settembre (da 4,5% a fine 2021), ma poi si è moderata nel 4° trimestre (5,6%). Tali dati confermano anche un accesso al credito molto meno favorevole: -34,0 il saldo delle risposte delle imprese a dicembre, da -4,8 un anno prima. In particolare, la quota di imprese che ottiene credito solo a condizioni più onerose è cresciuta al 42,9% (da 7,3%). Quindi, una parte significativa delle imprese industriali ha credito più costoso e più scarso.
Nel 2022 la liquidità disponibile in azienda, rispetto alle esigenze operative, è stata significativamente erosa, relativamente ai valori pre-crisi appena recuperati nel 2021, scendendo di nuovo sotto tali livelli. La riduzione di tale indicatore è avvenuta perché è cresciuto il fabbisogno di risorse liquide, mentre il valore dei depositi rimaneva praticamente fermo. La situazione non è grave come nel 2020, ma va tenuta sotto controllo.
Resta un divario settoriale in termini di liquidità: nei settori dei beni di consumo la situazione è più difficile, rispetto a quelli intermedi e agli strumentali. Ciò potrebbe dipendere dalle maggiori difficoltà delle imprese dei settori “a valle” in termini di margini. Dunque, queste aziende potrebbero avere più esigenza di credito, a breve, per aumentare le loro dotazioni liquide.
La dinamica dei prestiti è attesa debole nel 2023 e 2024. La domanda, meno alimentata dal caro-energia, dovrebbe però essere sostenuta dalla ripartenza dell’economia. Sull’offerta influiscono, in prospettiva, sia fattori positivi che negativi. C’è il rischio di rimanere in uno scenario di offerta troppo selettiva e domanda parzialmente insoddisfatta, tanto da non sostenere adeguatamente l’attività economica.
Dopo il cruciale rafforzamento dei bilanci di impresa realizzato in Italia nel decennio pre-pandemia (misurato, ad esempio, da una maggiore quota del capitale sul passivo), si è avuto un netto peggioramento nel 2020 a causa del nuovo debito bancario accumulato, ma poi subito un deciso miglioramento nel 2021. Nel 2022 molte imprese, tendenzialmente quelle operanti nei settori più energivori, hanno di nuovo avuto bisogno di maggiore liquidità e quindi di accrescere ancora l’indebitamento, nonostante fosse ex-ante consigliabile contenerlo: questo mostra che, a fronte di continui shock nello scenario economico, è cruciale che l’offerta di credito bancario resti ampia.
A tal fine, misure per il credito e la liquidità sulla falsariga di quelle varate nel 2020 (garanzie del Fondo per le PMI, moratorie sui debiti bancari), potrebbero ancora risultare importanti per una quota di imprese, in particolare nella prima parte del 2023. Queste misure possono favorire l’offerta di credito, come confermano i dati qualitativi dell’indagine Banca d’Italia: mostrano un significativo allentamento nel 2° trimestre 2020, in piena pandemia, quando furono allargate le garanzie pubbliche sul credito bancario alle imprese.
I fattori positivi per l’offerta di credito sono tre, strettamente legati.
Il fattore negativo è uno, ma rilevante. I rendimenti sovrani italiani sono ulteriormente aumentati da inizio anno (con uno spread su quelli tedeschi quasi invariato), su valori molto elevati a seguito della forte risalita già nel 2022: 4,48% medio a marzo 2023 il BTP decennale, da 0,97% a dicembre 2021. Questo rialzo inizialmente ha seguito quello dei tassi USA, poi è stato sostenuto dalla fine degli acquisti BCE di titoli e dai rialzi dei tassi ufficiali nell’Eurozona (si veda par. 7).
I maggiori tassi sul BTP hanno impatti sfavorevoli per le banche italiane, che tipicamente si riverberano poi sulle condizioni di offerta di credito: primo, tendono ad alzare il costo della raccolta bancaria; secondo, nella misura in cui sono calati i prezzi di mercato dei titoli pubblici, si è ridotto il valore effettivo del portafoglio degli istituti, generando potenziali perdite per svalutazioni e anche un indebolimento nel calcolo dei coefficienti di patrimonializzazione. Portafoglio bancario di titoli che nell’ultimo anno è diminuito al valore nominale, ma resta ampio (381 miliardi a gennaio 2023, da 405 a fine 2021), per cui potenzialmente “pericoloso” per la solidità degli istituti.
I tassi pagati dalle imprese italiane sono tradizionalmente correlati all’andamento del BTP e del tasso BCE, per cui hanno subito un forte aumento nel 2022, come atteso già nello scenario CSC di ottobre (Grafico 21).
A gennaio 2023, il tasso per le PMI sulle nuove operazioni è arrivato a 4,15% (da 1,75% a fine 2021), quello per le grandi imprese a 3,42% (da 0,89%). Dunque, siamo già a +2,50 punti, in media.
Il costo del credito sembra destinato a salire ancora, data l’ipotesi di ulteriori rialzi della BCE nel 2023 e di un rendimento sovrano in lieve risalita addizionale (4,50% a fine anno). Nello scenario CSC, i tassi per le imprese in Italia aumenteranno di poco sopra i valori attuali entro il 2023.
Questo rincaro, complessivamente pari a quasi +3,0 punti, peggiora la situazione finanziaria delle aziende, perché accresce il peso degli oneri finanziari. Dunque, potrebbe pesare sul flusso di nuovi investimenti (si veda il Focus 6).