Costo dell’elettricità troppo alto per le imprese italiane

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Il prezzo dell’energia elettrica rappresenta un importante fattore di competitività per le imprese. In Italia è strutturalmente più alto in confronto agli altri paesi europei. Ciò dipende dal modo in cui si forma tale prezzo sul mercato, troppo legato al prezzo del gas e della CO2. Questo legame crea anche uno svantaggio competitivo per l’intera UE rispetto ad altre economie. Sono state proposte delle alternative, ad esempio il prezzo unico europeo o una riforma del mercato elettrico. Tra le fonti, i costi dell’elettricità prodotta dal solare e dall’eolico non sono più tanto alti. Una loro maggiore quota nella generazione elettrica potrebbe attenuare i costi dell’energia, e giovare all’ambiente.

a. Prezzi elettrici di mercato

Per l’Italia il prezzo dell’elettricità “all’ingrosso”, cosiddetto PUN (Prezzo Unico Nazionale; Grafico A), ha toccato un picco storico nel 2022 (304 medi nell’anno, con una punta di 543 €/MWh in agosto). Ciò è avvenuto in corrispondenza del balzo del prezzo del gas legato alla guerra Russia-Ucraina. Il PUN è infatti ancora legato alla generazione termoelettrica, quindi alle commodity energetiche fossili in particolare il gas naturale (si veda par. c), ed alle quote di emissione del meccanismo ETS.

Grafico Elettricità: prezzo molto sotto i picchi, ma ancora alto - Rapporto CSC primavera 2024

Poi il PUN è sceso, prima velocemente e in seguito gradualmente, fino a toccare quota 88 €/MWh a marzo 2024. Il prezzo in Italia, tuttavia, resta ancora significativamente più alto del livello medio che si registrava nel 2019, pari a 52 €/MWh (+69%).

I prezzi “all’ingrosso” (di mercato) dell’elettricità per i vari paesi europei sono determinati nelle Borse Elettriche nazionali, analogamente a quanto avviene in Italia con il PUN. Questi prezzi, raccolti dal Gestore dei Mercati Energetici (GME), sono direttamente confrontabili, ed evidenziano in alcuni periodi differenze anche molto marcate (Grafico B). In tutti i grandi paesi UE si è registrata una prima impennata del prezzo nel 2021 e poi ancor più nel 2022 e un rientro parziale nel 2023. Quindi, le dinamiche generali sono state analoghe. Ma i livelli molto diversi: in Spagna il massimo, in termini di valori medi annui, è stato toccato a 167 euro nel 2022, in Germania a 235, in Francia a 275 e in Italia appunto a 304. Divari molto ampi.

Grafico Prezzi delle Borse Elettriche nazionali in Europa - Rapporto CSC primavera 2024

Il differenziale Italia-Germania ha toccato un massimo proprio nel 2022 (+69 €/MWh), rientrando poi solo parzialmente nel 2023 (a +32 euro), rispetto a una media di +16 euro nel periodo pre-pandemia 2016-2019. Questo differenziale, sebbene in misura variabile, l’Italia lo ha rispetto a tutti i principali paesi UE (Italia-Spagna +40 nel 2023, Italia-Francia +30). Gli ultimi dati GME disponibili, relativi a febbraio 2024, confermano l’esistenza di ampi differenziali di prezzo tra paesi UE: si va dai 40 €/MWh in Spagna, a 58 €/MWh in Francia e 61 €/MWh in Germania, fino al valore registrato in Italia (88 €/MWh) che rimane nettamente il più alto, più che doppio rispetto al prezzo spagnolo.

Tutto ciò si traduce in una perdita di competitività delle imprese italiane rispetto a quelle europee. Soprattutto nei settori industriali più energy intensive, nei quali, in Italia, la produzione, negli ultimi due anni, è scesa molto più che nella media dell’industria. È importante quindi capire quali sono i motivi di questi differenziali di prezzi nel Continente.

b. Prezzi elettrici per le imprese

In un contesto di generalizzata crescita dei prezzi dell’energia elettrica di mercato (PUN), nel 2022 si è registrato un forte aumento anche del prezzo medio effettivamente pagato dalle imprese (ovvero, utenti “non domestici” che sono quelli con consumi oltre una certa soglia), incluse tasse e oneri (+79%, 345 €/MWh da 193 nel 2021).

Questo incremento del prezzo lordo è dovuto in larga parte alla significativa variazione subita dal prezzo al netto di tasse e oneri (+131%), che si forma nella contrattazione tra fornitori e imprese partendo dal riferimento dato dal PUN.

Rispetto agli altri paesi dell’Eurozona (Grafico C), l’Italia ha registrato l’incremento più elevato, seguita da Spagna (+71% nel 2022), Francia (+25%) e Germania (+23%). Tali differenziali tra paesi seguono solo in parte quelli registrati nelle varie Borse Elettriche europee.

Grafico Il prezzo dell'elettricità per i consumi non domestici - Rapporto CSC primavera 2024

Il picco in Italia (prezzo lordo) si è verificato nel secondo semestre del 2022, mentre il prezzo è poi diminuito del 12,4% nel primo semestre 2023 rispetto alla media 2022. Dinamica simile ha contraddistinto la Spagna, dove però il prezzo dell’elettricità è sceso del 42,2% nello stesso periodo, tornando sui livelli del 2021. Al contrario, in Germania il prezzo è rimasto quasi stabile (+3%), mentre in Francia il picco è stato toccato proprio a inizio 2023 (+63,3%).

La dinamica mostrata dal prezzo medio dell’elettricità per le imprese si ritrova nelle diverse classi di consumo. Considerando sempre i prezzi “lordi”, si nota come gli incrementi siano crescenti con la classe di consumo (ovvero, la dimensione d’impresa). Con variazioni nel 2022 che hanno toccato un +154% nella classe più alta (>150.000 MWh) a fronte di +32% della classe più bassa (<20).

Questa volatilità tra classi di consumo è stata decisamente più marcata per i clienti italiani rispetto ai competitor europei, e si deve essenzialmente all’andamento della componente “oneri e imposte”: mentre nell’Area euro si è registrato un aumento di +54%, sostanzialmente invariante in relazione alle diverse classi di consumo, in Italia l’incremento è rimasto contenuto (circa +5%), ma con una dinamica molto diversificata per classe di consumo: si è contratta per i clienti dal consumo più basso (-27,4% per le prime tre classi), a fronte di un aumento di circa il +65% per le classi di consumo più alte.

Gli ultimi dati disponibili, riferiti al primo semestre 2023, mostrano che nonostante la discesa dei prezzi energetici internazionali e le misure implementate dal Governo per attutire il rincaro dell’elettricità, il prezzo medio per le imprese risulta ancora sopra i livelli del 2° semestre 2019: in Italia è ancora più alto di circa +120 euro/MWh, leggermente meno della Francia (+140), ma più alto rispetto a Germania (+80) e Spagna che è quasi tornata sui livelli del 2019 (+10). Questo differenziale 2023 vs 2019 è attribuibile sostanzialmente al prezzo netto, rimasto più elevato, mentre la componente di oneri e tasse si mantiene inferiore rispetto ai livelli pre-pandemici, in Italia specialmente per la classe di consumo più bassa (A).

Nel complesso, il prezzo medio lordo dell’elettricità per le imprese italiane a inizio 2023 rimane il più alto (300 €/MWh) nel confronto con i principali paesi europei, seguito da Germania (260), Francia (250) e Spagna (150). Rimangono più svantaggiate le aziende italiane nelle classi di consumo più basse (in particolare A e B) mentre risulta essere più costosa l’energia elettrica per i clienti tedeschi nella fascia di consumo più alta (G) e per le classi intermedie (D, E; Grafico D).

Grafico Prezzo dell'elettricità per classe di consumo - Rapporto CSC primavera 2024

Questo confronto sui prezzi non include le misure di supporto alle imprese energy intensive, sviluppate dai diversi paesi:

a) In Germania sono state varate molte misure per contenere il prezzo dell’energia elettrica per i consumatori industriali per gli anni 2024 e 2025, con l’impegno del Governo di prolungarle nel triennio 2026-2028. In particolare: un fondo da 2,65 miliardi per la compensazione dei costi indiretti ETS trasferiti nel prezzo dell’energia elettrica (electricity price compensation) per le imprese esposte al rischio di carbon leakage; l’eliminazione degli oneri legati alle incentivazioni per le energie rinnovabili (EEG surcharge) dalle bollette di cittadini e imprese (spostati in fiscalità generale) per un valore di 10,6 miliardi (nel 2022 la EEG era di 3,72 centesimi €/kWh); la riduzione dell’imposta sull’elettricità per le aziende al valore minimo consentito dalle norme UE (dagli attuali 1,537 centesimi di €/kWh, si scenderà a 0,05 centesimi di €/kWh) per un valore di circa 3,25 miliardi; uno sgravio aggiuntivo (super cap regulation) per le 90 imprese con le bollette elettriche più elevate, per 1,18 miliardi.

b) In Francia viene sfruttata la produzione di energia da nucleare attraverso alcune misure per il comparto industriale. Al momento è vigente il sistema Arenh secondo il quale vengono venduti circa 100 TWh all’anno ad un prezzo di 42 €/MWh a imprese industriali. Questo meccanismo verrà aggiornato da gennaio 2026, secondo la proposta del Governo, con la vendita dell’intera produzione francese da nucleare, compresi i nuovi reattori, ad un prezzo medio di 70 €/MWh. La misura sarà variabile, su due livelli, in base alle quotazioni di mercato: qualora i prezzi sul mercato europeo superassero i 78-80 €/MWh, sarà restituito il 50% della differenza rispetto al prezzo base (70), che sarà ridistribuito ai consumatori attraverso i fornitori; se invece le quotazioni dovessero oltrepassare i 110 €/MWh, dovrà essere restituito il 90% della cifra eccedente i 70 €/MWh.

Le misure sviluppate in Italia appaiono ridotte se confrontate con quanto previsto in questi paesi; anzitutto, in Italia il fondo per la compensazione dei costi indiretti ETS è pari a solo 140 milioni nel 2024 (incrementato a 300 dal 2025); mentre le misure per settori “energivori” e “gasivori” legate alla riduzione degli oneri derivanti dalle incentivazioni per le energie rinnovabili valgono complessivamente 1,5 miliardi; in aggiunta alle precedenti, le imprese italiane possono ottenere vantaggi economici solo in cambio della fornitura di servizi di sicurezza ai sistemi elettrico e del gas, o attraverso l’investimento nelle infrastrutture energetiche.

c. Meccanismi di formazione del prezzo dell’elettricità

Nonostante la crisi energetica scoppiata nel 2021-2022 e l’ampio dibattito che si è sviluppato a fronte del balzo dei prezzi, in Europa non sono state ancora decise delle vere riforme in tema di formazione del prezzo dell’elettricità (si veda la Nota dal CSC).

Come visto nel par. a, il prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Italia è il PUN, che si forma presso la Borsa Elettrica. Il sistema è analogo negli altri grandi paesi europei. Il problema è che il PUN italiano risulta stabilmente più alto dell’analogo prezzo quotato in altri paesi sulle borse elettriche, come Germania, Francia, Spagna. Ciò avviene per l’effetto combinato di due fattori:

1) in tutte le borse elettriche europee il meccanismo di formazione del prezzo è quello del “costo marginale”. Tra le diverse fonti (fossili, rinnovabili) con le quali si può produrre elettricità, il gas è quello che presenta il costo marginale maggiore (per le rinnovabili è pari a zero, mentre sono elevati i costi fissi) ma è anche quello in grado di coprire le fasi in cui le rinnovabili generano meno energia (le ore notturne o i picchi di energia); ovvero, il gas agisce come la “fonte residuale”. Quindi, il PUN è sostanzialmente basato sul marginal cost del gas.

2) un ruolo cruciale lo gioca anche il diverso mix di fonti fossili e rinnovabili, che viene utilizzato dai vari paesi europei per produrre elettricità. In Italia, la quota del gas sulla generazione elettrica complessiva è molto più alta che in Germania, Francia, Spagna.

Dunque, il prezzo dell’elettricità è determinato in tutta Europa anzitutto dal prezzo del gas (meglio: dal costo marginale di produrre elettricità tramite gas), gas che ha di fatto un prezzo unico nel Continente (il riferimento per tutti è la quotazione TTF), ma siccome nel meccanismo di prezzo entra anche quanta elettricità si ottiene dalle rinnovabili (fonti che hanno costi marginali più bassi) e in Italia per produrre elettricità si usa molto più gas che altrove, ovvero meno rinnovabili, si finisce per avere un prezzo elettrico più alto rispetto agli altri paesi europei.

Nel dibattito, si è ragionato e si continua a farlo sulle possibili alternative. Anche perché, se il mercato elettrico fosse stato meno legato al gas, l’impatto complessivo sulle bollette di imprese e famiglie di un dato aumento del prezzo sarebbe stato meno ampio.

Una delle proposte è quella della definizione di un “prezzo unico europeo” per l’elettricità, proprio a fronte delle ampie differenze che invece si registrano oggi tra le varie borse elettriche nazionali. Tuttavia, nella recente revisione del Regolamento sul Market Design del Mercato Elettrico della Commissione europea, una riforma di questo tipo non è stata inclusa e resta quindi in vigore la regola del system marginal price.

Confindustria ha presentato una propria proposta di riforma del mercato elettrico in Italia, con l’obiettivo di supportare l’espansione delle fonti rinnovabili e svincolare il prezzo dell’elettricità dai costi delle fonti fossili. L’idea è quella di creare un mercato transitorio (Maver) in cui scambiare energia elettrica tra fornitori e utilizzatori e poi una piattaforma nel lungo periodo per l’elettricità rinnovabile ( Power Purchase Agreement, PPA). In tal modo il prezzo dell’elettricità finirebbe per essere basato sul costo medio delle rinnovabili (LCOE, Levelized cost of energy, si veda il par. d), non più sul costo marginale del gas.

In parallelo all’attesa espansione di medio-lungo termine delle fonti rinnovabili (sole, vento), in Italia serviranno anche massicci investimenti sulla rete elettrica, per renderla ancora più capillare, e su un sistema diffuso di impianti di accumulo di elettricità, localizzati laddove sorgeranno gli impianti rinnovabili sul territorio.

d. I costi delle varie fonti elettriche

Una misura utile per confrontare il costo di generazione di elettricità ottenuta da diverse fonti energetiche e con diverse tecnologie è il cosiddetto LCOE. Tale misura viene utilizzata per confrontare la competitività delle diverse fonti e tecnologie, siano esse fossili come carbone, petrolio, gas, o rinnovabili come solare, eolico, idroelettrico. Più in dettaglio, il LCOE è basato sul calcolo del ricavo medio per unità di elettricità generata, necessario per coprire i costi dell’impianto durante tutta la sua durata (break even).

Il LCOE delle tecnologie rinnovabili è in forte calo a livello globale (Grafico E). La diminuzione più significativa è quella mostrata dalla tecnologia solare fotovoltaica (-89% nel 2022 rispetto al 2010) e solare termica (-69%). Anche il costo dei progetti eolici è diminuito: -69% l’onshore e -59% l’offshore.

Grafico LCOE per tipo di tecnologia - Rapporto CSC primavera 2024

I dati IRENA permettono di confrontare il LCOE medio ponderato dell’elettricità da fonti rinnovabili e da fonti fossili: la differenza tra i due costi indica la convenienza relativa tra le due fonti, per cui al diminuire del differenziale, migliora la competitività degli impianti da fonti rinnovabili (Grafico F). Il risultato cruciale che emerge è che, mentre fino a circa 10 anni fa le fonti rinnovabili erano più costose, negli anni più recenti il costo di alcune di esse (solare fotovoltaico, eolico onshore) è sceso sotto il costo delle fonti fossili tradizionali. Dunque, alcune fonti rinnovabili oggi sono più convenienti.

Grafico Competitività delle fonti rinnovabili in confronto alle fonti fossili - Rapporto CSC primavera 2024

Inoltre, nel confronto tra paesi in termini di LCOE delle diverse fonti-tecnologie, emerge che l’Italia ha un vantaggio competitivo sia nell’eolico onshore che nel solare fotovoltaico, non solo rispetto ai suoi principali competitor europei, ma soprattutto rispetto a Cina e Stati Uniti. Questo differenziale, acuitosi proprio nel 2022, è attribuibile al brusco aumento dell’LCOE dei combustibili fossili con il balzo del prezzo del gas, rendendo le fonti rinnovabili ancora più competitive.

Il LCOE delle fonti fossili era sceso molto negli anni pre-pandemici: -26% nel 2019 rispetto al 2010 in Italia (-30% in Germania e -17% in Francia), per poi aumentare di +230% nel 2022 rispetto al 2019 (Germania +212% e in Francia +190%), a fronte di un aumento più contenuto negli Stati Uniti (+59%) e in Cina (+70%). Al contrario, il LCOE del solare e dell’eolico onshore è diminuito rispettivamente di -85% e -70% in Italia nel 2022 rispetto al 2010 (-85% e -64% in Francia, -80% e -63% in Germania), similmente a quanto registrato nei paesi non europei (-74% negli Stati Uniti sia solare che eolico onshore, -88% il solare e -68% eolico in Cina).

e. Prezzi del gas (a monte)

Il prezzo del gas al momento, come visto, è la base del prezzo dell’elettricità. Perciò, fino a che non si riformerà il meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità in Italia e in Europa, sganciandolo dalla quotazione del gas, tutte le imprese europee (quindi anche le italiane) sono e resteranno penalizzate rispetto a quelle americane e giapponesi.

Ciò è risultato particolarmente evidente con la recente crisi energetica del 2021-2022, quando il balzo del prezzo del gas, che è stato registrato ovunque, ha però assunto in Europa proporzioni colossali (Grafico G). I dati Banca mondiale mostrano le differenze nel prezzo del gas nella UE vs USA e Giappone. Nel 2022 il prezzo del gas in Europa, misurato dalla quotazione del TTF presso Amsterdam, che agisce da quotazione “unica” di riferimento nel Continente, è arrivato a 40,3 dollari in media, rispetto ai 4,8 del 2019, registrando quindi un abnorme aumento di +740%. Nello stesso periodo, negli USA il gas è rincarato “solo” di +148% e in Giappone di +74%.

Grafico Prezzo del gas naturale - Rapporto CSC primavera 2024

Dopo la graduale moderazione da fine 2022 e durante il 2023, il prezzo europeo del gas a inizio 2024 resta ancora molto più alto dei livelli pre-crisi energetica. In particolare, è oggi di quasi 5 volte più alto di quello americano (8,1 contro 1,7 $/mmbtu), mentre nel 2019 era “appena” di 2 volte più alto (4,8 contro 2,6).

Visto che il prezzo del gas determina anche quello dell’elettricità, al momento, questo si traduce in un “duplice” problema di competitività per le nostre imprese rispetto a quelle extra-europee: non solo quelle che consumano direttamente gas, ma anche tutte quelle che consumano elettricità hanno costi molto superiori.

Questo gap di prezzi rispetto ad America e Giappone si aggiunge, per le imprese italiane, al gap esistente sui prezzi elettrici rispetto agli altri paesi UE. Questa perdita di competitività, come detto, la stiamo già vedendo nel pesante calo della produzione dei settori energy intensive. Il peso di questi settori sul valore aggiunto della manifattura in Italia è molto significativo: 13,3% nel 2019 (2,2% del valore aggiunto complessivo dell’economia; Tabella A).

Tabella Produzione industriale negli energy-intensive - Rapporto CSC primavera 2024

f. Mix fonti elettriche

In Italia la fonte principale per la produzione di elettricità è il gas naturale (54,4% nel 2022; Tabella B). La quota ottenuta da fonti energetiche rinnovabili, compreso l’idroelettrico, è salita in modo graduale ma significativo nel corso degli ultimi decenni (36,1%, dati BP).

In tal modo, il ruolo del carbone e soprattutto del petrolio (olio combustibile) nella generazione elettrica è ora limitato (6,1% e 3,4%), sebbene il petrolio resti la fonte prima in Italia in termini di consumi di energia primaria.

Tabella Generazione di elettricità per fonte - Rapporto CSC primavera 2024

Il nucleare, come noto, non viene utilizzato nel nostro Paese per produrre elettricità, mentre copre quote importanti in Germania (6,0%), UK (14,6%) e Spagna (20,0%) e soprattutto in Francia, che ne è il leader mondiale (63,0%).

L’idroelettrico è una tradizionale fonte rilevante per l’Italia, ma negli ultimi anni è divenuta più volatile dati i frequenti problemi di carenza di piogge e siccità. Nel 2022, in particolare, la generazione idroelettrica è crollata da 45 a 28 TWh e la quota sul totale è scesa di quasi 6 punti.

Dunque, nel determinare il costo complessivo della produzione di elettricità in Italia, per oltre la metà conta il costo del gas. Una quota di gas che è molto più alta rispetto agli altri principali paesi europei: Francia 10,0%, Germania 13,8%, Spagna 30,4%, UK 38,4%.

L’Italia, a ben vedere, è uno dei paesi al mondo con il maggior utilizzo di gas nella generazione elettrica: seconda tra gli avanzati dietro solo al Messico (56,3%) e nettamente sopra gli altri, anche extra-UE (Giappone 30,9%, USA 39,9%), superata da pochi paesi emergenti (Arabia Saudita 67,1%, Egitto 79,3%).

Nonostante la forte crescita registrata dalla capacità installata FER (Fonti Energetiche Rinnovabili) nel 2023 (+5,7GW, dati Enea), si evidenzia la sostanziale staticità delle due fonti rinnovabili principali (sole e vento), in termini di quote percentuali, tra le fonti utilizzate per l’effettiva produzione di elettricità. Dopo un picco di installazioni tra il 2008 e il 2013, negli ultimi anni c’è stato un forte rallentamento: l’incremento della capacità installata si è ridotto a circa 800 MW all’anno (Grafico H).

La frenata decennale (pre-2022) degli investimenti nelle rinnovabili è ascrivibile a diversi fattori: le caratteristiche dell’attuale meccanismo di incentivazione, l’andamento moderato del prezzo dell’energia elettrica, le complessità burocratiche e la lentezza negli iter sottostanti le autorizzazioni, che hanno agito da freno alla realizzazione di nuovi impianti.

Grafico Mix energetico per la produzione di elettricità - Rapporto CSC primavera 2024

g. Dipendenza dall’estero

Come è divenuto chiaro di recente con il rischio di blocco dell’import di gas russo in Europa, un’alta dipendenza dall’estero per le materie prime energetiche può mettere a rischio l’attività industriale (in paesi importatori come l’Italia) e i consumi delle famiglie.

Similmente alla maggior parte dei paesi avanzati, l’Italia è importatrice netta di fonti energetiche di origine fossile (Grafico I). Essendo ancora oggi un produttore (ma ormai marginale) di petrolio e di gas naturale (non di carbone), il nostro Paese, secondo i dati aggiornati al 2022, ha una dipendenza estera poco inferiore a quella totale che si registra in altri paesi europei.

Grafico Fonti fossili: avanzati dipendenti dall'estero, tranne gli USA - Rapporto CSC primavera 2024

Gli USA sono l’eccezione tra gli avanzati visto che sono tra i principali produttori mondiali di tutte e tre le fonti fossili (grazie alla rivoluzione dello shale gas e poi dello shale oil, che ha ampliato enormemente nell’ultimo decennio le loro riserve sfruttabili di queste materie prime), tanto da risultare addirittura esportatori netti di gas (e carbone).

Per il petrolio, la quota di import dell’Italia arriva al 92,4%, contro il 100,0% di Francia, Germania, Spagna, Giappone. Gli USA registrano nel 2022 una dipendenza minima dall’estero (7,2%), il Regno Unito, grazie ai giacimenti nel Mare del Nord, è in una situazione intermedia (40,9%).

Per il gas, la quota di import italiana è del 95,2%, in linea con la Germania (94,5%) e meglio degli altri grandi paesi UE che sono al 100%. Anche per questa fonte il Regno Unito è in una situazione migliore (47%) dei partner continentali.

Per il carbone, l’Italia insieme alla Francia è al 100% di dipendenza dall’estero. Spagna (98,9%) e Giappone sono appena sotto, grazie a una minima produzione domestica. Per tale fonte, è la Germania ad avere la dipendenza più contenuta (48,1%), più bassa di quella del Regno Unito (91,4%).

Dal punto di vista della dipendenza estera, le fonti rinnovabili presentano (in linea teorica) un netto vantaggio: per produrre elettricità da rinnovabili non è necessario importare fonti energetiche, perché ogni paese può trovare al suo interno le risorse necessarie (sole, vento, acqua), pur con maggiore o minore abbondanza a seconda del clima e della conformazione geografica.

Tuttavia, è possibile che il problema della dipendenza dall’estero sia solo spostato più a monte: per produrre elettricità da rinnovabili è necessario disporre di pannelli fotovoltaici, pale eoliche, ecc. Se l’industria domestica non produce (abbastanza) questi materiali o il paese non dispone delle materie prime con cui essi sono prodotti, occorre importarli e la dipendenza dall’estero si è solo trasferita su un altro prodotto.

In tal senso va superata la convinzione, smentita dai recenti accadimenti, in primis il conflitto in Ucraina, che la transizione energetica possa rappresentare una liberazione dal peso della dipendenza estera (nelle fonti fossili). Infatti, le materie prime critiche, essenziali per lo sviluppo di impianti a zero emissioni come le rinnovabili, ma anche larga parte delle tecnologie necessarie, sono in prevalenza in possesso della Cina. Solo il rafforzamento della capacità produttiva europea e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento delle materie prime potrebbe limitare questa dipendenza. In ogni caso, come mostrano le recenti stime International Energy Agency sulla domanda mondiale di energia da fonti fossili, al momento e ancora per qualche anno il peso delle fonti tradizionali rimane significativo e, con esso, il loro impatto sul prezzo dell’elettricità.

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