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Secondo gli ultimi dati dell’Indagine Confindustria sul lavoro, nel 2019 quasi un’azienda associata su 10 (8,9%) ha offerto forme di “lavoro agile”, ovvero modalità di svolgimento del lavoro flessibili in termini di orario e luogo. Si stima che un altro 10% di aziende, pur non avendolo ancora introdotto, consideri il lavoro agile un tema interessante da affrontare.
La diffusione del cosiddetto smart working è mediamente più ampia nei servizi che nell’industria al netto delle costruzioni (11% rispetto a 8,0%) e nelle imprese più grandi, tra queste quasi 1 su 5 prevede tale modalità di lavoro. Nel campione di imprese che hanno partecipato all'Indagine sia nel 2018 sia nel 2019, la diffusione dello smart working risulta in forte aumento in tutte le classi dimensionali e nell’industria, pressoché stabile nei servizi.
L’Indagine condotta nel 2019 dall'Osservatorio smart working del Politecnico di Milano su un campione rappresentativo della popolazione di impiegati, quadri e dirigenti mostra che i dipendenti che lavorano in smart working sono più soddisfatti del proprio lavoro (76% rispetto al 55% di coloro che lavorano in modalità tradizionale) e dimostrano un legame più forte con la propria impresa (71% rispetto al 56%).
In un contesto di ritorno al protezionismo i trattati preferenziali degli scambi acquistano un ruolo fondamentale. Gli accordi che l'Unione europea ha effettuato fino ad ora hanno avuto un forte impatto positivo sulle esportazioni europee e, soprattutto, italiane.
La netta vittoria elettorale del Premier britannico Boris Johnson a dicembre, e il conseguente consenso del Parlamento di Westminster all’uscita del Regno Unito dall’UE, hanno contribuito a dissipare alcune delle incertezze legate alla Brexit.
Le aperture di partite IVA in regime forfettario sono in rapida crescita da inizio 2019: 220mila nuove attivazioni nei primi 9 mesi dell’anno, con un incremento del 36,5% rispetto all’anno procedente (+104mila solo nel 1° trimestre).
Secondo i dati dell’annuale Indagine Confindustria sul lavoro oltre un’impresa su 5 applica contratti aziendali che prevedono l’erogazione di premi variabili collettivi. La quota sale al 29% nell’industria.