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Giovanna Labartino, Francesca Mazzolari e Giovanni Morleo
1.1 La fotografia nel 2019
Un’impresa su cinque applica un contratto aziendale, quasi una su tre nell’industria
Secondo la rilevazione condotta tra febbraio e aprile 2019, si stima che il 21,0% delle aziende associate a Confindustria applica attualmente un contratto collettivo aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo. Si riscontrano ampie differenze per settore e dimensione aziendale. Nell’industria al netto delle costruzioni la diffusione della contrattazione aziendale di contenuto economico si attesta in media al 29% (contro il 13,7% nei servizi), passando dal 10,6% tra le aziende fino a 15 addetti al 32,4% tra quelle con 16-99 addetti, e raggiungendo il 76,8% tra quelle con 100 e più addetti. Dato che i contratti aziendali sono più diffusi tra le imprese di maggiore dimensione, la copertura dei premi variabili collettivi è più elevata se espressa in termini di lavoratori: 58,7% su un totale di oltre 5 milioni di lavoratori occupati in aziende associate a Confindustria. Tra le imprese dei servizi i lavoratori coperti sono il 48,7%, nell’industria al netto delle costruzioni il 66,1% (Figura A).
Più contratti aziendali dal 2016, specie per imprese piccole e dei servizi
Nell’indagine di quest’anno alle imprese con esperienza di contrattazione aziendale è stato chiesto a quando risaliva il primo contratto. Tra quelle che attualmente applicano un contratto aziendale:
Premi collettivi incidono più per operai e impiegati
Per il personale non dirigenziale, l’incidenza dei premi variabili collettivi sulla retribuzione annua complessiva è simile per operai e impiegati, rispettivamente pari al 3,3% e 3,5%, mentre tra i quadri scende al 2,6%. Nell’industria al netto delle costruzioni l’incidenza dei premi è mediamente più elevata che nei servizi e risulta particolarmente alta nelle imprese oltre i 100 dipendenti: 5,1% per gli operai e 4,6% per gli impiegati.
Non solo premi nei contratti aziendali
Tra le imprese che applicano un contratto aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo, in oltre il 35% dei casi lo stesso contratto prevede anche la possibilità (su richiesta del lavoratore) che il premio sia convertito in welfare. L’opzione è più diffusa al crescere della dimensione aziendale: nell’industria in senso stretto è prevista dal 27,0% dei contratti in imprese fino a 15 dipendenti, dal 29,7% in quelle con 16-99 addetti e da quasi la metà (48,1%) in quelle con 100 addetti e più.
Per quanto riguarda altre previsioni contenute nei contratti aziendali, forme di partecipazione dei lavoratori agli utili sono previste nel 4,8% dei casi, mentre forme di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione sono previste nel 7,8% dei casi.
Variegata l’offerta di benefit ai dipendenti
Da qualche anno l’indagine monitora la diffusione del welfare a livello aziendale. I risultati indicano che nella prima metà del 2019 il 60,2% delle imprese associate a Confindustria metteva a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti uno o più servizi di welfare. La diffusione del welfare è più elevata nell’industria e nelle imprese grandi; come nel caso dei premi collettivi, la maggiore diffusione nelle aziende di grande dimensione eleva la quota complessiva di lavoratori a cui tali servizi sono messi a disposizione.
Nel welfare aziendale prevale l’offerta di sanità integrativa e previdenza complementare. Nello specifico, quasi la metà delle aziende associate versa contributi in fondi di assistenza sanitaria integrativa a favore dei propri dipendenti (45,9%), principalmente in applicazione di quanto previsto dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (39%). La diffusione della previdenza complementare è al 28,7%, anch’essa soprattutto in attuazione di CCNL (24,5%). Per entrambe le forme di welfare la percentuale di imprese che le mettono a disposizione dei propri dipendenti schizza tra quelle grandi, in particolar modo nell’industria (81,5% e 75,6% rispettivamente).
In termini di diffusione, seguono le somministrazioni di vitto (per esempio tramite mense aziendali) e i fringe benefit (tra cui autovetture ad uso promiscuo o prestiti agevolati), messi a disposizione da circa una su 5 aziende (21,1% e 19,7%), in entrambi i casi principalmente per decisione unilaterale (12,7% e 15,8%).
Somme e servizi con finalità di educazione, istruzione o ricreazione rivolti ai dipendenti sono erogati dal 6,6% delle imprese. Una quota molto simile li eroga a favore di familiari dei dipendenti (6,8%). Le percentuali si quadruplicano tra le grandi imprese.
Mediamente al 9,8% (20,9% per le grandi imprese) la diffusione del “carrello della spesa”, un altro tipo di erogazione che offre un concreto sostegno al potere di acquisto dei dipendenti, ancor più se distribuito con accordi con specifici esercenti. Al 3,4% la diffusione di servizi di trasporto collettivo (11,1% tra le grandi imprese industriali).
Al 3,8% la diffusione di forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, voce che probabilmente prenderà peso in futuro sia per la recente estensione degli incentivi fiscali a questa forma di welfare sia per la crescente domanda a fronte dell’invecchiamento della popolazione. Nell’industria in senso stretto, tra le grandi imprese ormai più del 15% offre questo tipo di benefit ai dipendenti.
Come già messo in evidenza, la diffusione del welfare aziendale cresce con la dimensione di impresa. Tra le imprese più grandi si registra anche l’incidenza più elevata della previsione di welfare da contratto aziendale. Concentrandoci sui tipi di benefit più diffusi, tra le imprese con 100 o più addetti, il 10,3% offre assistenza sanitaria integrativa prevista da contratto aziendale, il 9,1% previdenza complementare e il 19,8% qualche forma di vitto. Nel caso dei fringe benefit, invece, la previsione da contratto aziendale scende al 6,9%, perché di gran lunga prevalente rimane la concessione (per decisione) unilaterale del datore di lavoro (Tabella A).
Lavoro agile in quasi un’azienda su dieci…
Per il secondo anno consecutivo, l’indagine Confindustria ha approfondito il tema dell’organizzazione del lavoro, monitorando la diffusione di forme di lavoro agile, ovvero modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, senza postazione fissa. Sulla base della rilevazione effettuata nei primi mesi del 2019, si stima che l’8,9% delle imprese associate a Confindustria abbia introdotto forme di smart working, una su 5 tra quelle con 100 o più addetti (20%). La diffusione è mediamente più ampia nei servizi che nell’industria (11% rispetto a 7,3%).
… e un tema interessante anche in molte aziende che non l’hanno introdotto
Si stima che un altro 10% di aziende, pur non avendolo ancora introdotto, consideri il lavoro agile un tema interessante da affrontare.
Con riferimento alle modalità di disciplina, tre volte su quattro, se introdotto, lo smart working è regolato solo da accordi individuali (76,4%). Vi è un 19,5% di aziende che tuttavia ha introdotto anche una regolamentazione aziendale e un 8,6% che include il tema nella contrattazione collettiva aziendale.
Nelle imprese più grandi è più frequente che agli accordi individuali si affianchi anche una regolamentazione aziendale (29,8% dei casi) e/o la contrattazione aziendale (22,7%).
1.2 Cosa è cambiato dal 2017
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da interventi normativi che hanno notevolmente ampliato il regime fiscale agevolato dei premi variabili collettivi, nonché quello su talune forme di welfare aziendale. Per valutare come sono cambiate, anche sulla spinta dell’evoluzione della normativa fiscale, le politiche aziendali adottate dalle imprese associate a Confindustria si fa riferimento in questo paragrafo al campione di imprese che hanno risposto a tutte e tre le ultime indagini.
Come dettagliato nell’Appendice metodologica, nel campione longitudinale sono sovrarappresentate imprese grandi e dell’industria, per le quali la diffusione delle politiche aziendali monitorate (contrattazione aziendale, erogazione di welfare e smart working) è in media più elevata. Pertanto ci si limita qui a commentare le variazioni osservate nel tempo, assumendo che siano informative delle tendenze riscontrabili nell’universo delle imprese associate a Confindustria nel triennio 2017-2019.
Per quanto riguarda la presenza di un contratto aziendale che prevede l’erogazione di premi variabili collettivi, questa risulta in crescita in tutte le classi dimensionali e i settori considerati, con aumenti che oscillano tra i 2 e i 5 punti percentuali dal 2017 al 2019.
Tra i contratti che prevedono l’erogazione di premi collettivi, in forte crescita l’opzione che questi possano essere convertiti in welfare (se richiesto dal lavoratore). La diffusione di tale opzione, infatti, si attesta nel 2019 su livelli tra una volta e mezza e due volte rispetto a quelli del 2018 (Figura B).
Anche per quanto riguarda la diffusione del welfare, si osserva una crescita nel triennio che interessa tutti i tipi di servizi considerati (Figura C). Gli aumenti maggiori si registrano per due tipologie, ovvero:
La diffusione di entrambi i benefit partiva da livelli molto bassi, ma quadruplica nell’arco del triennio. L’aumento della diffusione di entrambe le tipologie è da leggere alla luce dei cambiamenti normativi introdotti dalla Legge di bilancio 2016, che ha ampliato la lista di beni e servizi “non imponibili” di cui all’art.51 del TUIR (includendovi, in particolare, i servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti) e confermato la possibilità di fruire del beneficio fiscale anche qualora i benefit siano erogati ai dipendenti tramite voucher.
Sull’aumento osservato incidono anche altri fattori concomitanti. Nel caso dell’assistenza ai familiari anziani, è in atto un incremento strutturale della domanda di questi servizi, per esigenze di cura legate alla maggiore longevità. Sulla maggiore diffusione del carrello della spesa incide quanto contenuto nel CCNL metalmeccanico del 26 novembre 2016, ovvero che, a partire dal 1° giugno 2017, le aziende attivassero, per tutti i lavoratori dipendenti, piani di flexible benefits, per un importo di 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 euro nel 2019 –requisito che spesso le imprese hanno soddisfatto fornendo voucher. Non a caso, l’aumento della diffusione del carrello della spesa è particolarmente marcato nel comparto metalmeccanico.
Infine, anche per quanto riguarda la diffusione del lavoro agile si osserva nel campione longitudinale un forte incremento tra 2018 (primo anno in cui se ne è rilevata la presenza) e 2019. La percentuale di imprese che dichiara di aver introdotto forme di smart working quasi raddoppia da un anno all’altro, con incrementi di simile intensità in tutte le classi dimensionali e settori osservati.
In calo il tasso di assenteismo
Nel corso del 2018 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.653 (+0,6% rispetto al 20172). Di queste, 101 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non), -6,5% dalle 108 nel 2017. Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) è risultato in calo, attestandosi al 6,1% dal 6,5% dello scorso anno.
L’incidenza delle assenze è aumentata, seppur lievemente, nell’industria in senso stretto (da 5,9% a 6,1%), mentre nei servizi è diminuita dal 7,6% al 6,2%.
Il tasso di assenteismo si è confermato crescente all’aumentare della dimensione aziendale: 6,7% in quelle con 100 e più adetti, 4,3% in quelle fino ai 15 (Figura D).
Causali di assenza diverse per genere
La malattia non professionale si è confermata la causa più frequente di assenza (3,2% delle ore lavorabili), seguita dai congedi retribuiti (1,2%) e dagli altri permessi retribuiti (1,1%), che includono i permessi sindacali e quelli per visite mediche o accompagnamento parentale. L’incidenza delle assenze è risultata pari al 5,2% tra gli uomini e all’8,7% tra le donne. I congedi parentali spiegano quasi il 75% della differenza, essendo pari al 3,0% delle ore lavorabili per le donne e allo 0,4% per gli uomini, a causa degli oneri di accudimento familiare, visto che quelli a carico del genere femminile sono di gran lunga maggiori.
In ulteriore calo il ricorso alla CIG
Nel 2018, in media d’anno, scende ulteriormente la quota di imprese industriali che ha avuto almeno un lavoratore in Cassa Integrazione: l’ultima rilevazione indica una diffusione pari al 17,9% (era pari al 19,4% nel 2017, al 24,7% nel 2016 e 36,7% del 2015).
Nell’industria l’incidenza delle ore di CIG su quelle lavorabili è rimasta più elevata per gli operai (1,7%, corrispondente a 27,7 ore pro-capite, dal 2,5% nel 2017); per l’addetto medio è dell’1,1% (corrispondente a 17,7 ore pro-capite) dall’1,6% dell’anno precedente.
Nei servizi la diffusione della CIG, strutturalmente limitata rispetto all’industria, si attesta al 2,0%, dal 3,0% nel 2017 e dal 4,0% del 2016. L’incidenza media delle ore di CIG sulle ore lavorabili è allo 0,5%, in calo dallo 0,9% del 2017.
Dato che l’Indagine Confindustria raccoglie informazioni sul ricorso alla CIG durante l’intero anno precedente la rilevazione, non è possibile valutare variazioni in corso d’anno, quali l’aumento delle autorizzazioni di ore di CIG mappato invece negli archivi INPS a partire dall’autunno 2018 e confermato per la prima metà del 2019. Se le autorizzazioni rimarranno elevate per il resto dell’anno in corso, il fenomeno sarà rilevato nella prossima edizione.
Edizione 2019
Questa nota esamina i risultati dell’Indagine Confindustria sul Lavoro del 2019. I dati sono stati raccolti nel periodo febbraio-aprile 2019 con la collaborazione volontaria di circa 80 Associazioni del Sistema Confindustria, che hanno somministrato il questionario alle proprie aziende associate. Come in precedenti edizioni, il questionario di quest’anno include domande su: (i) struttura e dinamica della manodopera occupata con diverse tipologie contrattuali; (ii) orari e assenze dal lavoro, limitatamente al personale a tempo indeterminato full-time; (iii) politiche aziendali adottate dall’imprese, quali l’erogazione di premi variabili collettivi, la messa a disposizione di welfare al personale non dirigente, il lavoro agile.
Il questionario di quest’anno include anche domande qualitative sull’impatto atteso del Decreto Dignità di luglio 2018 su utilizzo di contratti a tempo determinato in azienda, ricorso ad altri tipi di contratti e turnover della manodopera. Per i risultati relativi a questa sezione ad hoc si rimanda a "Labartino G., Mazzolari F. (Centro Studi Confindustria), The Italian Labor Market in the midst of a new economic slowdown and yet another reform; Nota dal CSC n. 13-2019”.
All’indagine di quest’anno hanno partecipato 4.096 aziende – un campione statisticamente non rappresentativo, ma numericamente significativo dell’universo delle aziende associate a Confindustria. Complessivamente a fine 2018 le imprese che compongono il campione occupavano oltre 780 mila lavoratori dipendenti a livello nazionale.
Nella presentazione dei risultati dell’indagine, le imprese del campione sono classificate per comparto sulla base del CCNL applicato (Tabella A1) e per dimensione aziendale sulla base del numero di occupati alle dipendenze a dicembre 2018. Dettagli sulla composizione del campione per settore e numero di addetti, anche rispetto all’universo delle aziende associate, sono riportati nelle Tabelle A2 e A3.
In questa nota (come in quelle elaborate a commento di edizioni passate dell’Indagine Confindustria sul lavoro) i risultati medi a livello nazionale sono ponderati sulla base della distribuzione (per 11 comparti e 3 classi dimensionali) degli occupati nel totale delle imprese associate a Confindustria.
Campione longitudinale: panel bilanciato 2017-2019
Il campione di imprese che hanno partecipato a tutte e tre le ultime edizioni dell’Indagine Confindustria è composto da 1.235 aziende, la cui distribuzione per macro-settore e classe dimensionale è indicata nella Tabella A3.
Gli orari e le assenze dal lavoro: definizioni e metodologia di calcolo
I giorni lavorabili sono calcolati sottraendo ai 365 giorni dell’anno:
Le ore lavorabili annue sono calcolate:
Il tasso di assenteismo è calcolato come il rapporto percentuale tra le ore di assenza e le ore lavorabili, ed è disponibile per sesso, qualifica e tipologia di assenza.
I risultati si basano sulle risposte fornite dalle 3.880 aziende del campione che hanno compilato la sezione del questionario relativa agli orari e alle assenze dal lavoro.