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Focus 3 - Carenza di lavoratori e mismatch quantitativo in aumento nel mercato del lavoro italiano, soprattutto in alcune aree
Sulla base dell’annuale indagine Confindustria sul lavoro, nella prima metà del 2024 oltre due terzi delle imprese italiane con ricerche di personale in corso (il 69,8%) riscontrava difficoltà di reperimento. I dati del Sistema Informativo Excelsior-Unioncamere documentano che le difficoltà dichiarate dalle imprese nel reperimento del personale sono cresciute molto nel tempo: riguardavano nel 2019, prima della pandemia, il 26% delle assunzioni previste (in valore assoluto 1,2 milioni), mentre nel 2022 la quota aveva raggiunto il 42% e nel 2023 aveva superato il 45% delle assunzioni (quasi 2,5 milioni in valore assoluto). Un problema di disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è ampio e documentato anche per altri paesi UE e rappresenta un rischio per la capacità di sviluppo e per la competitività europea. Molteplici fattori fanno presagire che, a politiche invariate, il problema possa persistere o anche ampliarsi ulteriormente. In particolare, il disallineamento quantitativo tra domanda e offerta di lavoro in Europa, specie in Italia, sarà esacerbato dalle tendenze demografiche (calo e invecchiamento della popolazione) e da fattori quali la scarsa mobilità interna (si veda il Focus n. 4), la fuga di cervelli e la carenza di lavoratori extra-UE. Il riorientamento dell’economia innescato dalla doppia transizione verde e digitale potrebbe anche ampliare il disallineamento qualitativo tra domanda e offerta di lavoro, a meno di un collegamento tra sistema formativo e mercato del lavoro molto più efficace e tempestivo di quello che si è registrato finora. In questo Focus, presentiamo per l’Italia i risultati di un esercizio di stima di quanto potrebbe ampliarsi il disallineamento quantitativo tra domanda e offerta di lavoro nel quinquennio 2024-2028.
Glossario delle proiezioni demografiche Istat
La variazione della popolazione residente in ciascun Comune (e analogamente per altre ripartizioni territoriali) in un certo arco temporale è pari alla somma di queste tre componenti:
• Saldo naturale: differenza tra il numero di nascite e il numero di decessi.
• Saldo migratorio interno: differenza tra numero di iscritti per trasferimento di residenza da altro Comune e il numero dei cancellati per trasferimento di residenza in altro Comune.
• Saldo migratorio con l’estero: differenza tra numero degli iscritti per trasferimento di residenza dall’estero e numero dei cancellati per trasferimento di residenza all’estero.
Stima dell’ampliamento del mismatch quantitativo a livello nazionale Quando la domanda di lavoro è maggiore dell’offerta si delinea una situazione di carenza in termini assoluti di lavoratori nel mercato del lavoro, che porta ad una difficoltà di riempimento dei posti vacanti.
Sulla base delle proiezioni demografiche Istat e dell’espansione economica attesa, si stima che in Italia, a parità di tasso di occupazione (61,5% nel 2023), nel quinquennio 2024-2028 il mismatch quantitativo potrebbe ampliarsi di 1,3 milioni di unità, quale somma di due componenti:
• Componente legata al calo demografico/invecchiamento: nello scenario di previsione “mediano” Istat si prefigura una decrescita della popolazione residente in Italia di 320mila unità in 5 anni (da 58,9 milioni al 1° gennaio 2024, punto base delle previsioni, a 58,7 milioni al 1° gennaio 2029).
Senza saldo migratorio con l’estero positivo (che si presume seguire il trend attuale e garantire un’espansione della popolazione di 1,2 milioni di unità), il calo sarebbe pari al saldo naturale, previsto di -1,5 milioni nei 5 anni.
Il calo demografico, unitamente all’allungamento della speranza di vita, comporterà un calo ancora più ampio della popolazione in età lavorativa (definita, per uniformità con gli standard europei, come la popolazione tra i 15 e i 64 anni di età): -850mila unità, da 37,5 milioni a 36,6 milioni (seppur includendo, anche qui, l’apporto positivo del saldo migratorio).
Assumendo che il tasso di occupazione rimanga invariato al 61,5% del 2023, il calo della popolazione in età lavorativa implicherà al 2028 un calo dell’offerta di lavoro di oltre 520mila unità.
• Componente legata all’espansione economica (cosiddetta “expansion demand”): si stima che nel quinquennio 2024-2028 in Italia ci potrebbe essere un fabbisogno di occupazione aggiuntiva di circa 815mila unità, come risultato di una previsione di crescita economica del +4,9% cumulato.
Soluzioni: tutto tramite aumento tasso di occupazione, obiettivo troppo sfidante? Per colmare questo potenziale aumento del mismatch quantitativo sarebbe necessario un aumento del tasso di occupazione di 3,7 punti percentuali, dal 61,5% al 65,1%. Si tratta, tuttavia, di un obiettivo molto sfidante su un orizzonte di 5 anni, in ragione del fatto che implicherebbe aumentare la partecipazione al lavoro soprattutto di quei gruppi della popolazione residente in Italia caratterizzati da tassi di occupazione ancora molto bassi: lavoratori (giovani e non) in zone a bassa domanda di lavoro che necessitano di sostegno, anche economico, alla mobilità; donne con problemi di conciliazione vita-lavoro; persone anziane già in pensione o vicine all’età minima di pensionamento che possono essere incentivate a tornare/rimanere attive, anche grazie a modalità di organizzazione del lavoro per loro attrattive.
Soluzioni: anche con maggiori ingressi di lavoratori stranieri Assumendo che nell’arco di un quinquennio si possa raggiungere un aumento del tasso di occupazione di due punti percentuali (che comporterebbe 730mila lavoratori in più, sottratti al bacino degli inattivi), mancherebbero ancora 610mila unità che potrebbero essere reperite con un ampliamento degli ingressi di lavoratori stranieri.
Lo scenario di previsione “mediano” Istat preso qui a riferimento prefigura nel quinquennio 2024-2028 oltre 1,9 milioni di iscrizioni all’anagrafe dall’estero (pari a 380mila in media all’anno). Il DPCM del 27 settembre 2023 (decreto “flussi”) prevede l’ingresso di 151.000 lavoratori stranieri in media all’anno nel triennio 2023-2025. Assumendo che gli ingressi previsti dall’ultimo decreto flussi siano inglobati nello scenario di previsione “mediano” Istat, il mismatch potrebbe essere colmato ampliando gli ingressi di lavoratori stranieri di circa 120mila unità all’anno.
Eterogeneità territoriale molto ampia… Sulla base delle proiezioni demografiche Istat disaggregate a livello territoriale, si rilevano forti differenze nell’ampliamento della componente del mismatch quantitativo legata al calo demografico (Tabella A).
A fronte di un calo della popolazione in età lavorativa del 2,3% previsto a livello nazionale in 5 anni (-850mila unità in percentuale di uno stock di popolazione 15-64 anni di 37,5 mln al 1° gennaio 2024), il calo è molto più contenuto al Nord (-0,3% Nord-Ovest e -0,7% Nord-Est), più ampio ma comunque sotto la media nazionale al Centro (-1,7%) mentre si accentua al -5,0% nel Mezzogiorno.
Le forti differenze riscontrate non appaiono correlate al saldo naturale, che è pari in media annua al -5,0 per mille abitanti sia al Nord sia nel Mezzogiorno, leggermente sotto alla media nazionale di -5,2, e più ampio al Centro (-5,8).
A incidere maggiormente risultano, invece, differenze nel saldo migratorio con l’estero e nel saldo migratorio interno. Il primo è più contenuto rispetto alla media nazionale nel Mezzogiorno, ma è il secondo ad ampliare fortemente le differenze tra aree geografiche, anch’esso con un effetto penalizzante sul Mezzogiorno.
…anche tra Regioni all’interno delle macro-aree geografiche Ci sono tre Regioni, tutte al Nord, in controtendenza rispetto al calo della popolazione in età lavorativa atteso a livello nazionale:
• la Lombardia, con un’espansione attesa dello 0,7%, grazie principalmente a un saldo naturale che, seppur negativo, è contenuto rispetto alla media e a un saldo migratorio netto con l’estero elevato, a sua volta sostenuto da un tasso immigratorio dall’estero particolarmente alto;
• il Trentino Alto-Adige, con un saldo naturale ancora più contenuto;
• l’Emilia-Romagna che, nonostante una differenza tra nascite e decessi particolarmente penalizzante, svetta per attrattività, con saldi migratori previsti (interno e con l’estero) molto elevati.
Dall’altra parte dello spettro, con un calo superiore alla media d’area, si distinguono:
• al Centro-Nord, il Piemonte e l’Umbria, entrambi a causa di un saldo naturale negativo ampio, e il Veneto, con un saldo migratorio sia interno sia con l’estero bassi;
• nel Mezzogiorno, Basilicata e Sardegna, entrambi con saldi naturali ai minimi, ma anche, la prima per un saldo migratorio interno ampio (-4,6 per mille abitanti contro il -2,9 medio) e la seconda per un saldo migratorio con l’estero molto piccolo (2,0 contro il 3,0 d’area e il 4,0 nazionale).
Le evidenze fornite, sulla base delle proiezioni demografiche Istat, mostrano nel complesso un’ampia eterogeneità tra aree geografiche, e anche al loro interno tra singole Regioni, nell’ampiezza e nelle cause del calo demografico atteso.
Per passare da questo alla proiezione del calo atteso nell’offerta di lavoro, si rileva che, tenendo fermo il tasso di occupazione attuale, le differenze in parte si smorzano, ma solo perché il tasso di occupazione è mediamente più basso proprio dove il calo demografico atteso è più ampio, in primis nel Mezzogiorno. Si tratta d’altronde di due fenomeni che hanno evidenti concause e che vanno affrontati con politiche che migliorino l’attrattività dei territori in questione.
Infine, per chiudere il cerchio come abbiamo fatto a livello nazionale, ovvero per aggiungere la cosiddetta “expansion demand” alla stima del mismatch quantitativo, è necessario fare proiezioni sulla crescita economica attesa a livello territoriale. Se dovessimo basare le proiezioni di crescita regionale nel quinquennio 2024-2028 solo sulla velocità di crescita media registrata nel 2000-2022, dedurremo che questa componente andrebbe ad acuire l’ampliamento del mismatch al Nord e ridurlo al Centro e Mezzogiorno, rispetto a quanto basato solo sulla componente demografica. La crescita del valore aggiunto è stata infatti più ampia nel Nord (+0,6% medio annuo) rispetto alla media nazionale (+0,4%), contro il +0,3% nel Centro e il -0,1% nel Mezzogiorno.
Tuttavia, prendendo in considerazione gli effetti degli investimenti del PNRR sulle potenzialità di crescita regionali è plausibile invece supporre che l’expansion demand sarà più ampia nel medio termine nelle regioni meridionali, sia perché molti investimenti sono specificamente indirizzati nelle Regioni del Sud sia perché incidono su settori che pesano di più nelle economie del Mezzogiorno, come le costruzioni e il turismo.