Lo scenario internazionale

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7.1 Commercio mondiale

Tornano in crescita gli scambi globali, permane l’incertezza

Nel 2023 il commercio mondiale di beni ha registrato una brusca battuta d’arresto (-1,9%; Tabella 3), ancora più ampia di quanto assunto nel rapporto di ottobre scorso (-1,0%). I fattori che hanno contribuito al rallentamento sono numerosi e ancora presenti a inizio 2024: fiacca domanda di beni manifatturieri e di investimento; tassi di interesse ai massimi; prezzi energetici stabilmente superiori alle quotazioni pre-pandemia; forti tensioni e sempre maggiore frammentazione geopolitica; in Europa pesa, inoltre, la recessione tedesca.

Tabella Le esogene internazionali della previsione - Rapporto CSC primavera 2024

Le prospettive appaiono in graduale miglioramento. Il rientro dell’inflazione accresce il potere d’acquisto e la fiducia delle famiglie, che sostengono i consumi; inoltre, avvicina la discesa dei tassi e, quindi, la risalita degli investimenti. La produzione industriale è attesa in graduale rafforzamento, grazie a una maggiore domanda di beni (dopo l’avvenuto recupero nei servizi), alla necessità di adeguare il livello delle scorte e anche a politiche industriali favorevoli in alcuni paesi, come gli Stati Uniti.

Nel biennio di previsione l’economia globale si manterrà su un sentiero di espansione anche se a ritmi moderati. La crescita sarà sostenuta dalle economie emergenti, in lieve accelerazione, da quella USA, seppure in graduale rallentamento, e solo nel 2025 da una migliore dinamica nell’Eurozona.

Il commercio mondiale di beni tornerà quindi a crescere a ritmi modesti: +2,0% nel 2024 (invariato rispetto alle previsioni di ottobre) e +2,5% nel 2025. In tale scenario, il commercio a fine biennio previsivo si riporta sui ritmi di espansione del PIL mondiale (+2,6% e +2,7%, a prezzi costanti e cambi di mercato).

Esistono, tuttavia, significativi rischi al ribasso, che riguardano un aumento delle tensioni geopolitiche, un’escalation dei conflitti militari in atto e ulteriori interruzioni nelle catene globali di fornitura, soprattutto nei trasporti internazionali (si veda il Focus n. 5). In positivo, invece, potrebbero sorprendere una possibile tenuta del robusto ritmo di crescita degli Stati Uniti e una ripartenza più veloce dell’economia europea, a partire da quella tedesca, soprattutto nel caso di un rientro dei tassi più rapido dell’atteso.

Segnali positivi dagli indicatori congiunturali

Il commercio mondiale di beni è risalito nel 4° trimestre 2023 (+0,5% sul 3°) e a inizio 2024 (+0,9% a gennaio su dicembre), dopo ben quattro trimestri negativi.

Indicazioni debolmente positive provengono dall'indice di movimentazione container portuale (RWI/ISL Container Troughput Index), in aumento in febbraio anche nei porti europei, che erano stati deboli in gennaio per le interruzioni delle rotte lungo il Mar Rosso. A gennaio l’indice (della FED) di pressione sulle catene globali del valore non segnala difficoltà nella gestione degli scambi; ciò potrebbe essere sia il riflesso di una domanda ancora debole, che di un adeguamento in corso delle scorte. L’indice di rischio geopolitico globale è in calo rispetto alla fine del 2023, pur restando su valori storicamente elevati (Grafico 25). Nel 1° trimestre la componente ordini esteri del PMI manifatturiero mondiale, in area di contrazione da marzo 2022, segnala una tendenza verso la stabilizzazione (49,2, soglia neutrale = 50).

La dinamica degli scambi mondiali di beni quest’anno sconta un’eredità statistica pressoché nulla dal 2023 (-0,1%).

Grafico Rischio geopolitico e pressioni sulle catene di fornitura alimentano l'incertezza - Rapporto CSC primavera 2024

Scambi e produzione industriale per aree

La dinamica del commercio mondiale è tornata in linea con quella della produzione industriale a fine 2023, dopo l’accelerazione registrata nel biennio 2021-2022, connessa al forte rimbalzo dell’attività lungo le catene di fornitura (scambi di materie prime e semilavorati; Grafico 26).

Grafico Gli scambi sono tornati in linea con la produzione industriale - Rapporto CSC primavera 2024

L’evoluzione del commercio mondiale è il risultato di dinamiche molto eterogenee tra aree geografiche. La caduta degli scambi mondiali nel 2023 è spiegata completamente dal contributo negativo dei paesi avanzati (-2,0%), per metà dovuto all’Eurozona. Nei paesi emergenti asiatici, Cina esclusa, e nell’America Latina, si è registrato un lieve calo. In Cina, invece, la crescita degli scambi con l’estero è stata robusta, soprattutto nella seconda parte del 2023, ma meno di quella della produzione industriale (si veda oltre).

Il calo degli scambi nel 2023 è diffuso a tutte le principali categorie di merci; fanno eccezione gli autoveicoli (con un forte aumento di quelli elettrici), la farmaceutica e gli strumenti di precisione.

Negli emergenti si riduce il canale commerciale estero…

La correzione dell’intensità del commercio mondiale sulla produzione industriale nel 2023 (tornata sui livelli del 2019) nasconde quindi realtà diversificate per aree: i paesi emergenti mostrano una contrazione del peso degli scambi sulla produzione interna (-4,5% rispetto al 2019), mentre in quelli avanzati l’intensità è in crescita (+2,6%; Grafico 27).

Grafico Si riduce l'apertura dei paesi emergenti - Rapporto CSC primavera 2024

In particolare, per l’economia cinese è in atto un bilanciamento dal canale estero alla produzione interna: dal 2019 al 2023 il peso del commercio estero sulla produzione industriale si è ridotto di più dell’8%. Ciò si inserisce in una dinamica di lungo periodo di minore partecipazione cinese alle catene globali del valore, in particolare con una sostituzione di input importati con semilavorati made in China, grazie a un ampliamento della capacità manifatturiera domestica.

L’apertura commerciale degli Stati Uniti e dei paesi dell’Area euro, invece, è aumentata più della loro produzione industriale tra il 2019 e il 2023 (+7,8% quella americana, +2,8% quella europea).

Tali dinamiche sembrano essere accompagnate anche da una riconfigurazione dei flussi di scambio tra blocchi di paesi “amici”, cioè in base alle “distanze” geopolitiche. Un’analisi delle quote di mercato incrociate tra Unione europea, Stati Uniti e Cina (in base al peso dei flussi bilaterali sul totale in uscita da un paese e in entrata nell’altro) mostra alcuni segnali di disaccoppiamento. In particolare, è diminuito fortemente il peso delle vendite cinesi negli Stati Uniti (-2,0 punti dal 2022, -5,9 dal 2018), ma non nella UE (-0,8 sul 2022, ma +0,2 sul 2018); nell’ultimo anno si sono rafforzate le connessioni commerciali tra UE e USA (+0,8 punti sui flussi in uscita, +1,9 in entrata).

… e per la Cina anche i capitali esteri

L’impatto dell’instabilità geopolitica e dei più alti costi di investimento a causa della politica monetaria restrittiva, sono particolarmente evidenti nella dinamica mondiale degli investimenti diretti esteri, che sono in riduzione dal 2020 (-30% nel 2022), al netto di una correzione statistica del 2021. Anche nei primi tre trimestri del 2023 il flusso dei capitali esteri investiti nel mondo si è ridotto significativamente (-26% rispetto allo stesso periodo del 2022).

Negli IDE si osserva una polarizzazione sempre più marcata tra aree. Nel 2022 al gruppo dei paesi del G-20 è stato destinato più dell’80% dei capitali investiti nel mondo. In particolare, gli Stati Uniti, da sempre il principale beneficiario dei flussi di IDE, hanno raggiunto quasi il 30% del totale. La Cina, anch’essa importante meta di destinazione dei capitali esteri fino alla pandemia, ha invece progressivamente perso attrattività: nel 3° trimestre 2023 per la prima volta ha registrato un deflusso di capitali esteri. Tale riduzione si attenua se si considerano soltanto gli investimenti di tipo greenfield, tipologia maggiormente destinata nei paesi emergenti.

L’UNCTAD individua nei settori più legati alle catene globali del valore i maggiori beneficiari di IDE nel 2023: in particolare, automotive, tessile, elettronica e macchinari. Si registra invece una riduzione, interpretabile come un aggiustamento dopo la forte crescita del 2022, dei capitali destinati ai semiconduttori.

Servizi in robusta espansione

Gli scambi mondiali di servizi, al contrario di quelli di beni, hanno proseguito lungo un sentiero di robusta crescita nel 2023 (+8% in valore), su livelli ampiamente superiori ai valori pre-pandemia. Sono stati trainati dall’aumento dei viaggi, che registrano un balzo del 40% sul 2022, pur raggiungendo solo nel 3° trimestre del 2023 i livelli pre-pandemici (in valore, quindi includendo i forti aumenti nei prezzi).

L’espansione degli scambi di servizi ha riguardato, con intensità simile, tutte le principali macro-aree del mondo. Il recupero dei viaggi, però, è ancora incompleto nell’America del Nord e soprattutto in Asia. C’è spazio, quindi, per una crescita sostenuta dei viaggi anche nel biennio previsivo, in assenza di nuovi shock. Nel medio periodo, inoltre, una progressiva riduzione delle elevate barriere agli scambi di servizi (per lo più di tipo regolatorio) potrebbe favorire un forte incremento dell’offerta internazionale di servizi intermedi (alla produzione, informatici, professionali, finanziari ecc.), soprattutto da parte dei paesi emergenti.

 7.2 USA e FED

Rivista al rialzo la crescita USA

Nello scenario di previsione si ipotizza una crescita del PIL degli Stati Uniti del +2,2% nel 2024, che segue il +2,5% registrato nel 2023, e del +2,0% nel 2025. L’ultimo dato relativo al 4° trimestre 2023, con una dinamica del PIL molto superiore alle attese, ha orientato in senso particolarmente positivo il trascinamento nell’anno in corso (a +1,3%). L’inerzia statistica più favorevole spiega larga parte della revisione al rialzo delle ipotesi per il 2024 rispetto al rapporto di ottobre scorso (+1,4%).

Il miglioramento è dovuto a una maggiore tenuta delle abitudini di consumo delle famiglie e di investimento da parte delle imprese. Le prime hanno goduto, a partire dalla seconda metà del 2022, di una crescita dei salari orari (+0,32% nell’ultimo trimestre 2023) stabilmente superiore a quella dell’inflazione core (+0,17%; Grafico 28). Contestualmente, le famiglie hanno sostenuto gli acquisti erodendo l’extra-risparmio accumulato nel periodo della pandemia: la propensione al risparmio, infatti, è diminuita più che in altri paesi. Le imprese hanno invece potuto usufruire degli incentivi fiscali introdotti con l’Inflation Reduction Act e non hanno sofferto pienamente gli effetti dei tassi elevati di politica monetaria, ad eccezione di quelle operanti nel settore delle costruzioni.

Grafico I salari medi orari in 5 degli ultimi 6 trimestri superiori all'inflazione - Rapporto CSC primavera 2024

Nel 4° trimestre del 2023, il PIL americano è aumentato dello +0,8% (Grafico 29), dopo già sei trimestri positivi consecutivi (+1,2% nel terzo), portando l’economia americana al +3,1% rispetto al 4° trimestre del 2022 e a un livello cumulato dell’8,2% superiore rispetto a quello pre-Covid (4° trimestre 2019).

Grafico USA: crescita del PIL reale e contributi - Rapporto CSC primavera 2024

La dinamica positiva del PIL negli ultimi quattro trimestri è stata trainata in particolare dai consumi, che hanno contribuito per +1,8% alla crescita cumulata (+0,8% i consumi di beni, +1,0% quelli di servizi) e per lo 0,50% a quella del 4° trimestre 2023. D’altra parte, gli investimenti fissi lordi hanno invertito il trend negativo osservato tra il 2° trimestre del 2022 e il 1° trimestre del 2023, mettendo a segno un +0,58% di contributo al PIL tra dicembre 2022 e fine 2023; ciò nonostante il contributo nullo degli investimenti in costruzioni (+0,01%); cui si aggiunge un decumulo delle scorte (-0,31%). Le esportazioni nette hanno invece contribuito positivamente (+0,24%), come risultante di un miglioramento delle esportazioni (+0,24%) con le importazioni rimaste ferme (contributo nullo). Molto forte anche la spinta all’economia fornita dalla spesa pubblica (+0,78%).

Dal lato dell’offerta, la produzione industriale è diminuita nel 4° trimestre del 2023, per via di due decrementi nelle rilevazioni di dicembre (-0,3% mensile) e ottobre (-0,7%). I dati relativi ai primi due mesi del 2024 delineano una variazione acquisita trimestrale di -0,4%, dopo la debole crescita registrata nel 3° trimestre. Segnali contraddittori per l’industria sono giunti dagli indicatori congiunturali: l’indice dei Direttori degli acquisti di Chicago e l’ISM manifatturiero sono tornati ad allontanarsi, verso il basso, dalla soglia di espansione (rispettivamente 41,4 punti a marzo e 47,8 a febbraio). Al contrario, il PMI manufatturiero nel nuovo anno è cresciuto regolarmente, riportandosi sopra i 50 punti (52,5 a marzo da 47,9 a dicembre). Infine, gli indici sull’attività manifatturiera locale della FED sono prevalentemente attestati su valori ancora recessivi, solo quello di Philadelphia si colloca su valori espansivi.

Il mercato del lavoro ha registrato un consolidamento del tasso di disoccupazione, su valori contenuti: 3,8% medio a gennaio e febbraio 2024, da 3,7% nel 4° trimestre 2023. I posti di lavoro creati tra gennaio e dicembre 2023 nei settori non agricoli sono stati complessivamente 3,0 milioni (erano stati 4,5 milioni nel 2022); e sono in aumento nel 1° trimestre 2024 (504mila tra gennaio e febbraio e 779mila nel 1° trimestre, se a marzo si confermasse il dato di febbraio), rispetto al 4° 2023 (637mila).

L’indice di incertezza di politica economica americana misurata dall’EPU Index nel 4° trimestre del 2023 ha registrato un incremento del 13,3% rispetto al 3°, mentre il dato acquisito nel 1° trimestre 2024 è un calo dell’11,6%. Il dato mensile di febbraio 2024 risulta inferiore del 21,4% rispetto a quello di gennaio, presumibilmente come contro-rimbalzo dopo il forte aumento osservato a fine 2023 con l’esplosione del conflitto nella Striscia di Gaza. D’altra parte, l’incertezza è destinata ad aumentare nel corso dell’anno, man mano che si entrerà sempre più nel vivo delle elezioni presidenziali di novembre.

In prospettiva, nella prima metà del 2024 i conti delle famiglie risentiranno positivamente della (ulteriore) riduzione attesa dell’inflazione. Viceversa, l’extra risparmio è stato ormai interamente speso. L’effetto degli elevati tassi di politica monetaria sulle imprese si dispiegherà pienamente nei primi due trimestri del 2024, e inizierà ad attenuarsi nella seconda metà di quest’anno, dopo il previsto taglio di un punto percentuale tra giugno e dicembre 2024 (si veda più avanti in questo paragrafo). In particolare, ne trarranno beneficio gli investimenti in costruzioni, che nell’ultimo anno sono scesi significativamente, come già anticipato dal rialzo dei prezzi immobiliari.

Come risultante di tali fattori, il tasso di crescita dell’economia statunitense è ipotizzato essere moderato tra la seconda metà del 2024 e il 1° trimestre del 2025, quando inizierà a esercitare una spinta favorevole l’allentamento dei tassi di politica monetaria. Nel complesso, la dinamica del 2025 risulterà più moderata rispetto al 2024, per un’inerzia statistica meno favorevole di quella che ha accompagnato l’economia USA all’inizio di quest’anno.

FED quasi pronta a tagliare i tassi

La FED ha tenuto fermi anche a marzo 2024 i tassi ufficiali nella forchetta 5,25-5,50%. Si tratta dell’ottavo mese di stasi, dopo i rapidi rialzi decisi da marzo 2022 (quando il tasso di riferimento era a 0,00-0,25%) e proseguiti fino a luglio 2023. Il tasso effettivo FED è stabile a 5,33% a marzo (da 0,08% prima dei rialzi; Grafico 30).

Grafico Tassi americani: fine del rialzo, vicini i tagli - Rapporto CSC primavera 2024

L’inflazione USA si è ridotta in misura marcata rispetto al picco del 2022 (+9,1% a giugno), ma negli ultimi mesi la flessione si è sostanzialmente interrotta (+3,5 annuo a marzo 2024, era già +3,1% a giugno 2023), su valori molto sopra l’obiettivo del +2,0%. Inoltre, la misura core è anche più alta (+3,8%). Negli USA i prezzi al consumo dell’energia, a differenza di quanto avviene in Italia e Eurozona, non diminuiscono più in termini annui (+2,1%). E la crescita sostenuta dell’economia americana genera pressioni domestiche sui prezzi; le retribuzioni nominali nel settore privato, pur in frenata a +4,1% annuo a dicembre 2023 (da +5,5% a giugno 2022), hanno incorporato il precedente rialzo dei prezzi energetici e ora alimentano i prezzi domestici, secondo la classica “spirale prezzi-salari”. Nei primi mesi del 2024 negli USA (e nell’Eurozona) si è registrata una risalita delle aspettative di inflazione a un anno.

La disoccupazione USA, come detto, mostra qualche incremento negli ultimi mesi, fino a marzo 2024, dal minimo di metà 2023, risentendo della stretta monetaria. Resta comunque sotto il valore di lungo termine, che la FED a marzo ha stimato al 4,1%. E la Banca Centrale resta fiduciosa che i tassi ancora alti non stiano indebolendo eccessivamente l’economia americana.

A marzo 2024 il comunicato FED è chiaramente rivolto nella direzione di possibili tagli del tasso ufficiale. Non viene indicato un timing e il taglio è condizionato ai prossimi dati, in particolare a una discesa dell’inflazione verso il +2,0%.

Secondo i dati diffusi a marzo, una maggioranza ampia dei membri del FOMC (Federal Open Market Committee), 17 su 19, intende abbassare i tassi nel 2024; non c’è dunque l’unanimità. A giudicare dalle preferenze rese note dalla FED, il consenso si dovrebbe formare su 3 tagli di un quarto di punto, al 4,50-4,75% entro fine anno. Per il 2025, quasi tutti i membri del FOMC (18 su 19) intendono tagliare ancora i tassi; vista l’ampia dispersione delle preferenze individuali dei membri del FOMC, si dovrebbe arrivare al 3,75-4,00% entro fine anno, ovvero altri 3 tagli di un quarto di punto.

Le attese dei mercati (stime CME) recentemente riviste al rialzo dopo il dato sull'inflazione a marzo, indicano come sentiero più probabile che i tassi FED restino fermi al picco attuale ancora per cinque mesi e poi inizi il taglio, da settembre, scendendo a 4,75-5,00% entro l’anno (una riduzione di mezzo punto). Nel 2025, secondo i future, la FED taglierà ulteriormente i tassi, portandoli al 4,25-4,50% entro dicembre (una riduzione di un altro mezzo punto).

Lo scenario CSC segue le indicazioni del FOMC: si ipotizza che la FED deciderà di tagliare i tassi da metà del 2024 (come già scontato nella previsione di ottobre 2023) e che il taglio prosegua nel corso del 2025. Si arriverebbe così a valori meno restrittivi: 4,75% a fine 2024, 4,00% a fine 2025.

La stima del livello “neutrale”, di lungo periodo, del tasso USA nominale è stata alzata di un decimo al 2,60% dal FOMC a marzo: il tasso effettivo FED nel marzo 2024 supera tale valore di +2,7 punti. Nella prima parte del 2024, quindi, la politica monetaria dovrebbe continuare a frenare l’economia e l’inflazione americane, anche se nel 2023 gli USA hanno proseguito la crescita nonostante i tassi alti. Nello scenario di previsione, la policy monetaria restrittiva sarà progressivamente alleggerita nel corso del 2024 e del 2025: alla fine del prossimo anno, comunque, il tasso FED supererà ancora la soglia neutrale di 1,4 punti.

Mentre sono ormai esclusi altri rialzi, resta una probabilità elevata che la FED invece possa decidere di tenere i tassi fermi più a lungo di quanto qui scontato. Ciò per far scendere più rapidamente l’inflazione USA (Grafico 31). Si tratta di un rischio al ribasso per l’economia americana e, di riflesso, anche per quella europea. Specie se questo inducesse la BCE, per timore di ripercussioni sull’euro, a continuare a seguire il sentiero fissato oltreoceano, dove però la dinamica dell’economia reale è molto migliore rispetto all’Eurozona stagnante.

Grafico L'inflazione USA si è fermata poco sopra l'obiettivo - Rapporto CSC primavera 2024

La direzione seguita dal tasso FED e da quello BCE è stata infatti analoga in tutta la fase di rialzo dal 2022 e anche nella stazionarietà attuale, con quello americano stabilmente più alto. La distanza in media è stata di +1,2 punti nel 2023 ed è stimata a +1,1 sia nel 2024 che nel 2025. Tenendo sotto controllo questo differenziale, finora la BCE ha evitato il proseguire del trend di svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, che si era sviluppato nella prima parte del 2022 (quando la FED aveva già alzato i tassi e la BCE ancora no). Un risultato importante per i prezzi in Europa, ma che ha finito per porre la BCE in una condizione di follower, rispetto al leader nelle decisioni sui tassi che, al momento, è la FED.

Si riducono i titoli nel bilancio FED

Nel comunicato di marzo, la FED ha confermato il rapido percorso di decumulo dei titoli accumulati nel suo bilancio con il vecchio piano di Quantitative Easing. Ciò viene ottenuto tramite il reinvestimento solo parziale in nuovi titoli americani delle somme incassate dai vecchi bond che giungono a scadenza. Il risultato netto è di -95 miliardi di dollari di titoli al mese nel portafoglio FED.

Perciò, lo stock di titoli si sta riducendo rapidamente (-914 miliardi in titoli negli ultimi 12 mesi), pur restando ancora ampio: a marzo 2024 il portafoglio FED include ancora 4.620 miliardi di dollari in Treasury e 2.400 in Mortgage Backed Security, un ammontare enorme.

La costante riduzione dello stock di titoli sta gradualmente rimuovendo il freno, al ribasso, che la domanda FED di titoli aveva esercitato in precedenza sui rendimenti di medio-lungo termine negli USA. Tuttavia, in un contesto che ora è caratterizzato da attese di taglio sui tassi a breve, il Treasury decennale negli ultimi 12 mesi non ha più mostrato un trend di risalita, ma piuttosto ampie oscillazioni: 4,02% a marzo 2024, da un picco di 4,80% a ottobre 2023 e un minimo di 3,35% nell’aprile dello scorso anno.

 7.3 Eurozona e BCE

Ancora frenata la crescita per l’Area euro

Nel biennio di previsione le attese per l’Area euro sono di una crescita moderata dell’attività. Per quest’anno è prevista una performance piuttosto debole (+0,5% in media d’anno), anche per effetto di una dinamica dell’economia tedesca ancora negativa. A partire dalla seconda metà del 2024, il rafforzamento della domanda globale e il progressivo calo dei tassi di interesse, unitamente al recupero del potere d’acquisto delle famiglie grazie agli aumenti salariali attesi, daranno più slancio alla crescita dell’Eurozona, che proseguirà più vivacemente nel 2025 a un ritmo medio di +1,1%.

Nel 4° trimestre del 2023 l’economia dell’Area euro è rimasta quasi piatta (-0,05%), dopo una lieve contrazione nel 3° (-0,1%). In media d’anno, nel 2023 si è registrata una timida crescita di +0,5%, come previsto nel rapporto di ottobre. L’effetto di trascinamento sull’anno in corso è sostanzialmente nullo. Il rallentamento risulta evidente se si confronta la crescita del PIL nei quattro trimestri del 2023 con quella dei corrispondenti trimestri dell’anno precedente, rispettivamente pari a +1,3%, +0,6% e +0,1% negli ultimi due (Grafico 32).

Grafico Stagnazione per l'Area euro a fine anno - Rapporto CSC primavera 2024

Questa moderata dinamica complessiva dell’Area nasconde una discreta eterogeneità tra i principali paesi: debole l’economia francese, negativa quella tedesca, decisamente più positiva quella italiana e ottima quella spagnola.

La caduta del PIL in Germania sul finire dell’anno (-0,3% nel 4° trimestre, dopo la stagnazione nel 2° e 3°), è la manifestazione delle difficoltà che sta attraversando il paese, la cui economia nel 2023 si è contratta nel complesso di -0,3%. L’economia tedesca è stata penalizzata dal contributo negativo sia della domanda interna, in particolare i consumi delle famiglie (-0,4), ma anche gli investimenti (-0,1), sia di quella estera (-1,1 il contributo dell’export; Grafico 33).

Grafico La debolezza dell'economia tedesca - Rapporto CSC primavera 2024

In Francia il PIL è rimasto quasi piatto nella parte finale del 2023: zero e +0,1% le variazioni congiunturali nel 3° e 4° trimestre. Nel complesso l’economia francese è cresciuta di +0,7% nel 2023, per effetto dei contributi positivi, seppur modesti, sia della spesa delle famiglie (+0,3), che degli investimenti (+0,2). Questi ultimi sono stati trainati esclusivamente da quelli in impianti e macchinari e da quelli in prodotti di proprietà intellettuale, a fronte di una significativa contrazione degli investimenti in costruzioni, specialmente nelle abitazioni.

In Spagna, al contrario, l’ottima performance dell’economia, cresciuta in media d’anno di +2,5% nel 2023, è proseguita anche nell’ultima parte (+0,4% nel 3° trimestre e +0,6% nel 4°), beneficiando di una dinamica della domanda interna vigorosa, grazie al contributo dei consumi delle famiglie (+1,0), mentre è stato contenuto l’apporto degli investimenti (+0,1), che nell’ultima parte dell’anno hanno registrato una significativa diminuzione (-2,0%).

In Italia l’espansione del PIL nel 2023 è stata trainata per il terzo anno consecutivo principalmente dagli investimenti (+1,0 il contributo annuo), in modo singolare rispetto a tutti agli altri paesi euro (si veda il par. 2); importante anche il contributo dei consumi delle famiglie (+0,7 il contributo annuo).

I segnali provenienti dai principali indicatori congiunturali degli ultimi mesi mostrano una fase di sostanziale stabilità per l’Area euro, riflessa nel sentiment di imprese e famiglie le cui aspettative non sono né di miglioramento, né di ulteriore debolezza. La discesa dell’inflazione e la normalizzazione dei prezzi energetici, in particolare quello del gas, hanno agito positivamente. Tuttavia, i tassi ancora alti, le incertezze sul fronte internazionale, come il conflitto israelo-palestinese e le tensioni sul Canale di Suez, unitamente alla debolezza della domanda mondiale, agiscono in direzione contraria. Il clima di fiducia misurato dall’Economic Sentiment Indicator, è tornato a scendere, seppur moderatamente, nei primi due mesi del 2024 (da 96,4 a dicembre 2023, a 95,4 a febbraio), sebbene in lieve risalita a marzo (96,3). L’indice della produzione industriale mostra a gennaio una flessione significativa (-3,2%, dato penalizzato dalla significativa contrazione registrata in Irlanda, di -29,0%), trainata dal crollo registrato nella categoria di beni strumentali, più esposti all’effetto negativo degli alti tassi di interesse. Anche la fiducia dei consumatori, in lieve calo nella parte finale del 2023 (-16,7% nel 4° trimestre da -16,3% nel 3°), mostra un recupero piuttosto esiguo nei primi tre mesi dell’anno in corso (in media -15,5%).

Relativamente alla Germania, che per il suo peso in termini di PIL (27,6% del totale dell’Eurozona) influisce significativamente sulla performance dell’intera area, non sembra delinearsi una inversione di tendenza nel breve termine. Le difficoltà riscontrate dalle imprese tedesche, in particolare quelle manifatturiere, continuano a riflettersi nel deterioramento della fiducia (saldo delle risposte a -17,0 in media nel 1° trimestre 2024, da -15,0 nel 4° trimestre 2023), e nelle attese sugli ordini che continuano a peggiorare (-27,0 da -23,0 nello stesso periodo). Negativa, inoltre, continua ad essere la dinamica della produzione industriale, non soltanto nei settori energy-intensive, ma anche in altri settori strategici per la transizione ecologica (Grafico 34). Parzialmente in recupero, invece, il settore dell’automotive, sebbene ancora sotto i livelli pre-pandemici. La debolezza tedesca, negli ultimi mesi, è tornata ad estendersi anche al settore dei servizi.

Grafico In calo gli energy-intensive, ma adesso anche altri settori strategici - Rapporto CSC primavera 2024

Inflazione europea alta ed eterogenea

Per quanto riguarda l’inflazione, è ancora eterogenea, seppur in misura minore rispetto ai mesi scorsi, la dinamica tra i paesi dell’Eurozona: si va dal +4,9% annuo a marzo della Croazia (la più distante dalla media dell’Area, +2,5%), fino al +0,6% della Lettonia (Grafico 35). In Italia a febbraio si è registrato un +1,3% di crescita dei prezzi al consumo (si veda par. 4), che ha portato il gap con l’Eurozona a -1,1 punti: rispetto ai suoi principali partner commerciali, l’Italia è l’unica a posizionarsi sotto il target del 2%, mentre Germania (+0,7 dal target), Spagna (+0,9) e Francia (+1,2) si collocano ancora sopra.

Grafico Ancora eterogenea l’inflazione tra i paesi dell’Area euro - Rapporto CSC primavera 2024

La dinamica mostrata dall’inflazione core nei vari paesi europei segue per lo più quella dell’inflazione totale, sebbene la distanza tra i paesi che si collocano sotto la media europea sia più contenuta rispetto a quanto misurato sull’inflazione totale: in questo caso, la Francia mostra un differenziale con la media europea solo lievemente più ampio rispetto all’Italia (-0,6 punti, a fronte di -0,5 a febbraio).

In termini di inflazione totale, un ruolo particolarmente rilevante nel determinare il differenziale tra i paesi europei lo hanno svolto i prezzi energetici: i prezzi al consumo dell'energia si sono diversificati significativamente negli ultimi due anni, a causa di fattori come la diversa dipendenza energetica dalla Russia, la diversa intensità energetica della struttura produttiva, ma anche a causa di mercati energetici retail eterogenei nell'Eurozona e di differenti politiche governative adottate dagli stati membri. Dato che i prezzi al dettaglio dell'energia hanno iniziato a salire in momenti e a velocità diverse nei singoli paesi (nel 2022), l’effetto base al ribasso sulle variazioni tendenziali, che si ha quando i prezzi si appiattiscono o iniziano a diminuire, è entrato in gioco in momenti differenti e con diverse intensità. Ciò ha causato oscillazioni sostanziali nelle dinamiche tendenziali dei prezzi energetici nei diversi paesi. Differenti traiettorie dovute in particolare a quelli regolamentati (Grafico 36), che in Italia a febbraio hanno registrato un -19,5% tendenziale, a fronte di -10,1% in Spagna, -5,9% nei Paesi Bassi e +16,0% in Francia (-2,6% in Germania i prezzi energetici totali).

Grafico Discesa dell'inflazione eterogena tra i paesi europei - Rapporto CSC primavera 2024

BCE: vicino il taglio dei tassi

La BCE nell'aprile 2024 ha tenuto ancora fermi i tassi ufficiali per il settimo mese consecutivo (a 4,50% sui prestiti alle banche, 4,00% sui loro depositi), dopo la forte e rapida stretta monetaria tra luglio 2022 e settembre 2023. La restrizione della policy monetaria nell’Eurozona, tutt’ora in campo, è pari a +4,5 punti complessivi, dato che nella primavera 2022 il tasso principale era a zero e quello sui depositi a -0,50% (Grafico 37).

Grafico Finito il rialzo dei tassi BCE, l'Euribor suggerisce un taglio - Rapporto CSC primavera 2024

La BCE aspetta ora di vedere se i rialzi sono in grado di accompagnare l’inflazione fino all’obiettivo del +2,0%. Dopo una discesa rapida legata al rientro dei prezzi energetici (favorito dal ribasso delle quotazioni internazionali di gas e petrolio), l’inflazione totale dell’Eurozona ha rallentato la sua caduta: solo 0,5 punti negli ultimi 5 mesi, dato che a ottobre 2023 era a +2,9% e a marzo 2024 si è fermata al +2,4% (picco al +10,6% a ottobre 2022). Un valore ancora troppo elevato, specie considerando che la dinamica di fondo dei prezzi, al netto di energia e alimentari, ha rallentato finora solo al +2,9% (con un -1,3 punti negli ultimi 5 mesi). La core infatti da alcuni mesi si mantiene sopra quella totale (di mezzo punto nei dati più recenti), dopo aver incorporato gli effetti di second round dei rincari energetici, che iniziano con un ritardo rispetto allo shock iniziale e, simmetricamente, si esauriscono tempo dopo che lo shock è stato riassorbito.

La BCE, fin dall’inizio, ha giudicato essenziale tenere ancorate alla soglia del +2% le aspettative di inflazione nell’Eurozona. Un obiettivo che era stato raggiunto nel 2023, ma che sembra ancora fragile vista la recente risalita, a inizio 2024, delle attese di inflazione a 1 anno misurate sui mercati finanziari. Ciò grazie a due fattori che hanno agito in tale direzione, sommandosi al segnale dato dal rialzo dei tassi da parte della BCE: l’economia europea che era frenata (da inizio 2022) a causa della crisi energetica; il rientro dei prezzi energetici (da fine 2022).

I rialzi BCE hanno frenato la dinamica dei prezzi al consumo nell’Eurozona anche interrompendo l’indebolimento del cambio rispetto al dollaro. La svalutazione dell’euro, che aveva toccato un minimo a settembre 2022, era infatti legata soprattutto alla veloce risalita dei tassi USA. Se l’euro avesse continuato a perdere terreno sulla divisa USA, ciò avrebbe accresciuto i prezzi in euro delle commodity quotate in dollari, e quindi alimentato l’inflazione importata.

I tassi alti indeboliscono la dinamica dell’economia, tramite l’impatto restrittivo sulla domanda interna (consumi, investimenti), come la Banca Centrale ricorda puntualmente nei suoi comunicati. Ai livelli attuali e viste le stime di vari istituti sul tasso “neutrale” nell’Eurozona (intorno al 2%), la policy è da diversi mesi in territorio molto restrittivo. L’ultimo comunicato BCE, coerentemente, parla di “condizioni di finanziamento restrittive”.

Il tasso di mercato Euribor, che è il principale parametro di riferimento nei finanziamenti dei consumi e degli investimenti, si mantiene alto, poco sotto il tasso sui depositi: 3,93% in media a marzo 2024 (da -0,50% a marzo 2022). Tale posizione del tasso di mercato, tradizionalmente, anticipa a breve un taglio dei tassi ufficiali. Il balzo dei tassi di mercato è stato ormai interamente trasferito nel costo del credito (si veda il par. 6) e ha avuto l’effetto di far contrarre i prestiti a famiglie e imprese.

In aprile, la Banca centrale ha confermato che il sentiero dei tassi continuerà ad essere definito di seduta in seduta, in base ai nuovi dati su inflazione ed economia reale. La BCE considera il livello dei tassi attuale appropriato e da mantenere invariato per un “periodo sufficientemente lungo”, per contribuire al rientro dell’inflazione. Ovvero, la Banca Centrale non sta più pensando a ulteriori rialzi e intravede l’inizio di una fase di tagli. Alcuni membri del Board si sono, informalmente, pronunciati di recente a favore di giugno 2024 come data del possibile primo taglio.

I future sull’Euribor indicano, da diverso tempo, una prossima inversione di rotta: al momento, il tasso Euribor registrerebbe una flessione a partire proprio da giugno 2024, fino a toccare il 3,22% a dicembre; il ribasso proseguirebbe nel 2025, con il tasso di mercato che arriverebbe a 2,64% a fine anno. Questo profilo è coerente con un taglio di 0,75 punti quest’anno e di 0,50/0,75 il prossimo. Secondo i mercati, quindi, i tassi resteranno stabili ancora per due mesi, prima di iniziare a scendere. La lenta decelerazione, negli ultimi mesi, dei prezzi nell’Eurozona ha allungato i tempi del primo taglio dei tassi, che prima i mercati attendevano per maggio e prima ancora per aprile 2024.

Lo scenario di previsione segue le indicazioni contenute nei comunicati BCE e quelle dei future: i tassi ufficiali resteranno fermi ancora per 2 mesi, al 4,50%, e il primo taglio sarà deciso a giugno 2024; a questo seguiranno altri 3 tagli entro fine anno, ipotizzati di un quarto di punto ciascuno, arrivando al 3,50% a dicembre; nel 2025 seguiranno altri 3 tagli, fino al 2,75%. A tali livelli, la policy continuerà ad essere di poco restrittiva a fine 2025, in misura molto più limitata rispetto ad oggi.

Durante il percorso dei tagli, come annunciato di recente, la distanza tra i due tassi BCE dovrebbe restringersi a 0,25 punti, dagli 0,50 attuali, e l’Euribor dovrebbe restare maggiormente ancorato al tasso BCE sui depositi, cioè sulla parte bassa del “corridoio” dei tassi ufficiali.

Rispetto a questo scenario, il rischio che si arrivi invece a un rialzo dei tassi può considerarsi al momento praticamente nullo. Mentre non è da escludere che una maggiore persistenza dell’inflazione europea oltre la soglia del +2% possa indurre la BCE a rimandare ancora la discesa dei tassi, più verso fine 2024, magari seguendo la FED: per l’economia italiana ciò agirebbe in direzione sfavorevole, perché prolungherebbe la stretta monetaria, che è già eccessiva alla luce del tasso di inflazione italiano fin da ottobre ben sotto il 2%.

Meno titoli, meno prestiti

La BCE, intanto, come avviene negli USA, sta lasciando che il totale dei bond accumulati nel suo bilancio si riduca abbastanza rapidamente: 4.625 miliardi di euro a marzo 2024, da 4.942 a inizio 2023. I titoli pubblici sono scesi a 2.346 miliardi (da 2.587), i corporate bond emessi da imprese europee a 318, i covered bond a 276, gli ABS a 12. Lo stock di titoli acquistati col Pandemic Programme è, invece, quasi invariato (1.670 miliardi).

La Banca Centrale, infatti, ha confermato nelle riunioni più recenti la fine dei reinvestimenti di titoli in scadenza, acquistati in precedenza con il programma APP (stop deciso già dal luglio 2023). Quindi, lo stock di questi titoli sta diminuendo progressivamente (circa -25 miliardi al mese).

Riguardo al programma “pandemico” (PEPP), la BCE ha deciso a fine 2023 che continuerà solo nella prima metà del 2024 a reinvestire in pieno in titoli tutte le somme incassate da quelli che scadono; nella seconda metà del 2024 lascerà ridursi lo stock di 7,5 miliardi al mese; infine, da inizio 2025 smetterà di reinvestire i titoli PEPP in scadenza (come già oggi con l’APP). Perciò questo stock di titoli per ora è stabile, ma presto inizierà a ridursi, e così verrà meno l’unico canale attraverso cui la domanda BCE continua oggi ad essere presente sui mercati dei titoli.

Lo strumento dei titoli, dunque, continua a “stringere” la policy monetaria complessiva, sebbene in questo caso è più corretto parlare di “normalizzazione” dell’iper-espansione precedente (Grafico 38), esattamente come per la FED. La riduzione del portafoglio titoli della BCE teoricamente lascia spazio a un aumento dei tassi di mercato di medio-lungo termine nell’Area euro.

Grafico Portafoglio titoli della BCE in graduale calo, ancora ampio - Rapporto CSC primavera 2024

I tassi sovrani, tuttavia, sono rimasti sostanzialmente invariati nei primi tre mesi del 2024: il BTP decennale italiano, dopo qualche oscillazione, a marzo si è assestato a 3,68% (da 3,63% a dicembre 2023), il Bund a 2,36% (da 2,11). Lo spread sovrano BTP-Bund quindi è sceso a +132 (da +152).

Il terzo strumento a disposizione della BCE sono i prestiti alle banche europee. Al momento, restano in campo solo tre TLTRO-3, operazioni “straordinarie” della durata di 3 anni, tramite cui la BCE aveva prestato ampie risorse alle banche nel 2021. E sono ormai molto ridotte nel loro ammontare dai rimborsi anticipati decisi dalle banche stesse, per un totale di prestiti residui pari a 141 miliardi. Incluse le operazioni ordinarie di prestito BCE, si arriva a 156 miliardi.

Queste TLTRO-3 arriveranno a scadenza a giugno, settembre e dicembre 2024: la maggiore è quella che scade a settembre (57 miliardi). Il venir meno di queste risorse BCE potrebbe creare qualche difficoltà nella raccolta bancaria e nella liquidità degli istituti. In Italia, l’indagine BLS non ha più segnalato problemi per le banche su tali fronti nella seconda metà del 2023.

La BCE nel comunicato di marzo ha ancora una volta ricordato questi sviluppi attesi, per sottolineare che la situazione è ben nota e monitorata attentamente, dando un segnale di tranquillità ai mercati. Sebbene, al momento, non ci sia traccia di eventuali nuove misure, lasciare che i prestiti alle banche si riducano ha l’effetto di una mossa “restrittiva” (come per lo stock di titoli), anche se è una “non decisione” piuttosto che una nuova mossa. Anche qui, può trattarsi di “normalizzazione” più che di restrizione, visto che si parla pur sempre di misure “straordinarie”, varate 3 anni fa quando c’era bisogno di iper-espansione.

 7.4 Commodity

Prezzo del petrolio in aumento

Il prezzo del petrolio Brent ha iniziato lentamente a risalire da inizio 2024 (era a 78 dollari al barile a dicembre 2023), dopo una fase di moderazione successiva ai picchi del 2022 (123 dollari). A marzo 2024 è arrivato a 85 dollari in media, sfiorando i 90 in aprile, un livello di nuovo molto sopra a quello storico “di equilibrio” (60-70 dollari) per il mercato mondiale.

Il rincaro non sembra collegabile alla guerra Russia-Ucraina e a quella Israele-Palestina, né al crollo del traffico merci attraverso il canale di Suez. Questo nonostante la Russia resti uno dei principali produttori di petrolio al mondo (10,6% del totale nel 2023) e attraverso Suez passi una quota significativa delle esportazioni di petrolio dai paesi del Medio Oriente.

Sul prezzo ha pesato la decisione dell’OPEC, soprattutto dell’Arabia Saudita, di contenere la produzione di greggio, sebbene l’obiettivo dichiarato sia stabilizzare il mercato. A ciò si è aggiunto che anche vari paesi non-OPEC, inclusa la Russia, che da anni collaborano con l’OPEC nelle scelte sul mercato petrolifero, hanno deciso di limitare lo loro estrazione.

Dunque, le quotazioni sembrano essere guidate dal mercato fisico del petrolio, nel quale si registra un moderato calo delle scorte di greggio nei paesi OCSE (Grafico 39). Le scorte, che a metà del 2023 erano risalite su un livello vicino a quello pre-pandemia, con la flessione in corso stanno tornando scarse, spiegando l’aumento del prezzo. La speculazione o i rischi presenti sullo scenario globale, non paiono giocare un ruolo al momento.

Grafico Petrolio più caro a inizio 2024, colpa delle scorte in riduzione - Rapporto CSC primavera 2024

Lo scenario di marzo della Energy Information Administration (EIA) prevede una fase di prezzo elevato fino a giugno 2024, seguita da una lenta e lunga discesa a partire da ottobre 2024, che porterebbe la quotazione a 82 dollari a fine 2025. Questa previsione di discesa è basata sull’ipotesi che da luglio 2024 la produzione Opec e non-Opec inizi a risalire.

Lo scenario di previsione si basa su tale indicazione per il prezzo e ipotizza quindi il Brent attestarsi, in media, a 87 dollari nel 2024 (83 nel 2023) e poi rientrare di poco a 85 nel 2025. Si tratta dunque di tre anni di prezzi oltre quota 80 dollari. Rispetto allo scenario di ottobre scorso, che già incorporava il rialzo che stiamo vedendo, ciò comporta una marginale revisione al ribasso per il 2024 (-3 dollari). Rispetto a questa ipotesi, ci sono rischi di un ulteriore aumento delle quotazioni petrolifere, connessi al proseguire dei problemi lungo la rotta di Suez, importante per il greggio.

Nel 2024, secondo le stime EIA, si registrerà una forte crescita della domanda (+1,4 mbg), mentre l’offerta mondiale aumenta poco (+0,4 mbg). L’estrazione finirà così sotto i consumi, per cui sul mercato mondiale ci sarà scarsità (-0,2 mbg). E le scorte di greggio OCSE subiranno una flessione (-6,2% dal pre-pandemia a fine anno). L’aumento dell’offerta sarà interamente ascrivibile agli USA (+0,4 mbg), mentre l’estrazione diminuirà nei paesi OPEC (-0,3) e in quelli ex-sovietici, Russia compresa (-0,4). L’aumento dei consumi sarà concentrato nei paesi non-OCSE (+1,3), tra cui Cina (+0,3); tra gli avanzati, contribuiranno gli USA (+0,2) mentre in Europa il consumo sarà stabile.

Nel 2025 è atteso che i consumi continuino a crescere allo stesso ritmo (+1,4 mbg), mentre si avrebbe un balzo dell’estrazione (+2,0 mbg). La quale risalirebbe sia in Russia e paesi vicini (+0,4), che nell’OPEC (+0,6) e continuerebbe a crescere negli USA (+0,8 mbg). Questa risalita, in particolare in Russia, è ipotizzata iniziare da giugno 2024, contribuendo in modo cruciale alla prevista inversione di tendenza nei prezzi proprio dopo il picco a giugno. La composizione della crescita della domanda resterebbe invariata rispetto al 2024. Tutto ciò riporterebbe l’offerta poco sopra la domanda (+0,3 mbg). Quindi, le scorte OCSE riprenderebbero a salire, verso i livelli pre-pandemia (ma ancora -4,5% a fine anno). Tale scenario per il mercato fisico mondiale, che torna ben rifornito nei flussi, ma con stock ancora compressi, è alla base della previsione CSC di un prezzo che tende a scendere il prossimo anno, restando però sopra il tradizionale valore obiettivo dei paesi petroliferi.

A tale maggior prezzo contribuisce la “transizione” post-2022, con una forte redistribuzione dei flussi tra paesi: quelli occidentali tendono a non acquistare più petrolio russo, che è venduto ora soprattutto ad altri paesi asiatici.

Prezzo del gas in parziale flessione

Il prezzo del gas in Europa è stato pari a 27 euro/mwh nella media di marzo e aprile 2024, in lento ma costante calo rispetto a fine 2023. Lo scenario di previsione è in linea con le indicazioni dei future sul TTF: 28 euro/mwh a fine 2024 e anche a fine 2025. Si tratta quindi di un marginale aumento rispetto ai valori attuali. In tale scenario, il prezzo TTF si assesterà a 28 euro in media nel 2024 (da 41 euro nel 2023). Rispetto allo scenario di ottobre 2023, ciò comporta una significativa revisione al ribasso per quanto riguarda il 2024 (-12 euro/mwh).

Il prezzo del gas europeo ha iniziato a ridursi gradualmente da dicembre 2023, dopo il picco a 43 euro a novembre (Grafico 40), che era comunque molto limitato rispetto ai picchi del 2022. Anche la volatilità giornaliera sembra essersi molto attenuata nei primi tre mesi del 2024, mentre nel 2022-2023 si erano registrati salti e cadute di decine di euro in pochi giorni. Il proseguire dei conflitti in Ucraina e in Israele non sembra oggi avere un impatto sui prezzi del gas.

Grafico Prezzo del gas in calo, ma ancora sopra il pre-crisi - Rapporto CSC primavera 2024

I timori di scarsità in termini di volumi di gas disponibile in Europa si mantengono molto più moderati, rispetto a quanto si rischiava nel 2022 e anche 2023: questo contribuisce a spiegare la discesa dei prezzi correnti. L’accumulazione di gas negli stock nel corso del 2023 è stata limitata in Italia, ma dopo gli ampi stoccaggi del 2022 la necessità di aumento ulteriore era bassa. Inoltre, in molti paesi europei i consumi complessivi di gas, per famiglie e imprese, stanno continuando a diminuire, anche grazie alle temperature favorevoli: in Italia -10% annuo nel 2023. Questo limita il fabbisogno di stoccaggi e quello di importazione (-14,8% in Italia nel 2023).

Le quotazioni, però, rimangono più alte dei livelli pre-pandemici: nel 2019 il gas europeo era in media a 14 euro, quindi siamo ancora su valori doppi. L’import di gas russo in Europa è stato ridotto molto nel 2022 e 2023: in Italia, Tarvisio ha contato nel 2023 solo per il 4,6% del totale importato, dal 19,3% nel 2022, rimpiazzato da forniture alternative (soprattutto tramite Mazara del Vallo a sud, ma anche Cavarzere sull’Adriatico e la novità Piombino). Questa complessa “transizione”, ancora in corso, basata anche su tecnologie più costose (es. il GNL a Piombino, le navi dagli USA), tiene alto il prezzo del gas in Europa. E il maggior ricorso a paesi fornitori non politicamente affini (es. Algeria, Azerbaijan) tiene alti i rischi.

Anche il prezzo del gas negli USA si è ridotto molto rispetto ai picchi nel 2022 (8,79 dollari/mmbtu), arrivando a un minimo a febbraio 2024 (1,72). Ma quest’ultimo dato è ora più basso rispetto al pre-pandemia (-37% dallo stesso mese del 2019), mentre in Europa è vero il contrario (+36%). Perciò, il prezzo europeo ancora oggi è pari a quasi 5 volte quello americano. La separazione economica tra i due mercati in parte si sta “restringendo”, perché sta aumentando molto la quantità di gas trasportato tramite navi, specie dagli USA all’Europa (12,3 mmc di export americano di GNL stimato nel 2024, da 9,7 nel 2021, pari a +26,8%, dati EIA), sebbene a livello mondiale rimangano prevalenti i gasdotti, che agiscono all’interno dei singoli continenti non sulle rotte transoceaniche.

Commodity meno care

I prezzi delle commodity non energetiche restano in forte riduzione all’inizio del 2024: alimentari -11,0% tendenziale a febbraio, metalli -12,1% (prezzi in dollari; Grafico 41). Tra i metalli, modesto il ribasso della quotazione del ferro (-2,5%), più ampio quello del rame (-7,1%) e dell’alluminio (-9,8%). Tra gli alimentari, c’è invece ampia differenza di condizioni: il prezzo del grano crolla (-29,4%), mentre rincara molto il riso (+26,8%) e si registra un’impennata del cacao, il cui prezzo è raddoppiato (+109,5%).

Grafico Commodity non energetiche in forte calo - Rapporto CSC primavera 2024

In generale, la flessione dei prezzi sembra legata alla frenata della crescita in molti paesi, in particolare l’Eurozona, che rallenta anche la domanda mondiale di materie prime.

Nonostante le flessioni del 2023 e inizio 2024, tuttavia, le quotazioni delle materie prime in aggregato restano alte rispetto ai livelli pre-pandemia: metalli +22,2% a inizio 2024 rispetto al 2019, alimentari +33,3%. Dunque, il 2024 si è aperto come il quarto anno consecutivo con prezzi storicamente molto alti. I rialzi scaturiti nel 2021 dalle tensioni post-pandemia, cui nel 2022 si sono sommate le spinte innescate dalla guerra Russia-Ucraina, sono persistenti. Un aggravio di costi per le imprese e di spesa per le famiglie italiane.

La Banca mondiale (nell’ottobre 2023) ha previsto quotazioni delle commodity non energetiche in calo nell’intero 2024, ma in misura meno accentuata rispetto all’anno precedente: -3,1%, dopo il -10,4% del 2023. In particolare, gli alimentari segnerebbero un -1,5% (dopo -8,8%) e i metalli un -5,1% (dopo -12,0%). Per il 2025, invece, è attesa una stabilizzazione, in media, dei prezzi non-energy (-0,1%), che però è la sintesi di dinamiche opposte: i prezzi degli alimentari continuerebbero a scendere (-3,4%), mentre quelli dei metalli cambierebbero direzione, tornando a crescere (+8,0%). Questo comporta che i prezzi dei metalli sarebbero per il quinto anno su valori molto elevati.

 7.5 Emergenti

Rivista al rialzo la crescita dei principali paesi emergenti

Nel 2023 la crescita dei paesi emergenti si è attestata al +4,3%. Nel biennio di previsione 2024-2025, la crescita dovrebbe attestarsi rispettivamente al +4,2% e al +4,4%, in miglioramento di +0,2 punti percentuali nel primo anno rispetto alle previsioni contenute nello scenario di ottobre. Il miglioramento riflette l'attenuarsi degli effetti dei vincoli finanziari più stringenti, il calo dell'inflazione e il conseguente rilassamento delle politiche monetarie stringenti soprattutto nei paesi avanzati. I contributi alla crescita del PIL di Cina e India spiegano rispettivamente il 38% e il 21% della crescita degli emergenti nel 2024.

La quota complessiva di PIL dei paesi emergenti sul PIL mondiale continua a crescere: dal 58,6% del 2023, è attesa salire al 59,2% nel 2024 e al 59,6% nel 2025. Tra gli emergenti, i BRICS occupano un posto di primo piano: dal 1° gennaio il gruppo si è allargato ad Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti ed Iran, raggiungendo un peso complessivo di quasi il 37% del PIL mondiale.

Nonostante il miglioramento nelle previsioni, il tasso di crescita medio delle principali cinque economie emergenti nel periodo 2024-2025 risulta però essere inferiore rispetto a quello registrato nel 2023 (Grafico 42).

Grafico L'andamento atteso per i principali paesi emergenti - Rapporto CSC primavera 2024

Inflazione ancora elevata, ma in calo per la maggior parte degli emergenti

Rispetto al 2023, nel biennio di previsione l’inflazione è attesa in calo, seppur moderato, per quasi tutte le principali 20 economie emergenti. La maggior parte dei paesi con inflazione elevata dovrebbe riuscire a riportarla su livelli più contenuti entro il 2025. Iran e Pakistan dovrebbero vedere ridotti i valori di circa 17 punti percentuali già nel 2024 e di un'altra decina di punti nel 2025, fino a raggiungere rispettivamente il 15,5% e il 6,5% di inflazione. In altri paesi sono attesi cali più considerevoli nel 2025: Turchia (-27,7 punti percentuali rispetto al 2024) ed Egitto (-17,4). Solo Cina, Tailandia e Malesia vedranno tassi di inflazione in leggera risalita nel 2025 rispetto a quelli del 2023, ma in ogni caso si attesteranno su livelli molto contenuti, prossimi al 2-3%.

Emergono alcune chiare tendenze distinte per area geografica (Grafico 43): nel 2024 i paesi asiatici saranno caratterizzati da una crescita elevata del PIL, attorno al 5,3% e da un’inflazione al consumo moderata, del 3,7% in media; i paesi dell’area medio orientale e nord africana saranno caratterizzati da una crescita più contenuta (2,6% in media) e da un’inflazione generalmente elevata, prossima al 26% se si esclude l’Arabia Saudita (1,6%); gli altri paesi emergenti dell’America Latina e dell’Europa saranno invece caratterizzati da una crescita del PIL inferiore al 3%, e da una inflazione attorno al 5%, tranne che per due sole eccezioni: Turchia e Argentina.

Grafico Emergenti asiatici: crescita alta, inflazione moderata - Rapporto CSC primavera 2024

Mentre la Turchia è attesa ridurre l’elevata inflazione aumentando il tasso di interesse (arrivato al 45% dopo l’aumento di 2,5 punti lo scorso 25 gennaio), l’andamento dei prezzi in Argentina potrebbe raggiungere livelli insostenibili (+295% nel 2024). Per fronteggiare la perdurante crisi causata dai continui deficit fiscali, il nuovo governo argentino ha annunciato importanti misure di riduzione della spesa pubblica in investimenti e sussidi. Inoltre, ha svalutato il peso contro il dollaro statunitense, portando il tasso di cambio ufficiale a 800 pesos per 1 dollaro, contro i precedenti 360 circa. Nel breve periodo la svalutazione ha già fatto salire ulteriormente l’inflazione e porterà a una caduta del PIL (-5,5% nel 2024), ma nel medio termine le misure introdotte dovrebbero consentire un miglioramento significativo delle finanze pubbliche e la stabilizzazione dell’economia. L’inflazione prevista per il 2025 dovrebbe infatti crollare al 61% (-234 punti rispetto al 2024) e il PIL tornare a crescere al 2,3%.

I cambi sembrano essersi stabilizzati

Sul fronte valutario, i tassi di cambio di yuan cinese, rupia indiana e real brasiliano negli ultimi mesi mostrano una certa stabilità rispetto al dollaro (Grafico 44).

Il tasso di cambio dollaro/rublo, dopo il forte aumento per l’inizio del conflitto nel 2022, ha costantemente perso terreno per il deterioramento delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Negli ultimi mesi il cambio sembra essersi stabilizzato a circa 12-13 punti percentuali sotto il livello pre-conflitto. La banca centrale russa potrebbe introdurre un primo taglio del tasso di policy già in aprile, per portarlo attorno al 10% entro fine anno (oggi è al 16%).

I cambi del peso argentino e della lira turca proseguono la loro svalutazione, ma a un ritmo più lento rispetto ai mesi precedenti, grazie alle scelte di policy governative, come detto nel paragrafo precedente, per combattere le spinte inflazionistiche che affliggono i due paesi.

Grafico Proseguono le tendenze sui tassi di cambio; rublo stabilizzato - Rapporto CSC primavera 2024

Politiche fiscali ancora espansive

Focalizzandosi sui saldi fiscali, tutte le principali economie emergenti mostrano deficit pubblici piuttosto accentuati, segno di politiche fiscali ancora a sostegno dell’economia, che per alcuni paesi si accompagnano a un’elevata inflazione.

Tra questi paesi, si registrano anche ampi deficit delle partite correnti: Filippine (-14,7% di PIL), Egitto (-8,4%), Pakistan (-7,1%) e India (-6,9%; Grafico 45). La compresenza di questi due deficit “gemelli”, già segnalata nei precedenti rapporti, potrebbe generare situazioni di vulnerabilità. In caso di stress finanziario, potrebbe degenerare in crisi improvvise, specialmente se in presenza di debiti pubblici elevati. Tali economie, infatti, hanno la necessità di costanti flussi di liquidità dall’estero (prestiti) per colmare, dal punto di vista finanziario, il gap tra esportazioni e importazioni e tra entrate e uscite nei bilanci pubblici.

Il prezzo degli idrocarburi, in particolare quello del petrolio in risalita rispetto al 2023, continua ad essere uno tra i principali fattori che incidono sulla bilancia commerciale dei paesi emergenti. Da un lato, gli esportatori di petrolio come Arabia Saudita, Russia e Iran hanno visto un discreto miglioramento dei propri saldi commerciali; simmetricamente, i paesi importatori di idrocarburi, tra cui Filippine, Colombia e Turchia, hanno registrato il loro peggioramento.

Grafico Ampi deficit fiscali con il petrolio che guida i saldi commerciali - Rapporto CSC primavera 2024

Buoni segnali per le economie BRIC

La crescita cinese sopra le attese registrata nel 2023 (+5,2%) ha migliorato le prospettive e ha consentito di fissare l’obiettivo di crescita al +5,0% per il 2024, traguardo realistico ma sfidante, perché si è affievolito il rimbalzo post-pandemia. La determinazione a raggiungere l’obiettivo e a contrastare gli impatti della crisi immobiliare traspare anche dal taglio dei tassi sui mutui a cinque anni realizzato di recente dalla Banca Popolare Cinese (-25 punti a febbraio, invece dei 15 attesi), in largo anticipo rispetto alle mosse previste di FED e BCE.

Inoltre, l'impatto della crisi del Mar Rosso sull'economia cinese è stato finora contenuto, limitandosi a costi di trasporto più elevati (+15%) e consegne ritardate (almeno +10 giorni). Ciò anche grazie ad alcuni parziali fattori mitiganti, tra cui la disponibilità di tratte ferroviarie (seppur con capacità di trasporto ancora molto limitate e già saturate) e una bassa inflazione.

La variazione dell'indice dei prezzi al consumo è comunque tornata positiva in febbraio, per l’attenuarsi del calo dei prezzi alimentari e un aumento dell'inflazione core. Resta improbabile una spirale deflazionistica per via di condizioni di offerta e domanda più bilanciate e della politica monetaria espansiva.

Tuttavia, restano sullo sfondo i rischi legati alle debolezze del mercato immobiliare in Cina che potrebbero diventare un ostacolo significativo per l'economia.

In India, grazie a un buon 4° trimestre 2023, il PIL è cresciuto più del previsto, al +7,3% nell’intero anno. Le previsioni indicano una crescita al +6,8% nel 2024 e al +6,1% nel 2025, confermandosi una tra le economie emergenti a più elevato potenziale di crescita. Il miglioramento nelle previsioni di crescita per il 2024, riflette un rafforzamento nella fiducia di imprese e consumatori che, insieme al calo dell'inflazione, dovrebbe spingere a maggiori consumi e investimenti privati.

Il rischio di una risalita dell’inflazione resta però ancora alto e ciò costringe la banca centrale indiana a mantenere il tasso di sconto su valori elevati, al 6,5%. L’allentamento della politica monetaria non dovrebbe avvenire prima della seconda metà del 2024.

L’India sta mantenendo una posizione ambigua a livello internazionale dal punto di vista strategico, anche in vista delle elezioni politiche che si terranno tra aprile e giugno 2024: stando ai sondaggi Narenda Modi, a capo dell’attuale governo, è il favorito rispetto al principale sfidante, Rahul Gandhi.

In Brasile, la crescita del PIL è prevista al 2,1% nel 2024 (dal 2,9% del 2023) per via di un atteso calo della produzione agricola (del -2,2%), per poi accelerare al 2,5% nel 2025. Nonostante le incertezze economiche e geopolitiche che limiteranno la domanda estera proveniente da Stati Uniti ed Europa, la domanda interna e in particolare la spesa per consumi privati rimarranno forti, grazie a un mercato interno resiliente, a un‘occupazione in aumento e a una politica monetaria meno restrittiva, che segue il calo dell’inflazione (prevista al 4,6% nel 2024). Infatti, dal 2 agosto scorso la Banca Centrale brasiliana ha iniziato un allentamento della politica monetaria fortemente restrittiva, che dovrebbe gradualmente portare il tasso di interesse dal 13,75% al 9,0% entro la fine del 2024.

Infine, riguardo l’economia russa, nell’orizzonte di previsione, le pesanti sanzioni occidentali, le restrizioni commerciali e il ritiro degli investimenti esteri pesano sulle prospettive di sviluppo. Tuttavia, questi freni alla crescita sembrano almeno parzialmente compensati dal riorientamento degli scambi verso l’Asia, da investimenti governativi e dalla spesa bellica. La crescita è prevista ridursi al +2,6% nel 2024 e poi diminuire ancora al +2,2% nel 2025, restando comunque significativa. La domanda interna resterà il principale traino della crescita economica nel biennio di previsione, beneficiando di un tasso di disoccupazione basso, dei forti aumenti dei redditi disponibili reali nel 2024 e di una politica monetaria che potrebbe allentarsi.

 7.6 Cambio

Euro relativamente stabile

Il tasso di cambio dell’euro sul dollaro, sceso sotto la parità a ottobre 2022, è risalito tra fine 2022 e inizio 2023. Nell’ultimo anno ha fluttuato all’interno di un intervallo abbastanza contenuto (tra 1,06 e 1,10), comunque inferiore al livello medio degli anni precedenti (1,14 nel 2018-2022; Grafico 46).

Grafico Euro relativamente stabile sul dollaro - Rapporto CSC primavera 2024

Il cambio effettivo nominale dell’euro (rispetto a 41 valute mondiali) ha registrato, invece, una dinamica più robusta, consolidandosi sopra il precedente picco raggiunto a fine 2020. L’euro, infatti, si è rivalutato rispetto a un ampio insieme di valute, anche per gli effetti asimmetrici dello shock russo e delle diverse risposte delle banche centrali nelle altre economie mondiali.

La dinamica del cambio euro-dollaro negli ultimi anni è spiegata soprattutto dalle politiche monetarie delle rispettive banche centrali. Il rafforzamento del dollaro nel 2021 e 2022 è stato causato dall’avvio del processo di normalizzazione delle politiche della FED e poi dal forte rialzo dei tassi USA. La risalita dell’euro da fine 2022 è stata favorita, invece, dall’accelerazione dell’aumento dei tassi da parte della BCE (che ha seguito quello USA). La dinamica recente, sostanzialmente piatta, è coerente con le aspettative di un avvio del taglio dei tassi da parte di entrambe le banche centrali a metà 2024.

Allo stesso tempo, la crescita fiacca dell’economia europea, specie tedesca, a fronte di quella robusta degli Stati Uniti, tende a mantenere relativamente debole la moneta unica. L’elevata incertezza geopolitica e le possibili tensioni al rialzo dei prezzi energetici rappresentano un rischio al ribasso.

Il CSC assume nel biennio previsivo un cambio dollaro-euro stabile intorno ai valori di marzo 2024 (1,09), su un livello quasi uguale ai valori medi del 2023 (1,08).

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