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Gli attacchi degli Houti alle navi mercantili nello stretto di Bab-el-Mandeb, all’ingresso sud del Mar Rosso, snodo cruciale dello scambio di merci tra Europa ed Asia, hanno riportato in primo piano il tema dell’affidabilità e della sicurezza dei trasporti, anche nell’opinione pubblica.
È un tema, peraltro, ricorrente che non riguarda solo questo caso. Recentemente sono tornati a crescere gli episodi di pirateria nello stretto di Malacca, vicino a Singapore; la siccità ha ridotto l’operatività del canale di Panama; numerosi tifoni hanno rallentato le navigazioni nell’Oceano Pacifico e in quello Indiano. Strozzature logistiche di portata ancora più ampia si erano registrate durante la pandemia, quando i lockdown (specie in Cina) e il forte aumento della domanda di beni avevano causato prolungate congestioni nei porti ed evidenziato i limiti nella capacità della flotta mercantile globale.
Snodi critici si evidenziano non solo lungo le rotte intercontinentali, ma anche in quelle regionali. Le connessioni via terra tra l’Italia e gli altri paesi UE, attraverso l’arco alpino, stanno attraversando diverse criticità.
Sulla crisi nel Mar Rosso nel seguito è stato stimato l’impatto dei recenti aumenti dei noli marittimi (costi di trasporto, anche detti di shipping) sui prezzi alla produzione dell’industria italiana: complessivamente moderato (+0,9%) ma con forti differenze settoriali.
Le grandi arterie del trasporto globale e le loro diramazioni regionali costituiscono la struttura profonda, seppure a volte sottovalutata, del commercio mondiale. La stessa globalizzazione degli scambi e, in particolare, la frammentazione internazionale delle produzioni industriali, sono state rese possibili dagli avanzamenti tecnologici e organizzativi nella logistica e nei trasporti: l’utilizzo di container di dimensione standard, che ha ridotto tempi e costi del trasporto navale e ottimizzato l’attività portuale e i passaggi intermodali (su gomma o rotaia); la disponibilità commerciale di aerei cargo, che ha introdotto la possibilità di consegne più costose ma estremamente rapide; l’introduzione delle tecnologie digitali per la gestione delle global supply chain.
La modalità di trasporto via nave resta, a livello globale, quella più importante nel commercio di beni: riguarda ben l’80% degli scambi in volume e circa il 50% in valore. È un mezzo insostituibile per gli scambi intercontinentali e transoceanici di enormi quantità di beni: le navi più grandi possono contenere 24mila container, quanto un ipotetico treno merci lungo 44 miglia. I container possono trasportare una grande varietà di merce (alimentari, medicine, autoveicoli, macchinari pesanti, ecc.). Inoltre, gran parte della capacità di carico è costituita da navi bulk (rinfuse, non portacontainer), di materiale liquido (soprattutto petrolio e derivati) o solido (altre materie prime, anche di genere alimentare).
Cina e Asia costituiscono il baricentro dei trasporti marittimi. Il primo porto mondiale per movimentazione container (Shanghai), 4 dei primi 5 e 7 dei primi 10 sono in Cina. Il secondo (Singapore) e molti altri si trovano in Asia. Il primo porto non asiatico è in Europa (Rotterdam, al 10° posto); anche Anversa e Amburgo figurano nei primi 20. Tra questi compare un solo porto negli USA (Los Angeles, 17°).
Il trasporto aereo riguarda, invece, beni in quantità e peso relativamente ridotti, a più alto valore aggiunto e tecnologicamente avanzati, come i prodotti informatici, ottici, ecc., e in generale prodotti intermedi specifici, come le parti e componenti di autovetture e macchinari.
Le connessioni terrestri, via gomma e rotaia, rimangono essenziali lungo molteplici dimensioni: per la distribuzione a livello nazionale; per la connettività all’interno di aree regionali, come quella europea; e in misura crescente per lo sviluppo di grandi rotte intercontinentali, anche intermodali.
Ciò vale, in particolare, per i paesi dell’Unione europea. Attualmente esistono due progetti per ottimizzare i collegamenti intercontinentali tra l’Europa e l’Asia, e un terzo di rafforzamento della mobilità all’interno dei 27 paesi membri.
Il primo progetto riguardante il collegamento tra Europa e Asia è la via della seta cinese (Belt and Road Initiative), avviata nel 2013, ma in fase di rallentamento negli ultimi anni a causa della frammentazione dei rapporti geoeconomici tra i due blocchi. L’Italia, in particolare, non ha rinnovato il Memorandum of Understanding con la Cina (di durata quinquennale a partire da marzo 2019 e quindi appena scaduto).
Un secondo progetto, più recente, è il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), rilanciato dal premier indiano Modi in occasione del G-20 di settembre 2023. Il progetto IMEC fa parte di un più ampio Partenariato per le Infrastrutture e gli Investimenti Globali (PGII), avviato nel giugno 2022, che mira a contrastare la presenza cinese dominante nel Golfo Arabico. L'IMEC fornirà una rete di transito multimodale nave-rotaia di 4.800km tra India, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Giordania, Israele ed Europa. La Commissione europea stima che il nuovo corridoio potrebbe ridurre del 40% i tempi complessivi per i commerci tra India ed Europa.
La connettività intra-europea di merci e persone è al centro del progetto UE per la rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). La rete TEN-T mira a creare uno spazio unico europeo dei trasporti basato su una rete integrata e multimodale di trasporto terrestre, marittimo e aereo tra gli stati membri. Il progetto prevede la realizzazione di nove corridoi attraverso due tappe successive: entro il 2030 dovrebbe essere completata la Core Network, ossia l’insieme delle tratte strategiche a più alto valore aggiunto; entro il 2050 l’intera opera infrastrutturale (Comprehensive Network).
L’Italia è uno snodo logistico di assoluto rilievo della rete europea TEN-T. È attraversata da quattro dei nove corridoi programmati: Mediterraneo (Nord Italia da ovest ad est), Reno-Alpi (valichi di Domodossola e Chiasso), Scandinavo-Mediterraneo (valico del Brennero) e Baltico-Adriatico.
Particolarmente importante è il valico del Brennero, via più diretta tra Italia e Germania, che assorbe la quota più consistente dei volumi di merci attraverso l’arco alpino. Su di esso insistono notevoli problemi di circolazione, legati alle limitazioni imposte nella regione austriaca del Tirolo sul transito dei veicoli pesanti e alla mancanza di una valida alternativa ferroviaria. Attualmente circa il 70% dei flussi di merci transalpini viaggia su strada e la restante parte su ferrovia. Fa eccezione la frontiera svizzera, attraverso la quale più del 70% delle merci viaggia su rotaia, a seguito anche di una politica di promozione dell’intermodalità, perseguita da anni da parte della Confederazione elvetica.
La posizione italiana resta strategica, soprattutto, per gli scambi marittimi all’interno del Mediterraneo, anche come porta di connessione privilegiata tra paesi UE ed extra-UE. La presenza di importanti porti lungo tutto il suo territorio, da Trieste a Genova, a Gioia Tauro, è un asset da valorizzare, attraverso politiche e investimenti intermodali.
Le modalità di trasporto di merci in Italia, come emerge dalle statistiche sugli scambi con l’estero, sono molto diversificate.
Dal lato delle importazioni, più della metà dei volumi in entrata arriva via mare (59,6%; dati 2022); in valore tale quota si riduce al 35,0%. Tali flussi via mare provengono in larghissima parte da mercati extra-UE (Grafico A). Il trasporto via terra (gomma e ferrovia), invece, è concentrato negli acquisti dai paesi UE, per i quali è la modalità di gran lunga preponderante, in quantità e soprattutto in valore. Nel complesso, gomma e rotaia trasportano quasi il 30% dei volumi e quasi la metà del valore dell’import. Il vettore aereo, invece, riguarda quasi solo i mercati extra-UE, con una quota minima in volume e più significativa in valore (6,7%). Le condotte sono la modalità utilizzata per i trasporti di alcune materie prime energetiche, quasi esclusivamente dai paesi extra-UE, con un peso simile in termini di valore e di volume (intorno al 10%).
I flussi italiani di export mostrano modalità di trasporto simili in relazione ai mercati di destinazione: extra-UE principalmente nave e aereo, intra-UE in larga parte gomma e rotaia. Tuttavia, acquistano peso il trasporto via terra, che diventa preponderante in quantità, e in misura minore quello aereo (che in valore raggiunge il 12,2% del totale dell’export). Le navi trasportano comunque il 42,0% delle quantità esportate.
Vale la pena sottolineare che l’esposizione degli scambi italiani ai trasporti marittimi, in entrambe le direzioni, è più elevata della media europea: nei paesi UE transitano via mare meno della metà dei volumi importati e meno del 40% di quelli esportati.
I servizi di trasporto impattano sul prezzo dei beni importati e sulla competitività dei prodotti italiani, sia direttamente che indirettamente, cioè attraverso il costo e la disponibilità di materie prime e semilavorati acquistati all’estero. Secondo Banca d’Italia, la loro incidenza ha raggiunto il 5,0% del valore degli scambi con l’estero nel 2022, in aumento da circa il 4% prima della pandemia, soprattutto a causa del forte rincaro dei carburanti.
Ciò pesa sui conti italiani con l’estero, perché i vettori italiani detengono una quota di mercato bassa, e in calo, nei trasporti internazionali di merci da e verso l’Italia: da circa il 24% del mercato nei primi anni Duemila a poco più del 14% nel 2022. Tale quota è ancora più ridotta per i trasporti marittimi (circa il 7%). In particolare, i vettori italiani detengono quote minime nelle navi container e bulk (petrolio e materie prime), che movimentano la maggior parte dei volumi di merce in entrata in Italia.
Ciò deriva anche dalla tendenza dell’industria italiana di delegare la gestione della catena logistica all’acquirente o venditore estero. Infatti, nel caso di export è largamente utilizzato il cd. Ex Works (che attribuisce tutti i costi e i rischi del trasporto al compratore) mentre, nel caso di import prevale il ricorso alla modalità Delivery Duty Paid (che attribuisce tutti i costi e i rischi del trasporto al venditore). La logistica più che un’opportunità di competitività, viene percepita come costo da comprimere e, pertanto, la gestione del processo di trasporto è consegnato nelle mani dell’importatore o esportatore estero, che molto spesso si affida ad operatori esteri.
Di conseguenza, il deficit con l’estero nel settore dei trasporti ha raggiunto livelli record nel 2022 (-18,4 miliardi, di cui -13,9 per le sole merci), riducendosi poi nel 2023 grazie al parziale rientro dei prezzi energetici (-14,5 miliardi, -9,5 per le merci; Grafico B).
La restante parte dei flussi di trasporto riguarda i passeggeri e i servizi logistici e ausiliari. Merci e passeggeri utilizzano modalità di trasporto internazionale diverse: via mare e via terra (gomma, treno, condotte) le merci, come già osservato; soprattutto via aereo i passeggeri. Se si assegnano alle merci anche i servizi logistici e ausiliari connessi alle prime due modalità di trasporto, circa due terzi degli acquisti italiani di servizi di trasporto esteri risultano riconducibili agli scambi di beni. Il restante terzo (compresi i servizi logistici e ausiliari nel settore aereo) può essere ricondotto ai viaggi turistici e lavorativi.
I primi attacchi Houti alle navi mercantili nello stretto di Bab el-Mandeb risalgono all’inizio di dicembre 2023. Lo spostamento delle rotte commerciali è iniziato nella seconda metà del mese: sono calati i transiti per il canale di Suez e, a seguire, sono aumentati quelli per il Capo di Buona Speranza. Da inizio dicembre a fine marzo i transiti nel Mar Rosso sono caduti del 59%, mentre quelli intorno all’Africa sono cresciuti del 66% (Grafico C). Per contenere l’impatto sui tempi di trasporto è aumentata la velocità media delle navi, soprattutto in un primo periodo.
Il numero dei transiti totali è rimasto su livelli sostanzialmente stabili fino a metà febbraio di quest’anno, ma si è fortemente ridotto nell’ultimo mese. Il Centro Studi Confindustria ha costruito un indicatore dei transiti nei principali choke-point (stretti) marittimi, che registra un calo di oltre il 20% in marzo. Ciò è dovuto in particolare al forte calo dei transiti nello stretto di Malacca (-29% in un mese), in seguito a ripetuti attacchi di pirateria locale. Malacca rappresenta, infatti, uno dei più importanti snodi marittimi mondiali: registra 220 passaggi giornalieri (in media nel 2023), più della somma di Bab-el-Mandeb (75) e Buona Speranza (49).
L’impatto degli attacchi Houti è stato quasi immediato sui costi globali di shipping. I noli lungo la tratta Cina-Europa sono balzati nella seconda settimana di dicembre, seguiti già nella settimana successiva da un aumento generalizzato lungo tutte le tratte, anche a seguito di una riorganizzazione delle flotte delle compagnie navali per far fronte all’allungamento delle rotte tra Asia-Europa.
I costi di shipping tra Shanghai e Genova sono aumentati di ben 3 volte e mezzo a fine gennaio (+356%) per poi rientrare parzialmente a fine marzo (+172%). Dinamica sostanzialmente equivalente, su livelli più bassi, hanno registrato i noli Shanghai-Rotterdam. I noli tra Cina e Stati Uniti, invece, hanno reagito con un lieve ritardo, raggiungendo un picco a febbraio e registrando aumenti quasi al 100% a fine marzo. La rotta tra Shanghai e New York, in particolare, resta costosa anche per l’operatività a mezzo servizio nel canale di Panama. Nel complesso, i costi di shipping globali si attestano a fine marzo su livelli superiori del 112% rispetto a quattro mesi prima (Grafico D).
Nel medio e lungo periodo è necessario un aumento e un rinnovamento della flotta marittima globale, anche per ridurre le emissioni di gas serra. L’età media delle navi, infatti, è aumentata del 10% nell’ultimo decennio (da 20 a 22 anni), anche a causa dell’incertezza sugli sviluppi tecnologici, specie nel tipo di propulsione, e sulle normative green. Una flotta più ampia ed efficiente potrebbe assicurare la capacità di trasporto necessaria su una rotta Europa-Asia stabilmente più lunga.
Ciò comporta investimenti molto rilevanti da parte delle grandi compagnie di navigazione che controllano il mercato dello shipping (le prime quattro gestiscono quasi la metà della flotta in termini di capacità), soprattutto lungo le rotte intercontinentali.
I tempi e quindi i costi variabili di shipping (ore lavorate dal personale di bordo, consumo di carburante) rimarrebbero comunque più elevati, in caso di blocco dei passaggi per il Mar Rosso. In particolare, l’aumento dei tempi di percorrenza con l’Italia è ovviamente funzione (inversa) della distanza complessiva: circa +50% con il Giappone, +60% con la Corea del Sud, +70% con la Cina, +100% con Singapore e Malesia, +170% con l’India, fino a +200% con l’Oman (vicino all’imbocco del Mar Rosso). Si tratterebbe di 16-27 giorni aggiuntivi di navigazione, per una nave che viaggia a 11 miglia orarie.
Anche in questo scenario estremo, l’aumento (percentuale) dei costi variabili si scaricherebbe solo in parte su quelli totali (comprensivi dei costi fissi) e quindi sui nuovi prezzi di equilibrio. L’impatto di breve periodo osservato nei noli appare quindi destinato a ridursi ancora significativamente.
Un’altra importante strada da percorrere consiste nel potenziare le rotte transcontinentali alternative, via terra e intermodali. Date le incerte prospettive della via della seta, acquista particolare rilevanza il progetto di corridoio India-Medio Oriente-Europa, come detto in precedenza.
Per i beni energetici, infine, è possibile incrementare il transito di gas e petrolio attraverso l’oleodotto che collega le coste est ed ovest dell’Arabia Saudita (East-West pipeline, peraltro oggetto anch’esso di attacchi dallo Yemen), evitando lo stretto di Bab-el-Mandeb. Attraverso il mar Rosso, infatti, transita quasi il 10% degli scambi globali di petrolio e gas naturale liquefatto, ma appena lo 0,2% è imbarcato sulle coste ovest dell’Arabia Saudita.
Secondo l'indagine sulle aspettative di inflazione e crescita di Banca d'Italia, circa un terzo delle imprese manifatturiere ha subito ritardi nell'approvvigionamento di input o maggiori costi di trasporto nel primo trimestre del 2024, per effetto della chiusura delle rotte commerciali navali nel Mar Rosso. Al fine di quantificare gli scambi dell’Italia con l’estero che potrebbero essere maggiormente impattati abbiamo considerato un insieme di paesi asiatici e medio-orientali che per la loro collocazione geografica sono interessati al passaggio nel Canale di Suez. Nel 2023 lo scambio di beni tra l’Italia e questi 39 paesi è stato pari a 176 miliardi di euro, poco meno di un terzo degli scambi con l’insieme dei paesi extra-UE; quasi due terzi di questi beni hanno raggiunto le rispettive destinazioni attraverso il trasporto marittimo.
In particolare, le importazioni da questi paesi rappresentano il 40% di quelle extra-UE e il loro peso arriva quasi al 50% se si considera la modalità di trasporto via mare. Particolarmente colpito da shock lungo queste tratte marittime è il settore dei macchinari, dove l’esposizione raggiunge quasi il 70% delle importazioni dai paesi extra-UE (Grafico E). La quota arriva fino al 90% se si considerano dati più disaggregati, come le componenti elettroniche dei macchinari. Un’esposizione elevata ma leggermente più bassa, pari a due terzi dell’import extra-UE, riguarda i mobili, l’abbigliamento e il tessile, i prodotti chimici organici e quelli in metallo.
Le esportazioni italiane verso questo sotto-insieme di paesi extra-UE sono minori delle importazioni, sia nel complesso che nella modalità di trasporto via nave: in entrambi i casi, circa un quarto dei prodotti venduti ai paesi extra-UE nel 2023. La distribuzione settoriale dei prodotti maggiormente esposti all’insieme dei paesi qui considerati è pressoché uguale a quella rilevata per le importazioni. I comparti più esposti sono: l’abbigliamento, tessile e calzature (più di un terzo del totale venduto ai paesi extra-UE, con picchi del 40% per il tessile); i macchinari (quasi il 28%, ma l’esposizione raggiunge il 40% nelle componenti elettroniche); i prodotti chimici, farmaceutici, gomma e materie plastiche (poco più di un quinto, ma un terzo del totale dell’extra-UE per i composti dell’azoto e i fertilizzanti).
Calcolare l’esposizione di ciascuna filiera consente di ottenere una prima valutazione dell’impatto diretto di una maggiorazione dei costi di trasporto via mare.
Utilizzando le tavole input/output è possibile stimare l’effetto dell’aumento del costo del trasporto marittimo dei beni importati sui prezzi alla produzione dei singoli comparti manifatturieri, sia come effetto diretto sia indiretto. In particolare, il primo si riferisce all’aumento del prezzo degli input produttivi intermedi acquistati all’estero, che entrano direttamente nella produzione di ciascun settore; l’effetto indiretto riguarda il sistema di interrelazioni settoriali dell'economia per cui un aumento del prezzo alla produzione di un settore (a seguito dei maggiori prezzi “importati”) ha un effetto a “cascata” sui costi di tutti i comparti che acquistano input intermedi da quel dato settore, all’interno dei confini nazionali.
Sulla base delle variazioni nei costi di shipping internazionali rilevati a fine marzo, si è stimato che l’aumento nei costi di trasporto marittimo ha effetti moderati sui prezzi alla produzione nel manifatturiero, pari in media a un +0,9%, ma con importanti differenze settoriali (Grafico F).
I diversi effetti settoriali dipendono sia dalla relativa esposizione agli acquisti lungo le rotte del Mar Rosso (sul totale dell’import), sia dalla composizione dei loro input produttivi (importati o domestici), sia infine dalla loro posizione lungo le filiere di produzione domestiche (poiché l’aumento dei prezzi si diffonde a valle).
Chimica e metallurgia sono i comparti dove le variazioni nei prezzi all’import degli input hanno un effetto maggiore, rispettivamente di +3,6% e +3,4% sui prezzi alla produzione. Entrambi i settori, infatti, pur presentando un’esposizione diretta agli acquisti extra-UE non tra le più elevate (in particolare la metallurgia è meno esposta al commercio con i paesi asiatici), sono caratterizzati da un’elevata dipendenza dall’import, che avviene in maniera preponderante via mare.
Segue il settore della carta, per cui si rileva un aumento dell’1,5% dei prezzi alla produzione, mentre alimentari e meccanica strumentale si attestano sui valori medi della manifattura.
In maniera similare a chimica e metallurgia, nel caso della carta le importazioni extra-UE e in particolare dai paesi asiatici non giocano un ruolo così importante, e quindi l’esposizione diretta è limitata. Tuttavia, la dipendenza dall’import è superiore alla media del manifatturiero (26%) e soprattutto è molto elevato il peso del trasporto via mare (quasi il 5% del valore dell’import).
Alimentari e soprattutto meccanica, infine, presentano una quota relativamente elevata di importazioni al di fuori dell’UE ma una dipendenza dall’import più limitata (rispettivamente “solo” 20% e 15%). Inoltre, mentre il trasporto via mare per i beni alimentari è una modalità piuttosto rilevante (vale circa il 3% del valore dell’import), per la meccanica conta poco (poco più dell’1%).
L’effetto finale sui singoli settori, quindi, non dipende solo da quanto pesano le forniture commerciali che passano per il Mar Rosso, ma è il frutto di una combinazione di diverse componenti: la struttura produttiva di ciascun comparto e le sue interdipendenze domestiche, la dipendenza dall’import e la modalità degli scambi, sia in termini di paesi coinvolti sia di modalità di trasporto utilizzate.