Spending review: imparare dal passato e favorire la crescita

Note dal CSC

Piergiorgio Carapella, Alessandro Fontana, Andrea Montanino

  • Il 5 giugno la Commissione europea ha concluso che la procedura per disavanzi eccessivi nei confronti dell’Italia sarebbe giustificata: per la violazione della regola del debito nel 2018 e gli elevati rischi di violazione nel 2019 e 2020. L’11 giugno si è riunito il Comitato Economico e Finanziario chiedendo all’Italia di dettagliare le modalità per il rientro del debito.
  • La Commissione sottolinea che nel Documento di Economia e Finanza di aprile non sono presenti misure dettagliate per evitare l’aumento dell’IVA, se non un generico riferimento a una revisione della spesa.
  • L’analisi e valutazione della spesa pubblica (spending review) è il processo che ha come obiettivo la riallocazione delle risorse per conseguire una maggiore qualità ed efficienza della spesa.
  • È tempo di avviare una nuova revisione della spesa, che inizi oggi e finisca con la legislatura, estesa anche agli enti territoriali. Si tratta finalmente di impostare un approccio di tipo generale e replicabile, che modifichi radicalmente le modalità di definizione dei programmi di spesa pubblica e il loro monitoraggio. Un investimento organizzativo e metodologico di questo tipo ha infatti senso se mira alla costruzione di un approccio permanente, piuttosto che ad un esercizio di valutazione una tantum.
  • Il coordinamento dovrebbe essere affidato alla Presidenza del Consiglio con un Sottosegretario ad hoc per dare un forte input politico. Fissati obiettivi quantificabili e verificabili ex-post e condivisi questi con cittadini e imprese, una delivery unit, a cui riportano dei team specializzati, dovrebbe dettagliare la metodologia in un apposito manuale in modo da consentire l’applicazione di pratiche uniformi. Per superare le resistenze, un sistema di incentivi ai singoli funzionari e alle amministrazioni coinvolte è necessario.
  • L’attuale normativa è confusa e non organica perché prevede tre diverse forme di spending. Le continue innovazioni non hanno dato stabilità al processo. Peraltro, non è stato fatto il bilancio delle esperienze passate che è negativo perché non sono riuscite a ridurre le risorse pubbliche a parità di servizi pubblici offerti, a ridefinire il perimetro dell’azione pubblica e neanche ad aumentare l’efficienza.

Per approfondimenti si veda il capitolo 4 del Rapporto Dove va l'economia italiana e gli scenari di politica economica


Ferma la spending review nonostante le buone intenzioni

La Commissione europea, il 5 giugno scorso, ha presentato, per quattro paesi, il rapporto che valuta il rispetto dei vincoli su deficit e debito pubblici previsti dal Patto di Stabilità e Crescita: Belgio, Francia, Italia e Cipro. Solo per l’Italia, la Commissione suggerisce di avviare la procedura per disavanzi eccessivi per la violazione della regola del debito nel 2018 e gli elevati rischi di violazione nel 2019 e 2020. La Commissione ha sottolineato come nel Documento di Economia e Finanza (DEF) di aprile scorso, non siano presenti misure dettagliate per evitare l’aumento dell’IVA previsto nel 2020 dalle clausole di salvaguardia, se non un generico riferimento a una revisione della spesa. Va ricordato che le clausole vennero istituite con l’idea di dare al Governo più tempo, rispetto ai vincoli della sessione di bilancio, per individuare misure correttive. Se le clausole di salvaguardia venissero finanziate in deficit, secondo le previsioni del Centro Studi Confindustria di fine marzo e quelle della Commissione europea di maggio, questo schizzerebbe al 3,5 per cento del PIL.

È impossibile far fronte nel breve periodo ai tanti obiettivi del Governo: non aumentare l’IVA, non tassare i patrimoni, sostenere le fasce deboli, tagliare massicciamente le aliquote fiscali sui redditi delle persone fisiche (flat tax). Nel medio periodo si possono però creare gli spazi per alcune riforme se si avvia una vera revisione della spesa, fatta non solo di tagli ma di riforme dei meccanismi di formazione della spesa pubblica. In una lezione tenuta da Tommaso Padoa-Schioppa alla Banca centrale tedesca nell’ottobre del 2006, questi due concetti erano ben rappresentati: tagli e riforme sono complementari, anche se – evidenziava Padoa-Schioppa – i tagli sono sempre più facili da attuare. Questa nota vuole suggerire che è ora di affrontare seriamente il nodo dei meccanismi di spesa.

Anche questo Governo, come i precedenti, considera la revisione della spesa pubblica tra le azioni strategiche. I risparmi di spesa attesi e riportati nel Documento di Economia e Finanza (DEF) di aprile 2019, sarebbero pari a 2 miliardi per il 2020 (lo 0,2 per cento della spesa primaria, ammontare invariato rispetto al 2019) che salirebbero a 5 nel 2021 e a 8 (cumulati) nel 2022. La risoluzione parlamentare sul DEF ha impegnato il Governo a estendere il piano di revisione della spesa anche alle società controllate direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni (che non emettono strumenti finanziari in mercati regolamentati).

Nonostante le buone intenzioni, però, non è stata intrapresa finora alcuna iniziativa. Anzi, contrariamente agli anni precedenti, non è stato ancora avviato il processo di revisione della spesa interno al ciclo di programmazione di bilancio, quello attualmente previsto dalla Legge di contabilità e finanza pubblica, e ciò impedisce il pieno coinvolgimento delle amministrazioni nella razionalizzazione della spesa.

Inoltre, la nomina dei due viceministri del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Laura Castelli e Massimo Garavaglia, a Commissari alla spending review, avvenuta al Consiglio dei Ministri del 18 aprile scorso, dieci giorni dopo è stata revocata. Quindi al momento la revisione della spesa è completamente ferma.

 

Ci sono spazi per intervenire?

Nell’ambito della spesa pubblica, alcune voci di spesa potrebbero non essere essere oggetto di revisione. La spesa in conto capitale, è una di queste. Gli investimenti, infatti, hanno effetti positivi sulla crescita sia nel breve periodo, come componente di domanda, che nel lungo periodo, per aumentare il livello e la dinamica del PIL potenziale e quindi, per non danneggiare la crescita, non è su questa spesa che andrebbero individuati risparmi. Peraltro, negli ultimi anni, tale spesa è stata particolarmente sacrificata: a fine 2018 è ancora di 21 punti percentuali inferiore a quella del 2007. Naturalmente, in un’ottica di efficientamento della spesa, anche quella in conto capitale andrebbe valutata attentamente. La spesa per interessi si riduce se migliora il clima di fiducia sulla situazione economica del Paese, ma non può essere oggetto di una revisione. Anche la spesa per pensioni andrebbe esclusa perché è legata a diritti acquisiti e alle dinamiche demografiche; peraltro, negli anni, la Corte Costituzionale ha ridotto fortemente gli interventi ammissibili. In ultimo, la spesa per stipendi pubblici è una voce su cui non sembra prioritario intervenire visto che è rimasta ferma per diversi anni a seguito del blocco dei rinnovi contrattuali dal 2012 al 2016 e delle limitazioni sul turnover. In molti casi, gli importi unitari degli stipendi sono ben al di sotto delle medie europee. La spesa pubblica aggredibile, quindi, cioè quella che potrebbe essere sottoposta a revisione, ammonta a circa 290 miliardi di euro, dagli 850 miliardi di euro di spesa totale (Figura A).

Tabella totale spesa pubblica Italia, miliardi di euro, Note CSC spending review

Peraltro, va considerato che la spesa primaria pubblica (quindi al netto degli interessi sul debito) pro-capite in Italia si attestava nel 2018 a circa 13mila euro, più bassa della media euro, pari a circa 15.300 (Figura B). Non c’è quindi una devianza sulla quantità totale della spesa pubblica. È semmai la sua composizione, molto sbilanciata verso la spesa per interessi e poco sugli investimenti a differenziarla dagli altri paesi. Questa voce di uscita, in Italia è la più alta tra i paesi dell’Eurozona sia in termini assoluti (65 miliardi nel 2018) sia in percentuale del PIL (3,7 per cento). Nel 2018, l’Italia ha speso circa 35 miliardi più della Spagna, quasi 25 più della Francia e 34 più della Germania.

Grafico Bassa la spesa pro-capite italiana al netto degli interessi, Note CSC spending review

Al contrario, l’Italia spende meno di altri grandi paesi europei (Francia, Spagna e Germania) per gli investimenti, che hanno un impatto decisivo sulla crescita economica di lungo periodo. Tra il 2008 e il 2018 la spesa per investimenti è stata sempre inferiore alla media dell’Eurozona: il 2,5 per cento del PIL, contro un valore medio registrato nell’Area euro pari al 2,9. Dal 2008 il nostro Paese ha accumulato un gap nella spesa per investimenti di 17,8 punti percentuali rispetto all’Eurozona.

 

La qualità dei servizi pubblici in Italia non è in linea con quella degli altri paesi euro

È la dimensione qualitativa della spesa che è più rilevante per il caso italiano. Secondo gli indici di governance globale della Banca Mondiale (Worldwide Governance Indicators, WGI), l’Italia è uno dei paesi avanzati con il più basso livello di efficacia del governo della cosa pubblica. Nel 2017, siamo infatti nel 70esimo percentile, circa 12 punti percentuali sotto la Spagna e 24 sotto la Germania. Pesano la frammentazione, la mancanza di un'adeguata capacità amministrativa, la complessità del quadro regolatorio.

La frammentazione comporta duplicazioni di ruoli e competenze e carenze organizzative, con conseguente estrema complessità delle procedure, che spesso richiedono numerosi passaggi, costi elevati di gestione e spreco di risorse. Tale frammentazione genera poi importanti squilibri all’interno del territorio a causa delle differenze nei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche che ricadono sul benessere dei cittadini e sulla competitività delle imprese.

A questi problemi si aggiunge la mancanza di capacità amministrativa, soprattutto nelle amministrazioni di ridotte dimensioni, che ha comportato significativi rallentamenti nell’attuazione di importanti misure di semplificazione (es. conferenza di servizi, SUAP). Il risultato è, in molti casi, il rallentamento o, addirittura, la paralisi di procedimenti di autorizzazione di opere, infrastrutture e, più in generale, di importanti attività economiche.

Per tale ragioni, un’analisi che consenta di scomporre i processi produttivi della pubblica amministrazione nelle sue diverse fasi è essenziale per isolare e rimuovere le criticità al fine di migliorare la qualità dei servizi. Il prossimo paragrafo delinea una proposta metodologica organica per la revisione della spesa.


Una proposta metodologica per l’avvio di una nuova revisione della spesa

In un quadro normativo confuso e alla luce delle molte esperienze infruttuose (si veda l’ultimo paragrafo), il processo di revisione della spesa dovrebbe essere migliorato in modo da operare non solo tagli, ma anche vere e proprie “ristrutturazioni” dei meccanismi di spesa, in uno sforzo che coinvolga tutti gli attori e parta dal “basso”. Un nuovo programma di analisi e revisione della spesa pubblica si dovrebbe quindi articolare su due direttrici:

A. analisi e miglioramento dell’efficienza delle amministrazioni;

B. analisi e miglioramento dell’efficacia della spesa pubblica e riesame delle priorità.

In entrambi i casi si tratta di impostare un approccio replicabile che modifichi radicalmente le modalità di definizione dei programmi di spesa e il loro monitoraggio. Un investimento organizzativo e metodologico di questo tipo ha senso se mira alla costruzione di un approccio permanente, piuttosto che a un esercizio di valutazione una tantum.

 

A) Miglioramento dell’efficienza operativa Per accrescere l’efficienza operativa della pubblica amministrazione la revisione della spesa deve ispirarsi ai seguenti obiettivi:

  • verificare lo stato di efficienza dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche nei vari settori di spesa;
  • identificare aree di possibile incremento dell’efficienza, sia in termini di minori risorse per produrre una determinata quantità di servizi pubblici, sia in termini di aumento (quantitativo o qualitativo) del servizio offerto a parità di risorse impiegate;
  • concordare con le amministrazioni incrementi di efficienza nelle aree identificate e indicare gli interventi necessari per ottenerli.

 

B) Analisi e miglioramento dell’efficacia della spesa pubblica e riesame delle priorità Per consentire di recuperare risorse dalle aree di spesa non considerate politicamente prioritarie e contemporaneamente accrescere l’efficacia della spesa migliorando la qualità dei servizi pubblici, la revisione della spesa deve ispirarsi ai seguenti obiettivi:

  • analizzare i programmi di spesa, integrando le attività svolte dalle varie amministrazioni in modo da superare la frammentazione delle competenze amministrative, e valutare l’opportunità o meno di mantenerli invariati nelle dimensioni finanziarie date, anche consultando cittadini e imprese, individuando i settori in cui è preferibile limitare l’azione pubblica; liberare risorse da destinare a settori e iniziative di priorità del Governo;
  • per i programmi di spesa considerati prioritari identificare, sempre integrando le attività svolte dalle varie amministrazioni, le aree di criticità, le possibili modifiche da apportare anche migliorando il coordinamento tra le amministrazioni. A tal fine occorre selezionare indicatori in grado di supportare le decisioni e dati per valutare la performance client-oriented in modo da allineare la capacità di fornire servizi ai fabbisogni di cittadini e imprese;
  • stabilire precisi obiettivi, quantificabili e verificabili ex-post, per selezionati programmi di spesa da condividere con cittadini e imprese o loro rappresentanze; incrementare la trasparenza e il senso di responsabilità dei centri di spesa rendendo al contempo chiaro e concreto (in termini di servizio pubblico offerto) ai cittadini il senso dell’azione di Governo. L’identificazione di obiettivi o target quantitativi serve a concretizzare gli obiettivi strategici non misurabili. Questo passaggio è cruciale poiché il solo fatto di introdurre obiettivi quantitativi sulla base di indicatori che siano trasparenti e monitorabili ex-post anche dai cittadini è un fattore potente di miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche nell’esperienze di altri paesi. Affinché ciò avvenga è necessario che tali target siano:

    • sufficientemente ambiziosi, in modo da richiedere un effettivo sforzo operativo e di riforma;
    • misurabili e quindi verificabili ex-post, per permettere una seria valutazione dei risultati ottenuti rispetto agli impegni presi. Andrebbero quindi stabiliti chiaramente ex-ante gli indicatori e le statistiche che permettano di valutare i risultati;
    • espressi in termini del risultato finale (outcome), più che dell’input necessario per ottenerlo, per rendere esplicita la finalità di servizio pubblico che s’intende ottenere in termini di azioni/beni che interessano direttamente i cittadini.

 

Modalità di attuazione della spending review

Va prevista l’introduzione per legge dell’obbligo di spending review di legislatura, con obiettivi pluriennali per le amministrazioni centrali e decentrate. Il processo di revisione della spesa andrebbe allora inserito nella Legge di riforma della contabilità pubblica e incorporato nel processo di bilancio. Da un punto di vista operativo, la revisione della spesa dovrebbe essere così organizzata:

  • mantenere il coordinamento alla Presidenza del Consiglio, dove dovrebbe essere creata una delivery unit, chiamata a fissare le priorità politiche e gli obiettivi quantitativi dell’analisi (Figura C). La delivery unit risponderebbe direttamente al Presidente del Consiglio, con cui verrebbe stabilita una lista “ristretta” di priorità politiche, ma lavorerebbe quotidianamente con l’amministrazione attraverso un piano d’azione, obiettivi chiari e performance misurabili, che permettano di responsabilizzare le stesse amministrazioni;
  • definire prioritariamente una metodologia comune, da dettagliare in un apposito manuale. Infatti, la spesa è spesso organizzata secondo processi e prassi consolidate ma non segue una pianificazione strategica che metta in luce inefficienze, aree di miglioramento, metriche per valutare il successo (o l’insuccesso) di un intervento. Pertanto, il manuale, oltre a superare tali problematiche, consentirebbe l’applicazione uniforme di pratiche coerenti in relazione agli obiettivi individuati. Il manuale dovrebbe anche precisare le modalità di coinvolgimento di cittadini e imprese in qualità di utilizzatori dei servizi pubblici.

Una proposta metodologica per la revisione della spesa Note CSC spending review

In questo senso andrebbe ripresa l’esperienza inglese del 2004, la cosiddetta Gherson’s review. Peter Gherson elaborò Releasing resources to the front line: Independent Review of Public Sector Efficiency, una sorta di manuale metodologico, che aveva l’obiettivo di precisare il modo in cui efficientare il settore pubblico. Secondo il Gherson Report, l’efficienza del settore pubblico si doveva raggiungere tramite: 1) il mantenimento dello stesso livello di servizio pubblico, riducendo il numero di input (persone e beni), 2) prezzi più bassi per i beni o servizi che servono al settore pubblico, 3) il miglioramento degli output, come l’aumento della quantità o della qualità del servizio pubblico, mantenendo lo stesso livello di input. Il report di Gherson dava indicazioni chiare su quale strada si dovesse intraprendere, includendo il processo di spending review in un contesto più ampio di efficientamento del settore pubblico, con chiare e comuni definizioni sul significato di efficienza e qualità dei servizi pubblici;

  • creare team specializzati che analizzino la spesa per programmi di bilancio seguendo la metodologia indicata nel manuale. I team dovrebbero essere composti da esperti esterni, funzionari delle amministrazioni coinvolte e funzionari del Ministero dell’Economia e delle Finanze con un mix di competenze economiche, di settore e contabili;
  • affidare ai team l’obiettivo di individuare target quinquennali di risparmio, di efficientamento della spesa e miglioramento della qualità dei servizi, da ottenere attraverso la revisione dei processi, in linea con le priorità e gli obiettivi indicati dalla Presidenza del Consiglio e secondo le metodologie indicate nel manuale, selezionando gli indicatori per monitorare il raggiungimento di tali obiettivi e verificando i risultati;
  • imporre l’adozione di tale modello di spending review agli enti territoriali, collegandolo a quello delle amministrazioni centrali. Questo è un aspetto cruciale poiché consentirebbe di ricostruire i processi di spesa dal centro alla periferia e quindi di collegare i servizi pubblici offerti alla decisione che li ha generati. Inoltre, ciò consentirebbe la diffusione e l’implementazione delle migliori pratiche adottate dagli enti territoriali. Al riguardo, va sottolineato che la maggior parte dei servizi pubblici è erogata a livello locale anche se, in parte, finanziata a livello centrale. La competenza statale sul coordinamento della finanza pubblica consente di imporre la spending anche alle amministrazioni decentrate;
  • individuare sistemi per incentivare le amministrazioni virtuose, per garantire il coinvolgimento e la condivisione degli obiettivi di revisione della spesa tra i rappresentanti delle diverse amministrazioni. Alcuni di questi obiettivi possono porsi in contrasto con l’interesse dei dipendenti delle amministrazioni coinvolte. Il superamento delle resistenze deve passare per meccanismi di incentivazione.

 

Cosa prevede l’attuale quadro normativo per la spending review?

L’attuale normativa sulla revisione della spesa appare complessa e non organica. Al momento sono tre le forme di spending in vigore:

  • la prima, avviata nel 2016 con la modifica all’art. 22-bis della Legge di contabilità e finanza pubblica, è quella seguita fino allo scorso anno e ancora non avviata per l’anno in corso. Questa prevede che il Consiglio dei Ministri definisca gli obiettivi di spesa triennali per ciascun Ministero anche tenendo conto delle priorità politiche del Governo e i Ministeri propongano gli interventi da adottare nell’ambito del disegno di Legge di bilancio. Dopo l’approvazione della Legge, è previsto l’avvio del monitoraggio delle misure introdotte. La spending, in questo schema, quindi, viene fatta da ciascun Ministero singolarmente e si è tradotta essenzialmente in riduzioni di spesa. Questo processo è entrato per la prima volta in vigore nel 2017 e si riferiva al triennio di programmazione 2018-2020 dove era stato fissato un obiettivo di 1 miliardo di euro di risparmi strutturali per ogni anno nei principali Ministeri.
  • La seconda si basa sui Nuclei di analisi e valutazione della spesa (art. 39 della stessa Legge) ed è ferma dal 2013. L’attività dei Nuclei, insediatisi per la prima volta a metà del 2011, e pensati come strutture nell’ambito delle quali si intendeva realizzare la collaborazione tra amministrazioni centrali e MEF e alle quali partecipava un rappresentante della Presidenza del Consiglio, era finalizzata a individuare e quantificare i principali fattori che ostacolano l’allocazione ottimale e l’utilizzo efficiente delle risorse, verificare l’efficacia delle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi di razionalizzazione della spesa, supportare la definizione di proposte di rimodulazione delle spese e l’elaborazione di metodologie per la definizione delle previsioni di spesa e dei fabbisogni associati ai programmi, coadiuvare l’attività di misurazione del livello di erogazione dei servizi pubblici effettuando proposte per l’individuazione di indicatori appropriati a rappresentare gli obiettivi dei programmi di spesa.

I risultati raggiunti sono poi confluiti nel primo rapporto del 2012 di quasi 700 pagine. Il rapporto è di difficile lettura e non sembra che siano stati attivati interventi volti a rimuovere le criticità indicate, a rendere più efficiente la spesa, ovvero a ottenere risparmi. Per questa ragione, le analisi dei Nuclei hanno svolto più un ruolo di monitoraggio e controllo sulle procedure interne che una vera e propria spending review.

  • La terza, è quella che individua nel Commissario straordinario per la spending review la figura chiave del processo (DL 69 del 2013). Il Commissario ha durata triennale e può formulare indirizzi di intervento normativo su tutti gli aspetti della spesa delle amministrazioni pubbliche (e non solo di quelle centrali come previsto dal precedente DL 52 del 2011). Sulla base di questa modalità, sono stati nominati Commissari prima Carlo Cottarelli, poi Roberto Perotti e Yoram Gutgeld.

È evidente che l’attuale quadro legislativo crea confusione. Le continue innovazioni, condotte senza esaminare i problemi posti dall’esperienza precedente, non hanno dato stabilità al processo.


Un bilancio delle esperienze passate

La storia della spending review in Italia, anche se allora non veniva chiamata così, inizia nel 1981; i suoi successi sono stati limitati, nonostante le molte Commissioni e i molti Commissari che si sono succeduti nel tempo. Le esperienze principali sono le seguenti:

  1. la Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica (CTSP, 1981-2003) il cui mandato era quello di realizzare approfondimenti su singoli settori di spesa e suggerire interventi normativi, volti sia a migliorare i processi al fine di rendere più efficiente l’uso delle risorse, che a limitare la spesa. La CTSP operava come un corpo esterno alla pubblica amministrazione ed elaborava studi mirati, non sistematici, su singole aree di spesa pubblica definite dalla Commisione stessa, a seguito dei quali formulava raccomandazioni, non vincolanti, al Ministro di riferimento, senza avere alcun ruolo nell’eventuale fase applicativa. La Commissione è stata soppressa nel 2003 dal Governo Berlusconi
  2. la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (CTFP, 2007-2008), un organismo costituito nel 2007 da soggetti esterni al Ministero ma incardinato nel MEF, a cui, per la prima volta, fu affidato il compito di effettuare l’analisi sistemica della spesa. Il duplice obiettivo era quello di superare l’approccio "incrementale" nelle decisioni di bilancio (quello che dava per scontato il rifinanziamento della spesa storica, cioè delle politiche in essere, senza valutarne qualità ed efficienza) e le criticità connesse al ricorso a tagli “orizzontali” alle dotazioni di bilancio, che oltre a creare difficoltà operative alle amministrazioni, finivano per posporre la spesa medesima agli anni successivi, risultando poco efficaci. Tuttavia, la CTFP durò un solo anno prima di essere soppressa, e la sua analisi riguardò la spesa sostenuta da cinque Ministeri, circa un terzo della spesa complessiva delle amministrazioni centrali. La Commissione, col supporto del Servizio Studi della Ragioneria Generale dello Stato, istituito in quell’ambito, oltre ad alcuni studi su singole tematiche di spesa, produsse due rapporti, uno intermedio e uno finale, in cui furono indicate 90 raccomandazioni che riassumevano le proposte per rendere più efficiente la spesa;
  3. l’attività della RGS (2009) a cui fu affidata la revisione della spesa dopo la soppressione della CTFP. Il programma di analisi della spesa, ancora limitato alle amministrazioni centrali, fu reso permanente ed esteso a tutti i Ministeri; inoltre, fu introdotto l’obbligo, ancora in vigore, per ciascun Ministro di redigere una Relazione sullo stato della spesa, sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa, da inviare annualmente al Parlamento. Il lavoro di RGS si è concentrato maggiormente su aspetti metodologici che, sebbene abbiano contributo al processo di riforma della Legge di contabilità e finanza pubblica, non sono da considerarsi una vera e propria revisione della spesa;
  4. il Rapporto Giarda, presentato nell’aprile del 2012, forniva una utile analisi delle diverse tipologie di inefficienza e degli aspetti critici che caratterizzano la struttura della spesa pubblica, ma non prospettava suggerimenti o proposte per interventi specifici. Anche qui l’obiettivo, più che formulare proposte specifiche d’intervento, era quello di stimolare la dialettica tra le strutture di Governo competenti sulle procedure di spending review;
  5. la spending del Commissario Enrico Bondi (2012). Il DL 52 del 2012 istituì un Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica e un Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi. Il Commissario elaborò un’analisi della spesa per consumi intermedi di Regioni, Province, Comuni, Università ed Enti di ricerca. Il successivo DL 95 del 2012, recependo alcune analisi del Commissario, ha tagliato la spesa per consumi intermedi oltre che introdotto obblighi di riduzione delle spese per enti, agenzie e organismi relativi agli enti territoriali. Il decreto stimò una riduzione netta di spese pari a circa 3,9 miliardi di euro nel 2012, 6,6 miliardi nel 2013 e 9,9 miliardi nel 2014. Nonostante l’obiettivo del lavoro del Commissario fosse quello di recuperare risorse, utilizzando un metodo più fine dei tagli orizzontali, in realtà, i tagli applicati, alla fine, furono quasi-orizzontali;
  6. la spending del Commissario Carlo Cottarelli (2013). Nominato nel 2013 (con mandato triennale e poteri ampliati dal DL 69); l’anno successivo pubblica 72 slide con le principali indicazioni di revisione della spesa e, nell’aprile del 2015, le relazioni dei venti gruppi di lavoro partecipati dai Ministeri che, secondo una logica bottom-up, avevano lavorato in parallelo all’attività del Commissario. L’insieme delle proposte, pur contenendo elementi di analisi interessanti, risultano incomplete o poco fruibili dal punto di vista operativo. Ciononostante, alcune delle proposte effettuate dal Commissario sono rientrate del DL 66 del 2014, in particolare quelle riguardanti la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, la riduzione degli stipendi dei dirigenti pubblici e la riforma delle partecipate;
  7. la spending del Governo Renzi (2015-2017). In parallelo al monitoraggio e alle comunicazioni dei Ministeri sul raggiungimento degli obiettivi di spesa (previsti dall’art. 22-bis della Legge 196/2009), l’attività di revisione della spesa è proseguita con l’incarico a Roberto Perotti e, da marzo 2015, la nomina di Yoram Gutgeld a Commissario straordinario. Il 20 giugno 2017 è stata presentata la prima Relazione sulla revisione della spesa per il triennio 2014-2016. L’attività del Commissario si è concentrata su 3 macro-aree di spesa: sanità, enti locali e sicurezza, che in totale rappresentano circa i tre quarti della spesa corrente. Il totale di riduzione della spesa per il 2017 ammontava, secondo la relazione, a 29,9 miliardi di euro. Tali risparmi, secondo i risultati presentati, sarebbero andati ad ampliare le prestazioni previdenziali e assistenziali (per un totale di 12,7 miliardi), oltre a contribuire al risanamento dei conti pubblici e alla diminuzione della pressione fiscale.

L’esame delle esperienze presentate mostra che una vera analisi e revisione della spesa, in Italia, non è stata mai fatta, nonostante i molteplici riferimenti legislativi e la lunga serie di attività alle spalle.

Le spending condotte internamente dalle amministrazioni, proprio perché "ordinarie", cioè inserite nel processo di bilancio e nel sistema dei controlli interni hanno avuto obiettivi diversi dalle analisi "straordinarie" portate avanti con il contributo di soggetti esterni alle amministrazioni e con un mandato politico esplicito. Non sono state finalizzate a elaborare proposte di policy per modificare le modalità di produzione dei servizi pubblici, i confini del settore e l’allocazione delle risorse, ma si sono limitate al monitoraggio dei processi interni e a promuovere miglioramenti delle procedure interne al fine di efficientare l’azione pubblica.

Nessuna delle esperienze riportate ha prodotto miglioramenti significativi dei servizi pubblici, a parte alcuni lavori della CTSP. Solo le revisioni di Bondi e di Gutgeld hanno prodotto importanti risparmi di spesa. Nel primo caso, però, nei fatti, sono stati ottenuti con tagli quasi-lineari su tutti gli enti territoriali; nel secondo, dai documenti pubblici, è difficile individuare un legame diretto tra l’attività svolta, le misure proposte, quelle adottate e i risparmi dichiarati. Nel caso della recente spending, realizzata singolarmente dai Ministeri, sono stati realizzati risparmi molto contenuti imponendo tagli lineari a tutti i Ministeri.

Si tratta, quindi, di esperienze complessivamente non soddisfacenti che non sono riuscite né a ridurre le risorse pubbliche a parità di servizi pubblici offerti, né a ridefinire il perimetro dell’azione pubblica, né ad aumentare l’efficienza.

Diverse sono le ragioni di questi insuccessi. Quasi sempre è stata evidente la mancanza di obiettivi predefiniti condivisi con i vertici politici dei Ministeri e con le amministrazioni. Ciò ha limitato l’efficacia delle analisi e contribuito a rendere diffidente e poco collaborativa l’amministrazione. A ciò ha contribuito anche l’essersi affidati prevalentemente a esperti esterni senza coinvolgere pienamente i funzionari responsabili della spesa, gli unici ad avere una conoscenza capillare dei processi decisionali e delle norme sottostanti.

In alcuni casi è mancato un adeguato supporto politico. Le proposte di risparmio del Commissario Cottarelli, ad esempio, non erano allineate con le priorità politiche del Governo; la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica aveva un forte supporto del Ministro dell’Economia Padoa-Schioppa ma meno dei colleghi di Governo.

È poi mancato un sistema di incentivi per spingere singoli funzionari e amministrazioni a generare risparmi: la spending review veniva vissuta come tagli ai budget e quindi riceveva poca collaborazione; è mancata trasparenza nei confronti degli stakeholders, cittadini e imprese, che avrebbero potuto offrire un supporto al processo se avessero compreso i benefici in termini di efficienza nei servizi erogati. Infine, il tempo è stato sempre troppo poco per organizzare una spending che andasse oltre obiettivi di breve periodo.

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