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L’analisi condotta in questo Focus evidenzia un miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro italiano in uscita dalla crisi pandemica, anche su un orizzonte temporale allargato all’ultimo quindicennio, sebbene i cambiamenti non siano tutti di segno univoco. Ci sono più occupati, soprattutto a tempo indeterminato, ed è salito il tasso di occupazione, quello dei giovani a un ritmo particolarmente sostenuto negli ultimi anni; d’altronde è diminuito il numero di ore lavorate pro-capite e si è persa occupazione nell’industria in favore di settori mediamente caratterizzati da una più bassa produttività del lavoro.
Come evidenziato nel paragrafo 3, nel 2023 la buona performance del mercato del lavoro italiano ha riflesso, e ha a sua volta rafforzato, il rialzo del PIL, sostenendo reddito disponibile e fiducia dei consumatori. Sulla base dei più recenti dati Istat di Contabilità Nazionale, l’Italia risulta uscire dall’ultimo quadriennio di crisi, prima sanitaria poi di approvvigionamenti ed energetica, con 660mila persone occupate in più (+2,9% nel 4° trimestre 2023 sul 4° 2019, rispetto al +4,2% del PIL) e quasi un’ora di lavoro in più a settimana per occupato.
Allungando ulteriormente l’orizzonte di analisi agli ultimi 15 anni, per ricomprendere anche la precedente grande crisi (finanziaria e dei debiti sovrani), il bilancio occupazionale si conferma positivo e risulta ancora più ampio, sia in termini assoluti (+690mila unità nel 4° trimestre 2023 sul 1° 2008, +3,0%) sia rispetto ai livelli di attività economica (tuttora -1,1% il PIL). Su questo orizzonte, tuttavia, l’espansione del numero di persone occupate è stata controbilanciata da un calo degli orari di lavoro, pari a quasi 2 ore e mezza in meno per occupato a settimana. Il 2023 si è, infatti, chiuso con un rapporto tra monte ore complessivamente lavorate e PIL quasi pari a quello di inizio 2008. Ciò implica sia una sostanziale stabilità dell’intensità di lavoro media del sistema produttivo italiano sia una stagnazione della produttività del lavoro oraria (Grafico A).
L’aumento dell’occupazione registrato dal 2008 è interamente avvenuto nei servizi privati, dove a fine 2023 si contano 1,3 milioni di persone occupate in più rispetto a inizio 2008 (+10,1%), di cui +320mila da fine 2019.
Nel settore delle costruzioni, invece, nonostante l’ampio recupero rispetto al pre-Covid sia del valore aggiunto (+36,9%) sia dell’occupazione (+15%, pari a +234mila unità), il bilancio occupazionale sull’ultimo quindicennio risulta negativo (-131mila unità). Ancora più massiccia la perdita registrata nell’industria in senso stretto (-547mila occupati, -11,1%) a fronte del netto ridimensionamento del peso del settore, tutto già accumulato in uscita dalla grande crisi (-11,2% il valore aggiunto a fine 2023 su inizio 2008, come già a fine 2017). Sia i servizi sia l’industria, ad eccezione delle costruzioni, sono invece accomunati già sull’orizzonte 2008-2015 da un calo delle ore lavorate pro-capite che non è quindi attribuibile al calo ciclico conseguente ai recenti shock da emergenza sanitaria e restrizioni sugli approvvigionamenti e si può di conseguenza connotare come strutturale (Grafico B).
A parità di altre condizioni, un calo delle ore lavorate pro-capite, ovvero del cosiddetto margine “intensivo” del lavoro, ridimensiona l’apporto della crescita occupazionale alla crescita economica, in quanto si traduce in un calo della capacità reddituale media dei lavoratori attualmente in forza rispetto alla situazione di inizio 2008. Un aumento del margine estensivo, d’altronde, è di per sé in Italia un elemento di grande rilevanza, dati i bassi tassi di attivazione al lavoro che ancora caratterizzano l’Italia nel confronto internazionale, specie, come è ben noto, quando si tratta di donne e giovani.
Per fornire una valutazione più completa della crescita occupazionale osservata nell’ultimo quindicennio, a seguire andiamo a caratterizzare ulteriormente, sulla base dei dati Istat della Rilevazione sulle Forze Lavoro, come sono cambiate le caratteristiche dello stock di occupati (specie per tipo di contratto) e i tassi di partecipazione al lavoro.
L’incremento dell'occupazione rispetto al 2008 è interamente ascrivibile alla componente del lavoro dipendente. Alla fine del 2023 si registrano oltre 1,6 milioni di occupati dipendenti in più rispetto a 15 anni prima, di cui il 60% a tempo indeterminato, mentre il numero di lavoratori indipendenti è diminuito di quasi un milione (Grafico C). Questo calo ha notevolmente ridimensionato l’incidenza della componente autonoma sull’occupazione totale (da 25,5% a 21,4%), che, tuttavia, risulta ancora molto alta rispetto alla media europea (13,5%).
L'occupazione dipendente a tempo indeterminato, dopo un significativo calo durante la doppia recessione, ha registrato un’espansione a partire dal 2015, sospinta dalle agevolazioni contributive, prima temporanee (sulle assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015 e nel 2016) e poi strutturali (per gli under 35 dal 2018). E così, a fine 2016 aveva già recuperato il livello di inizio 2008 e, dopo il rallentamento ascrivibile alla crisi sanitaria, con un’impennata iniziata a metà 2021 ha segnato +964mila unità nel 4° trimestre 2023 sul 1° 2008.
Rispetto a quella permanente, la dinamica della componente a tempo determinato risulta più strettamente legata al ciclo economico, come ben evidente dalle fluttuazioni registrate in corrispondenza delle recessioni 2008-2009 e 2012-2013, così come dal crollo e successivo rimbalzo durante la pandemia. D’altronde, essa va anche letta in stretta relazione alla dinamica dell’occupazione a tempo indeterminato, a sua volta influenzata dagli incentivi: questo perché molta della crescita della componente permanente deriva da stabilizzazioni di contratti temporanei, e ciò spiega lo sfasamento temporale tra le variazioni delle due componenti. Tirando le somme, il 2023 si è chiuso con circa 650mila occupati a tempo determinato in più rispetto a inizio 2008, un po’ sotto rispetto al picco di inizio 2022 (+785mila). L’incidenza del lavoro temporaneo sul totale dell’occupazione è scesa al 12,4% (15,8% su quella dipendente) dal 13,2% pre-pandemia (era 10,0% a inizio 2008).
Considerando l’andamento dell’occupazione per classi di età sempre su un orizzonte lungo, si osserva che i giovani, in Italia come in altri paesi, sono quelli che risentono maggiormente delle flessioni del ciclo economico. Tra il 2008 e il 2013 il tasso di occupazione si è contratto di ben 12 punti percentuali tra i 25-34enni, arrivando a toccare il 59,0%, per poi recuperare lentamente e parzialmente verso il 63% a fine 2019. Con la crisi sanitaria, è crollato di ben 4,5 punti percentuali.
Con la fine dell’emergenza sanitaria e la ripartenza della domanda di lavoro, il tasso di occupazione è cresciuto per tutte le fasce di età. La risalita è stata particolarmente ampia per i 25-34enni (a 68,9%), il cui tasso di occupazione non ha tuttavia ancora recuperato il livello di inizio 2008 (70,6%). Quello tra i 35-49enni lo ha di poco superato (76,6% da 76,0%), mentre quello degli over 50 ha continuato sul sentiero di espansione innescato dal progressivo aumento dell’età pensionabile; Grafico D).
La dinamica del tasso di occupazione va letta in funzione sia della variazione dell’occupazione sia dell’evoluzione della struttura demografica della popolazione. Per esempio, tra il 2019 e il 2023 l’aumento di 5,4 punti percentuali del tasso di occupazione per i 25-34enni è il risultato di 179mila occupati in più (che valgono 2,5 punti percentuali dell’aumento del tasso) e di un calo di 279mila persone nella fascia di età (che valgono 2,9 p.p.). Per i 35-49enni, invece, nello stesso periodo la crescita del tasso di occupazione è solo ascrivibile alla componente demografica (-1,2 milioni), mentre gli occupati sono calati di 600mila unità. L’opposto vale per gli over 50, per i quai il tasso di occupazione è aumentato di 2,5 punti percentuali per effetto di 715mila occupati in più, e un apopolazione in crescita di 610mila unità.
Dati il declino demografico e l’invecchiamento della popolazione, è cruciale che i tassi di occupazione continuino ad espandersi sospinti da un aumento della partecipazione. Portare più giovani al lavoro, in particolare, è fondamentale per alzare il potenziale di crescita, e richiede politiche che anticipino e migliorino la transizione tra scuola e lavoro.