ETS E CBAM: QUALI RISCHI PER LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

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Focus 6 - ETS e CBAM: quali rischi per la competitività delle imprese 

A maggio 2023 l’Unione europea ha introdotto il meccanismo CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) per l’applicazione di un prezzo per le emissioni incorporate in alcuni prodotti importati dai paesi extra-UE e ha rivisto e ampliato il sistema ETS (Emission Trading System) per lo scambio di quote di emissioni all’interno della UE, istituito nel 2003 ed entrato in vigore nel 2005.

L’ETS copre settori ad alta intensità di carbonio come l’energia, l’industria pesante, l’aviazione, il trasporto marittimo e – in un meccanismo separato c.d. ETS 2 – il riscaldamento dei comparti residenziale e terziario, il trasporto su strada e le imprese manifatturiere non già incluse nel meccanismo principale. Il sistema è concepito per incentivare le imprese a investire in tecnologie più pulite e ridurre le loro emissioni, ma può anche comportare costi significativi per le aziende, specialmente in assenza di misure di compensazione efficaci.

ETS e CBAM, nelle intenzioni dei legislatori europei, sono strumenti coordinati finalizzati a ridurre le emissioni attraverso una tariffazione armonizzata delle emissioni stesse e a preservare la competitività del sistema produttivo europeo rispetto ai concorrenti extra-UE. Anche per contrastare fenomeni di carbon leakage: il rischio che le attività produttive vengano trasferite fuori dall’UE e/o che le importazioni di prodotti ad alta impronta carbonica finiscano per sostituire la produzione interna, vanificando così l’efficacia globale delle politiche ambientali.

L’UE, anche con questi strumenti, vorrebbe assumere il ruolo di guida delle politiche climatiche globali per conseguire gli obiettivi dell’accordo ONU di Parigi 2015, favorendo anche un processo di decarbonizzazione nei paesi extra-UE. Questi ultimi, infatti, sarebbero sperabilmente incentivati ad applicare un prezzo delle emissioni simile a quello europeo per ridurre i dazi doganali dell’UE ovvero ad attuare i miglioramenti tecnologici necessari a livello di impianti per ridurre le emissioni di carbonio. Al momento solo il 24% delle emissioni di CO2 a livello globale sono sottoposte a meccanismi di carbon pricing (ETS o carbon tax) e il livello di prezzo registrato nei diversi meccanismi è estremamente variabile (l’EU-ETS è il più alto).

Tuttavia, a fronte di questi obiettivi, il meccanismo UE presenta diverse criticità relative a tempi, costi, effetti distorsivi, incertezza normativa; inoltre, la sua applicazione è frammentata tra gli stati membri e richiede una forte cooperazione internazionale, anche extra-UE. Tali criticità devono essere monitorate durante il periodo di transizione per evitare conseguenze negative gravi sulla competitività dell’industria europea. Inoltre, l’inclusione di nuovi settori, come il trasporto marittimo, ha generato ulteriori sfide, impattando in modo significativo su tutta la catena logistica, dai terminal portuali fino ai consumatori finali. Il principale rischio su questo aspetto è che il mercato risponda spostando le operazioni di transhipment dai porti europei a quelli extra-UE, in particolare nel Nord Africa e riportando su strada il traffico marittimo.

Il sistema ETS L’UE ha fissato un limite massimo (cap) alle quote di emissioni totali consentite rivisto e ridotto su base annuale tramite un fattore di riduzione lineare. Il meccanismo si trova attualmente nella fase IV (2021- 2030). La riduzione annuale delle emissioni è stata aumentata al 2,2% annuo nel 2021 (dall’1,74% della fase III) e di nuovo rivista nel 2023. Con l’ultima direttiva, infatti, il fattore di riduzione è salito al 4,3% nel periodo 2024-2027 e al 4,4% all’anno a partire dal 2028. Quest’ulteriore inasprimento dovrebbe portare l’UE a ridurre le emissioni del 62% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005.

Il sistema, nello stato attuale, prevede che i “best performers” dei settori altamente esposti a rischio di carbon leakage abbiano il 100% delle quote gratuite (basate su benchmark definiti dalla media del 10% di impianti più performanti a livello europeo), mentre per i settori meno esposti questa percentuale si riduce al 30% per poi scomparire gradualmente tra il 2026 e il 2030. Il sistema permette alle aziende di acquistare o vendere quote di emissione (EU allowances o EUA) in base alle proprie esigenze. La riduzione piuttosto rilevante delle quote in circolazione, di concerto con la possibilità che operatori esterni al sistema possano acquistare sul mercato le EUA, ha comportato un’elevata volatilità e un aumento molto significativo dei prezzi di acquisto delle quote. Basti pensare che dal 1° gennaio 2021 ad oggi, il prezzo è aumentato del 42% (Grafico A).

Questo sistema determina uno svantaggio competitivo che era evidente già nel 2021, quando i prezzi del carbonio applicati alla produzione di acciaio, alluminio e cemento nei paesi con meccanismi di prezzo stringenti (come gli Stati membri dell’UE) sono stati generalmente superiori, spesso in modo sostanziale, rispetto a quelli vigenti nei mercati di importazione ed esportazione (Grafico B). Ad esempio, il prezzo medio del carbonio sostenuto dai produttori stranieri situati nei paesi da cui l’Italia importava cemento era di 40/tCO2e dollari più basso rispetto a quello dei produttori italiani, mentre il prezzo nei paesi in cui l’Italia esportava cemento era di 25/tCO2e dollari inferiore. Anche Francia e Germania hanno sperimentato uno svantaggio competitivo simile, seppur in misura più contenuta per quanto riguarda la produzione di alluminio e acciaio. Risalta invece il contrasto con gli Stati Uniti, dove il prezzo del carbonio domestico è inferiore a quello dei mercati di importazione ed esportazione in tutti e tre i settori.

Quali impatti dell’ETS sulle imprese? Il sistema ha contribuito in parte a ridurre le emissioni in Europa, specialmente nella fase III (2013-2020). Alcuni studiosi valutano che il passaggio alla regolamentazione più stringente della fase III abbia comportato una riduzione significativa di CO2, pari a 422 Mt, corrispondente al 3% del totale delle emissioni.

Oltre agli effetti sull’ambiente, è rilevante comprendere come il sistema ETS abbia impattato sulla performance delle imprese, considerando che i settori regolamentati rappresentano circa il 9% del valore aggiunto manifatturiero italiano, quota in linea con la media UE. Alcuni studi indicano che, quantomeno per le prime due fasi, gli effetti sulla competitività delle imprese e sui rischi di carbon leakage sono stati moderati o nulli. Studi più recenti sulla fase III mostrano un impatto, seppur moderato, sulla produttività delle imprese, con effetti piuttosto eterogenei fra i settori. Rimangono però ancora da esplorare le implicazioni dell’ulteriore restrizione avvenuta nella fase IV e gli effetti di lungo periodo, come ad esempio la propensione delle imprese ad investire in Europa e cosa potrà succedere quando le quote gratuite scompariranno nel 2034.

Un semplice esercizio di simulazione mostra che, ad esempio, l’eliminazione delle quote gratuite utilizzate dalle imprese italiane nell’ambito dell’EU-ETS nel 2022 comporterebbe in media un incremento dei costi diretti di produzione del 3%, con rilevanti eterogeneità a livello settoriale (Grafico C). Per le imprese che producono derivati dalla raffinazione del petrolio o prodotti ottenuti dalla lavorazione di minerali non metalliferi, l’impatto potrebbe superare il 5% dei costi di produzione, mentre gli effetti sembrano essere di entità minore per le imprese metallurgiche. Complessivamente, considerando la distribuzione delle imprese rispetto all’incremento dei costi nel suo insieme, l’impatto è quasi nullo per le imprese nel quartile inferiore, mentre supera il 7% per quelle nel quartile superiore.

C’è inoltre da considerare l’impatto delle quote di emissione della CO2 sul costo dell’energia elettrica che determina uno svantaggio competitivo per l’intera UE rispetto ad altre economie e in particolar modo per l’Italia, più esposta rispetto agli altri Stati Membri alla tecnologia gas.

Tempi e modi di attuazione del sistema ETS-CBAM Dal 2026 il CBAM imporrà una tassa sul carbonio alle importazioni di un gruppo di prodotti ad alta intensità di emissioni, quali ghisa, ferro, acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti, elettricità e idrogeno provenienti dai paesi extra-UE. Durante il corrente periodo transitorio, dal 1° ottobre 2023 al 31 dicembre 2025, gli obblighi dell’importatore sono limitati alla comunicazione alla Commissione. Le merci e i prodotti trasformati soggetti al CBAM sono selezionati per rispecchiare le attività comprese nel sistema ETS. L’entrata in vigore della tassa CBAM sarà graduale e andrà di pari passo con l’eliminazione delle quote gratuite ETS. Gli importatori dovranno pagare nel 2026 solo il 2,5% delle emissioni incorporate nei prodotti importati e questo tasso aumenterà gradualmente fino al 100% nel 2034, quando le quote ETS gratuite scompariranno.

Il CBAM mira così a garantire un prezzo del carbonio equivalente per le importazioni e per i prodotti interni. Il CBAM si applicherà inizialmente solo alle emissioni dirette (dal momento della produzione delle merci fino all’importazione nel territorio dell’Unione), rispecchiando l’ambito di applicazione dell’EU-ETS. In seguito, la tassa si applicherà anche alle emissioni indirette, cioè quelle derivanti dalla produzione di energia elettrica utilizzata per produrre le merci.

Più esposte le imprese italiane Nel 2023 le importazioni dell’Unione europea dai paesi extra-UE nei settori che nel 2026 saranno colpiti dall’imposta CBAM è superiore al 4% del totale importato fuori dal mercato unico e alimenta un deficit commerciale di circa 15 miliardi di euro. L’Italia è, tra i principali paesi manifatturieri europei, quello con una esposizione maggiore, pari al 7,5% delle importazioni totali. Inoltre, il saldo commerciale extra-UE in questi settori per l’Italia produce un deficit (-5,0 miliardi) mentre per la Germania e la Francia un surplus, sottolineando una maggiore dipendenza dell’Italia rispetto ai partner europei; soltanto i Paesi Bassi hanno un deficit commerciale (-8,0 mld di euro) più ampio di quello italiano. È importante sottolineare che i primi due paesi per deficit commerciale, Italia e Paesi Bassi, hanno allo stesso tempo un surplus se si considerano gli scambi di questi prodotti all’interno del mercato unico; cioè, svolgono anche una funzione di hub commerciale all’interno dell’Unione (Tabella A).


Le criticità del CBAM: problemi strutturali e di applicazione Una delle principali motivazioni del CBAM è la volontà di creare un level playing field all’interno del mercato unico tra i produttori UE e gli importatori dai paesi extra-UE nei settori a maggiore impronta carbonica. Tuttavia, nei principali mercati fuori dall’Unione le imprese competono in contesti dove il carbonio non viene prezzato (es. diversi stati USA) o ha un costo inferiore (es. Cina). Tale differenza rappresenta un problema in prospettiva, quando il CBAM sostituirà le quote gratuite ETS, determinando una perdita di competitività su tali mercati. In definitiva, l’assenza di un meccanismo di export rebate può ridurre le quote di mercato delle aziende europee nel mondo, limitando le loro economie di scala e quindi il potenziale di crescita. Al fine di assicurare il level playing field per gli esportatori europei è necessario, inoltre, mantenere misure di compensazione per i costi indiretti dell’ETS per quanto riguarda le esportazioni verso paesi con impronte di carbonio più elevate.

Inoltre, il CBAM potrebbe essere facilmente eludibile. Per esempio, gli operatori di Paesi terzi potrebbero differenziare gli impianti in relazione al mercato di riferimento: impianti più performanti per le produzioni destinate al mercato europeo, mentre quelle degli impianti ambientalmente più impattanti potrebbero essere destinate agli altri mercati meno regolamentati.

Altro elemento da considerare è l’applicazione dell’imposta a monte della catena di produzione, in quanto colpisce beni che in molti casi rappresentano semilavorati o materie prime e non i prodotti finiti. Le importazioni di prodotti lavorati che inglobano le materie prime soggette al CBAM non sono soggette ad alcuna imposizione, penalizzando, di fatto, l’industria europea di trasformazione. Tale struttura costituisce un incentivo a spostare parti a monte delle catene del valore in paesi terzi, eludendo il CBAM. Ciò potrebbe comportare anche un rischio di rilocalizzazione di parti a valle della produzione (downstream carbon leakage) a causa della perdita di competitività europea derivante da costi intermedi maggiori. Le imprese multinazionali, in particolare, possono avere maggiore facilità di manovra per la rilocalizzazione delle loro produzioni.

Problemi di applicazione soprattutto per le PMI L’implementazione del CBAM necessita sia di una raccolta delle informazioni necessarie che di una standardizzazione del metodo di quantificazione delle emissioni, operazioni entrambe onerose e complesse. Infatti, le imprese devono raccogliere dati dettagliati sul processo produttivo, inclusi i siti di produzione e le emissioni dirette e in futuro anche indirette, che comportano un notevole onere amministrativo lungo tutta la catena di produzione.

I dati oggi disponibili sono molto limitati e molte delle informazioni richieste devono essere fornite dai produttori nei paesi di origine, che possono non essere pienamente informati o cooperativi riguardo al meccanismo del CBAM, aumentando i costi di transazione per le imprese europee.

Inoltre, non è stato definito un metodo univoco per il calcolo delle emissioni, rendendo difficile per le imprese conformarsi efficacemente alle regole del CBAM.

Questo comporta confusione e potenziali rischi di sanzioni per le imprese che non riusciranno a soddisfare i requisiti.

Inoltre, le procedure sono in proporzione più onerose in termini di tempo e competenze da acquisire per le piccole e medie imprese (PMI), il cui peso nel sistema manifatturiero italiano è più elevato che altrove.

L’attuale fase di transizione appare cruciale per diversi motivi:

- i settori attualmente considerati dal CBAM si trovano in questa fase transitoria a competere con le importazioni dall’estero con un gap competitivo. Le quote gratuite nel sistema ETS coprono solo parzialmente le emissioni di CO2 generate nella produzione di beni sottoposti al CBAM: infatti, sono quantificate sulla base dei best performers. Inoltre, gli importatori, fino al 2025, non saranno soggetti al pagamento di alcuna imposizione e, dal 2026, la percentuale di applicazione del CBAM sarà limitata e correlata a una riduzione delle quote gratuite ETS. Pertanto, il gap competitivo per tutti i produttori europei non best performers, che devono affrontare un elevato costo per le loro emissioni, variabile da impianto a impianto e corrispondente alla distanza dal benchmark di prodotto, risulterà cristallizzato piuttosto che ridotto nel breve periodo. Il tema è particolarmente rilevante per il contesto italiano che, per sua conformazione geografica, è facilmente raggiungibile via nave dai produttori esteri di alcuni prodotti, come ad esempio il cemento;

- monitorare attentamente il CBAM permetterà di rimandare e, se necessario, correggere la sua implementazione a partire dal 2025. Ad esempio, potrebbe essere necessario posticipare la riduzione delle quote gratuite ETS qualora il CBAM dovesse risultare inefficace, come proposto anche nel Rapporto Draghi sulla Competitività UE;

- occorre inoltre ridurre l’onere amministrativo a carico delle imprese, soprattutto per le PMI, semplificando il processo di monitoraggio e reporting, attraverso l’introduzione di standard comuni e soluzioni IT, per quanto riguarda il calcolo delle emissioni di carbonio.

In generale, devono essere rafforzati, armonizzati e semplificati gli strumenti europei per favorire la decarbonizzazione, attraverso il coordinamento delle diverse azioni di policy, con un orizzonte di lungo termine (in linea con i tempi degli investimenti nelle industrie ad alte emissioni). In particolare, occorre rafforzare gli incentivi agli investimenti in energie rinnovabili, quindi a basse emissioni, per sostenere l’industria al fine di rendere conciliabile la decarbonizzazione e la reindustrializzazione.


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