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Focus 2 - Titoli di Stato: più famiglie e meno banche tra i compratori
Tra il 2022 e il 2024 si è registrata una significativa ricomposizione tra i detentori dello stock di titoli di debito pubblico in Italia (Grafico A). Peraltro, quando tale stock aumenta, come nel 2024, la PA ha bisogno di emettere più titoli e questa domanda non è mai mancata, ma di recente sono cambiati i compratori. Nel determinare gli andamenti in corso sono all’opera vari fattori di diversa natura, non tutti collegati tra loro, che possono essere riassunti da due termini entrambi positivi: riequilibrio e normalizzazione.
Chi compra oggi La novità principale è che lo stock di titoli di Stato in mano alle famiglie italiane è cresciuto ininterrottamente negli ultimi due anni: +109 miliardi nel 1° trimestre 2024 rispetto a inizio 2023, dopo i +69 miliardi nel 2023 sul 2022. La quota detenuta dalle famiglie è risalita dal 4,7% del totale a inizio del 2022, al 12,1% a inizio del 20241. All’inizio del 2022 era stato toccato il minimo storico dello stock di titoli di Stato in mano alle famiglie (117 miliardi). Nel 2024, invece, siamo repentinamente saliti al nuovo massimo storico per i titoli a lungo termine (263 miliardi) e poco sotto i massimi per il totale (295 miliardi). In particolare, lo stock di BOT delle famiglie è salito da quasi zero a un quarto del totale in soli 2 anni (31 miliardi); era crollato con la crisi Lehman nel 2008 e poi era sceso verso lo zero dal 2016. Dunque, cosa è cambiato? Il trend in corso è iniziato a inizio 2022, cioè con la guerra Russia-Ucraina. Il balzo dell’inflazione che quella guerra ha provocato e il seguente rapido aumento dei tassi BCE, da zero a 4,50%, insieme alla maggiore incertezza globale, sono stati il contesto in cui è maturata la decisione delle famiglie italiane di tornare a comprare più titoli di Stato, che sono pur sempre asset a basso rischio. La fase di taglio dei tassi, avviata dalla BCE a giugno 2024, potrebbe avere un effetto opposto sulle scelte delle famiglie, probabilmente non immediato ma a partire dal 2025. L’aumento dello stock di titoli di Stato in mano alle famiglie non sembra essere ricollegato all’investimento di una parte dell’extra-risparmio accumulato nel periodo della pandemia (2020-2021). Infatti, mentre la ricchezza finanziaria delle famiglie (che include i depositi di liquidità presso le banche) saliva a un nuovo picco a fine 2021, spinta dall’extra-risparmio, i titoli pubblici detenuti dalle famiglie stesse scendevano al minimo, appunto a inizio 2022. Si tratta quindi di una ricomposizione delle attività delle famiglie, legata principalmente all’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse. La ricchezza finanziaria delle famiglie, comunque, dopo la flessione nel 2022, ha ripreso a salire nel 2023-2024 fino al nuovo massimo storico (a prezzi correnti). Negli ultimi 2 anni, le famiglie italiane hanno più che raddoppiato la quota di titoli di Stato detenuti: da 2,2% nella loro ricchezza a inizio 2022, a 5,1% a inizio 2024.
Anche le imprese italiane hanno acquistato più titoli di Stato, sebbene si tratti di uno stock molto inferiore a quello delle famiglie: da 1,3% del totale a inizio 2022, a 2,0% a inizio 2024. Le aziende li hanno acquistati per investire una parte della loro liquidità (da zero a 6 miliardi i titoli pubblici a breve), soprattutto in strumenti di medio-lungo termine (da 33 a 43 miliardi). Pure i fondi comuni, che sono un settore finanziario in crescita in Italia, hanno contribuito alla maggiore domanda recente di titoli di Stato (+12 miliardi nel 2024, per un totale di 48). Infine, anche la stessa PA “ricompra” parte dei titoli che emette e ne detiene oggi uno stock significativo e in crescita (2,6% del totale, pari a 64 miliardi nel 2024, da 1,7% e 41 miliardi nel 2022). Una parte di questi sono titoli emessi dalla PA centrale detenuti da PA locali come strumento a basso rischio di gestione della liquidità; la quota maggiore è costituita da titoli della PA centrale a medio-lungo termine detenuti dalla stessa PA centrale.
E chi invece vende Il principale settore venditore sono negli ultimi due anni le banche italiane, che stanno rapidamente disinvestendo dai titoli di Stato: -35 miliardi nel 2023 e -44 miliardi nel 2024. Si tratta di una novità da considerare positiva, rispetto allo scorso decennio: le banche avevano accumulato uno stock di titoli pubblici da molti ritenuto eccessivo, eredità della crisi dei debiti sovrani nel 2011-2012. Il decumulo in corso va dunque a ridurre i rischi associati a questo stock di titoli in mano agli istituti (il ben noto doom loop tra Banche e Stato). I dati sul bilancio aggregato delle banche italiane, che arrivano al 2° trimestre 2024, mostrano che il disinvestimento di titoli di Stato si è fermato di recente (+7 mld nei tre mesi primaverili), ma può trattarsi di pura volatilità.
Questi dati evidenziano anche che, tra le attività, nell’ultimo anno le banche hanno sostituito tali titoli pubblici italiani con quelli esteri, per cui il loro stock complessivo di titoli di Stato di paesi europei si è ridotto di poco. La voce che si sta riducendo più fortemente tra gli asset bancari è quella dei prestiti (-73 miliardi negli ultimi 12 mesi), in particolare quelli a settori italiani (-85), tra cui famiglie e imprese. Sul totale dell’attivo bancario, che si sta restringendo, i titoli di Stato italiani sono calati al 9,4% nel 1° 2024 (da 10,6% due anni prima), i prestiti a settori italiani sono scesi al 56,1% (da 61,1%). La ricomposizione degli asset bancari sta privilegiando un’ampia serie di altre voci: altri prestiti, altri titoli, azioni, immobilizzazioni.
Anche le compagnie di assicurazioni, come le banche, stanno disinvestendo dai titoli PA italiani, per motivazioni e con modalità sostanzialmente analoghe. E con velocità simile: la quota delle banche sul totale di questi titoli è scesa da 17,0% a 14,1%, quella delle assicurazioni da 12,1% a 9,7%. Quindi, nel complesso, si sta determinando una “normalizzazione” tra i detentori di titoli di Stato italiani: meno banche e assicurazioni, cioè i due principali settori finanziari, che comunque restano prevalenti con il 23,8% complessivo (da 29,1%); viceversa, più famiglie e imprese, ovvero i due settori dell’economia “reale”, che insieme arrivano ora al 14,1% (da 6,0%). Tale riequilibrio va giudicato un risultato positivo per la stabilità finanziaria complessiva del Paese.
C’è anche un secondo tipo di “normalizzazione” a giocare negli andamenti recenti: la BCE da inizio 2023 sta gradualmente lasciando che si riduca l’enorme stock di titoli nel suo bilancio (-70 miliardi nel 2023 e -19 finora nel 2024 per i titoli italiani). Lo stock della BCE, ancora molto ampio (654 miliardi), è eredità delle misure monetarie iper-espansive adottate in varie fasi, a partire dal 2014, quando ha acquistato grandi quantità di titoli dell’Eurozona per motivi di politica monetaria, cioè tenere bassi i tassi a medio-lungo termine, e per salvaguardare la stabilità finanziaria (programmi PSPP e PEPP). La normalizzazione recente ha ridotto di 2,8 punti la quota di titoli pubblici italiani in mano alla BCE.
Al momento, entrambi i programmi della Banca Centrale non realizzano più acquisti addizionali di titoli. Ma nell’ambito del PEPP vengono ancora fatti dei reinvestimenti parziali dei titoli in scadenza. Da inizio 2025 cesseranno anche questi ultimi, per cui la domanda di titoli pubblici da parte della BCE si azzererà e lo stock calerà più rapidamente. Perciò, è da attendersi il prossimo anno un più veloce declino della quota di bond pubblici italiani in mano alla banca centrale.
Più Italia che Estero tra i detentori
Sommando le quote dei diversi settori italiani, includendo anche i Fondi Pensione e altri intermediari finanziari minori, risulta che essi detengono complessivamente poco meno della metà dello stock di titoli pubblici italiani (45,1% nel 1° 2024), in significativo aumento negli ultimi due anni (da 41,6% nel 1° 2022). A questi si aggiungono, come “titoli detenuti all’interno del paese”, quelli in mano alla Banca Centrale (26,8%, in calo da 29,9%). Questo perché, pur essendo la Banca d’Italia parte del “sistema BCE”, tecnicamente i titoli detenuti dalla Banca Centrale Europea per motivi di politica monetaria sono classificati nel bilancio della Banca Centrale di ciascun paese. Ciò avviene per l’Italia e in ciascuno degli altri paesi membri dell’Eurozona.
Ne risulta che il “settore estero” conta in Italia per meno di un terzo del totale dello stock di titoli pubblici (28,1% nel 2024), in aumento rispetto al 2023, ma sotto i valori del 2022. Questa quota molto contenuta è un dato positivo per la solidità finanziaria del Paese, a fronte di eventuali turbolenze che dovessero manifestarsi sui mercati finanziari internazionali.
In altri grandi paesi europei, la quota complessiva di detentori domestici non è un punto di forza come lo è in Italia. In Germania, il 54,2% dei titoli pubblici è detenuto all’estero a inizio 2024, in Francia il 55,4%. Inoltre, in entrambi i paesi, è molto più limitato il ruolo dei due settori domestici dell'economia reale, cioè famiglie e imprese (0,8% e 0,5% sul totale dei titoli di Stato in Germania, appena 0,001% e 0,2% in Francia). Viceversa, in tali paesi è più ampio il ruolo della Banca Centrale (32,3% sul totale in Germania). Questo avviene perché la BCE acquista titoli in base alle sue capital key, che sono calcolate tenendo conto dell’ampiezza dell’economia, non del debito pubblico: ovvero, la BCE acquista relativamente più titoli delle economie maggiori, Germania e Francia, che hanno un minor debito pubblico rispetto all’Italia.
Di recente, in Italia, quasi metà degli acquisti addizionali di titoli della PA è venuta dall’estero (+100 miliardi lo stock detenuto da stranieri nel 1° 2024, rispetto al 2023). Sembra dunque che ci sia più fiducia dei mercati esteri verso lo Stato italiano. In particolare, nel 2024 il settore estero (+2,4 punti la sua quota) ha coperto quasi interamente la forte riduzione della quota della Banca Centrale. Ciò ha determinato il sorpasso in termini di quota dell’Estero rispetto alla Banca Centrale, ma non certo rispetto alla quota totale detenuta in Italia (71,9%).
In prospettiva, è possibile che la fase di taglio dei tassi ufficiali di interesse (che per i titoli, di solito, si traduce in una riduzione dei rendimenti e un aumento dei prezzi di mercato) possa indurre parte degli investitori esteri a liquidare parte dei bond pubblici italiani (ma non solo) acquistati di recente, per realizzare dei capital gain. Questa possibile “carenza di domanda”, che si potrebbe determinare soprattutto nel 2025, si sommerebbe a quella di fonte BCE, già certa in base alle decisioni di politica monetaria. Perciò, è cruciale per l’Italia che resti forte e crescente la domanda di titoli pubblici nazionali da parte di famiglie e imprese domestiche.