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Focus 1 - L’export italiano e la base manifatturiera: un confronto europeo
Il 2024 si
sta caratterizzando per una battuta d’arresto dell’export italiano (-0,3%
rispetto ai sette mesi precedenti, si veda il par 2.2), sebbene negli anni precedenti
abbia mostrato una performance migliore di quella realizzata dai principali
competitor europei, in particolare dal primo esportatore della Ue, la Germania.
Dal 2019 al 2023, infatti, le esportazioni italiane di beni sono cresciute
(+2,3% medio annuo a prezzi costanti, dati doganali) mentre quelle tedesche
sono rimaste ferme ai livelli del 2019; anche rispetto alla dinamica delle
vendite all’estero dei paesi dell’Area euro al netto di quelle italiane e tedesche
(+2,0%) la performance dell’export italiano è migliore.
Nello stesso periodo le esportazioni italiane hanno avuto un andamento più favorevole sia della loro domanda potenziale (cioè, quella nei mercati di sbocco delle merci italiane, +1,8% medio annuo) che della domanda mondiale (+1,9%), determinando un guadagno di quote delle merci italiane. Questa significativa crescita fino al 2023 è la prova, già sperimentata dopo la crisi dei debiti sovrani1, della capacità delle imprese esportatrici italiane di affermarsi nei mercati esteri nonostante gli shock, sia temporanei che permanenti.
L’ottima performance delle imprese manifatturiere esportatrici italiane è il risultato di un insieme di aggiustamenti che ha interessato il settore manifatturiero nel suo complesso.
Aggiustamento della base produttiva nella manifattura italiana Dal 2011 al 2022 la base produttiva italiana ha sperimentato una forte riduzione sia in livello assoluto, di 67mila unità (pari al 15,7% del totale), sia relativamente ai principali partner europei. Nello stesso periodo, infatti, un ridimensionamento della capacità manifatturiera, ma di minore entità, è stato sperimentato dalle imprese spagnole, ridottesi del 6,1%, e da quelle tedesche (-1,6%). La differenza oltre che nei numeri è anche temporale: sia per la Spagna che per la Germania la riduzione è stata altalenante e, soprattutto per la Spagna, si è concentrata negli ultimi anni, mentre per le imprese italiane è continua almeno dal 2011. La Francia rappresenta un’eccezione poiché ha incrementato sensibilmente (+21,1%) la sua base produttiva (Grafico A).
Due importanti annotazioni sono da rilevare:
- la base manifatturiera italiana si è sempre caratterizzata per una numerosità elevata e molto superiore rispetto alle altre tre economie europee qui considerate (il numero delle imprese italiane manifatturiere nel 2022 è ancora 1,7 volte quello medio di Francia, Germania e Spagna);
- la composizione delle imprese italiane per dimensione presentava un’eccessiva concentrazione nelle classi micro-piccole, le quali sono le uniche ad aver subito questa forte contrazione, a cui è corrisposto un lieve aumento della classe medio-grande (Tabella A).
Riequilibrio della produttività tra le manifatture europee Il forte cambiamento che la manifattura italiana ha realizzato negli ultimi quindici anni ha comportato anche un adeguamento della dinamica della sua produttività rispetto a quella dei partner europei. Infatti, il percorso verso la chiusura del divario di produttività, che era a sfavore della manifattura italiana, si è verificato a seguito tanto di un rafforzamento nel nostro Paese, quanto di una decelerazione di quelle tedesca e francese. L’evoluzione della produttività nominale (valore aggiunto a prezzi correnti per occupato) mostra che il miglioramento relativo è dovuto principalmente alle imprese di piccola-media dimensione (tra i 10 e i 249 addetti), il cui vantaggio di efficienza nei confronti delle omologhe tedesche e francesi è quasi costantemente aumentato nel periodo, compensando i persistenti ritardi nelle due code estreme della distribuzione dimensionale, cioè delle imprese micro (sotto i 10 addetti) e grandi (250 e oltre, Grafico B). Il gruppo dei produttori “migliori” è costituito da poco meno del 20% delle imprese manifatturiere italiane, che occupano più del 50% degli addetti e producono circa il 50% del valore aggiunto del settore.
Aumento della quota di imprese manifatturiere esportatrici La contrazione della base manifatturiera italiana dal 2011 al 2022 ha interessato anche quelle esportatrici, sebbene in misura inferiore. A fronte di una riduzione di quasi il 16% del totale manifatturiero, quelle esportatrici si sono ridotte di oltre il 9%, che equivale a -8,6mila unità. Conseguentemente, il peso degli esportatori sulla popolazione delle imprese manifatturiere è aumentato, da meno del 21% nel 2011 a più del 22% nel 2022, cioè, è cresciuta (meccanicamente, ovvero in modo “passivo”) l’internazionalizzazione del manifatturiero italiano. Dopo la Germania (34,5% di imprese esportatrici), l’Italia è il paese con la quota più elevata tra i principali partner europei (Francia 9,3%, Spagna 21,6%).
La contrazione del numero di esportatori ha interessato, come nel caso dell’universo delle imprese manifatturiere, esclusivamente le imprese di micro- piccole dimensioni, ridottesi di quasi 10.000 unità (circa 8mila le micro). Le imprese medio-grandi sono invece aumentate (di 942 unità le medie e 144 le grandi).
L’aumento del peso degli esportatori assume proporzioni particolarmente rilevanti tra le imprese di media dimensione (50-249 addetti), protagoniste della crescita di produttività, dove la percentuale di esportatori è arrivata a sfiorare il 94%, superando anche le grandi imprese. Come per la produttività, anche nell’internazionalizzazione le imprese manifatturiere italiane piccole e medie superano le omologhe tedesche (Grafico C).
Cresciuto l’export medio per impresa anche se poco concentrato La ricomposizione in termini dimensionali a favore di produttori mediamente più grandi e propensi all’export ha contribuito soltanto parzialmente alla crescita del valore medio esportato delle imprese italiane. Infatti, l’export medio per impresa è cresciuto molto, indipendentemente dalla classe dimensionale di appartenenza (Tabella B).
In Italia si è, quindi, verificata una crescita sensibile dell’intensità di esportazione, misurata dall’export per impresa esportatrice (+46% tra il 2016 e il 2022). Tale incremento è stato molto più forte di quello sperimentato dalle imprese manifatturiere esportatrici tedesche (+31,8%) e francesi (+23,2), però, non è ancora riuscito a colmare il divario: il loro valore medio esportato è due volte e mezzo quello italiano.
La riconfigurazione delle imprese esportatrici italiane, infatti, non ha modificato in misura sostanziale la bassa concentrazione dell’export italiano per classi dimensionali, che si riflette nella maggior dispersione delle vendite all’estero: in Italia l’export dei primi 1.000 esportatori industriali è pari al 55% dell’export totale, in Germania al 76%, in Francia al 90% e in Spagna all’80%.
Per la complessità insita nell’attività di esportazione, la bassa concentrazione o frammentazione delle vendite costituisce normalmente un fattore di debolezza, accompagnandosi a un minor grado di radicamento nei mercati di sbocco e a una minor capacità di raggiungere le destinazioni più distanti, anche quelle comparativamente più dinamiche (come la Cina). Tuttavia, in fasi di intensa ridefinizione della geografia dei flussi di scambi mondiali, come quella attuale, – per motivi dapprima sanitari e poi geopolitici – la maggior diffusione dell’export tra le imprese può risultare un elemento di vantaggio, perché facilita l’adattamento delle vendite al variare delle opportunità offerte dai mercati, che contraddistingue i piccoli e meno radicati esportatori rispetto ai grandi. Poiché la ridefinizione geopolitica degli scambi (incluso il cosiddetto nearshoring delle catene di fornitura) non è un processo di breve durata, il vantaggio di flessibilità delle imprese italiane, connesso al più basso export pro-capite, potrebbe perdurare.
Margine intensivo versus margine estensivo Un’altra chiave di lettura della performance dell’export delle imprese italiane rispetto a Germania e Francia è fornita dalla scomposizione delle esportazioni in due fattori o “margini”, “estensivo e intensivo”, in due sottoperiodi (pre e post 2015), in modo da evidenziare le caratteristiche del cambio di passo avvenuto negli ultimi anni.
Il 2015 rappresenta un anno spartiacque in cui l’export italiano torna finalmente, dopo più di un decennio di modesta performance, sul suo sentiero di crescita, riuscendo, negli anni più recenti, a superare la crescita delle esportazioni dei principali partner europei.
Col termine “estensivo” si intende che le esportazioni aumentano perché se ne accresce l’estensione, vale a dire il numero di prodotti esportati e di destinazioni raggiunte. Tale margine si può a sua volta scomporre in tre componenti: il numero di prodotti esportati, il numero di mercati di destinazione raggiunti e il “grado di densità”, ovvero il numero di combinazioni di prodotti e paesi. Il margine “intensivo”, invece, riguarda l’intensità delle esportazioni, misurata dalla crescita del valore dell’export a parità di numerosità dei prodotti e paesi di sbocco.
La tabella C evidenzia il miglioramento di performance dell’export italiano a partire dal 2015. Il suo ritmo di crescita medio annuo nel secondo periodo (2015-2023), in sensibile accelerazione rispetto al decennio precedente supera quello di Germania e Francia. L’export tedesco ha invece rallentato fortemente, mentre quello francese ha accelerato ma ad un ritmo inferiore a quello italiano (Tabella C).
Il margine intensivo è in entrambi i sottoperiodi la componente più rilevante per l’export italiano. Esso si è rafforzato dopo il 2015, più che compensando il (lieve) rallentamento del margine estensivo. La spinta esercitata dal margine intensivo può riflettere anche il processo di aggiustamento delle caratteristiche delle imprese esportatrici italiane, che risultano essere ancora molto numerose (in assoluto e rispetto alle imprese esportatrici dei partner europei), nonostante la loro riduzione, ma con un basso valore medio esportato, seppure in crescita rispetto al decennio precedente. Infatti, ciò che dovrebbe essere potenziato è proprio il valore esportato per impresa (margine intensivo) più che la numerosità delle imprese esportatrici (margine estensivo), ed è proprio sul primo fattore che si è incentrata la crescita delle esportazioni italiane tra il 2015 e il 2023.
Il lieve rallentamento del margine estensivo delle esportazioni italiane tra il primo e il secondo periodo non riguarda il numero di prodotti venduti (che, al contrario, è in aumento), né il numero dei mercati di destinazione serviti (la cui dinamica è stabile), ma la densità. In altri temini, nell’ultimo periodo la crescita del numero di prodotti venduti si è concretizzata principalmente (anche se non esclusivamente) nei mercati di destinazione già serviti dagli esportatori italiani.
La performance relativamente peggiore dopo il 2015 è quella della Germania: la netta decelerazione delle sue vendite all’estero è stata determinata dalla flessione del margine estensivo, cui si contrappone il contributo positivo di quello intensivo. La ridotta estensione delle esportazioni tedesche riflette il minor grado di densità dell’export: rispetto alle possibilità definite dal numero dei prodotti e dei mercati serviti, sono diminuiti i paesi effettivamente raggiunti dalle merci tedesche.
Anche per le imprese esportatrici francesi si è ridotto il contributo del margine estensivo, anche se non ha cambiato di segno come nel caso tedesco, mentre è aumentato quello derivante dal margine intensivo.
In conclusione, le imprese italiane, rafforzatesi a seguito di un più che decennale processo di aggiustamento sotto il profilo dimensionale e della produttività, hanno potuto reagire agli shock multipli e altamente eterogenei degli ultimi anni, grazie a un miglior matching e capacità di adattamento, rispetto a Germania e Francia, della composizione geografica e merceologica del loro export con l’evoluzione degli scambi mondiali.
La capacità di guadagnare posizioni nei paesi di destinazione più dinamici e accessibili non è l’unica via per aumentare la resilienza delle vendite all’estero. Altrettanto importante è assicurarsi relazioni stabili sul lato dell’import, con fornitori affidabili e sicuri. Anche questa caratteristica ha contribuito, a fronte di ripetuti shock sul lato dell’offerta, alla maggior resilienza italiana rispetto ai partner europei (cfr. Rapporto di previsione, primavera 2024, Centro Studi Confindustria).