menu start: Mon Oct 14 09:51:29 CEST 2024
menu end: Mon Oct 14 09:51:29 CEST 2024
Lo scenario previsivo CSC si fonda sull’assunzione di una normalizzazione delle tensioni protezionistiche e dei rapporti commerciali a livello internazionale, specie tra USA e Cina, favorendo una graduale ripresa degli scambi esteri. L’effetto positivo, in termini di dati medi annui, sarà pienamente visibile nel 2020.
Si tratta di un’ipotesi cruciale, visto che l’andamento altalenante dell’export italiano nel 2018 è stato spiegato soprattutto dalla debolezza della domanda extra-UE per i prodotti europei. Per il 2019-2020, le prospettive per le vendite in alcuni mercati extra-UE sono già migliori. Molto importanti sono i possibili sviluppi del rallentamento in atto in Cina: si assume che il paese riesca a contrastare un’eccessiva frenata e, quindi, che l’import cinese riparta nel biennio.
Ma gli scenari geoeconomici sono complessi e altamente incerti. Ecco perchè non si può dare per scontato che il PIL italiano regga quest’anno e si irrobustisca - seppur marginalmente - il prossimo.
Per approfondire la previsione CSC sull'economia italiano rimandiamo alla sezione dedicata.
Il miglioramento dei mercati esteri è uno scenario ragionevole, che sconta un comportamento razionale delle parti in gioco, perché l’escalation delle tensioni internazionali danneggerebbe tutti. Nello scenario CSC si assume, in particolare, che:
• Stati Uniti e Cina chiudano un accordo che assicuri un percorso di riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie;
• le negoziazioni tra Stati Uniti e Unione europea scongiurino nuovi dazi USA sugli autoveicoli;
• i rapporti economici tra Europa e Cina si rafforzino, senza rotture con l’alleato americano;
• le elezioni del Parlamento europeo non provochino marce indietro nel processo di riforma dell’UE;
• la Brexit avvenga in modo ordinato;
• le crisi geopolitiche in Medio Oriente (Iran) e America del Sud (Venezuela) non destabilizzino le aree circostanti;
• non si verifichino rallentamenti eccessivi nell’economia dell’Eurozona o degli Stati Uniti: una recessione in una delle due aree determinerebbe una recessione in Italia.
Vista la lunga serie di ipotesi, è alto il rischio che qualcosa non vada nel verso giusto e che le condizioni per l’export italiano possano risultare peggiori nel biennio. In particolare, un ulteriore indebolimento della domanda di beni intra-europea, in linea con il rallentamento già in corso dell’area, rappresenta un importante fattore di rischio al ribasso. E molte altre ombre si addensano all’orizzonte, tra instabilità a Wall Street, imminenti elezioni europee, incertezza estrema sulla Brexit, guerre o armistizi commerciali.
Gli eventi del 2018, in più occasioni, hanno sorpreso in negativo operatori e analisti. Perciò si è creato un clima di profonda incertezza, che deriva dall’impossibilità di assegnare una precisa probabilità di realizzazione a esiti diversi, anche inaspettati. Questi esiti potrebbero provocare vere e proprie discontinuità nelle relazioni economiche internazionali.
L’analisi di questi scenari alternativi diventa, quindi, un esercizio non solo utile, ma necessario, di stress test dell’economia italiana, che permette di valutare i fattori di rischio delle previsioni di crescita e identificare le adeguate risposte di policy, a livello italiano, europeo e multilaterale.
L’impatto degli scenari geoeconomici globali sull’Italia è amplificato dai suoi profondi legami commerciali, produttivi, finanziari, energetici e tecnologici con l’estero e riguarda anche il ruolo svolto dal paese nelle principali istituzioni multilaterali. Si possono individuare sei principali variabili che trasmettono gli shock provenienti da paesi esteri all’economia italiana, e viceversa:
1. l’interscambio commerciale: la somma di import ed export di merci è pari a circa il 50 per cento del PIL italiano; la maggior parte degli scambi riguarda beni intermedi e di investimento, riflettendo la forte integrazione delle imprese italiane nelle catene del valore europee e globali;
2. i flussi di investimenti diretti esteri: le imprese multinazionali in Italia, sia a controllo nazionale che a controllo estero, generano due terzi dell’export manifatturiero e quasi tre quarti dell’import (con punte del 90 per cento e oltre degli scambi nei settori degli autoveicoli, degli altri mezzi di trasporto e dei prodotti farmaceutici);
3. le interconnessioni finanziarie: attività e passività italiane verso l’estero sommano, in totale, a circa il 150 per cento del PIL; in particolare, il canale estero svolge un ruolo centrale nella raccolta bancaria e nel finanziamento del debito pubblico italiano;
4. le importazioni di idrocarburi: più del 90 per cento del petrolio e del gas naturale consumati in Italia proviene dall’estero; aumenti della fattura energetica pesano sui bilanci di famiglie e imprese;
5. gli scambi tecnologici: dal 2012 l’Italia è esportatrice netta di tecnologia, rafforzando le vendite all’estero di servizi di ricerca e sviluppo, informatici, di architettura e ingegneria e incrementando i compensi per l’uso della proprietà intellettuale; la cooperazione tecnologica, specie nel campo digitale e della connessione mobile, rappresenta il principale driver della competitività e della crescita di lungo periodo del Paese;
6. la crescita dei mercati di destinazione: l’espansione delle economie estere e, in particolare, delle loro importazioni, rappresenta una maggiore domanda potenziale per i prodotti italiani, anche perché negli ultimi anni le imprese italiane si sono dimostrate in grado di orientare le vendite verso i mercati più dinamici.
Sulla base di questi sei canali di trasmissione, il Centro Studi Confindustria ha elaborato un Indice sintetico di Rilevanza Geoeconomica (IRG) per oltre 100 paesi, che permette di tracciare una mappa mondiale delle aree strategiche più importanti per l’economia italiana.
Da questa mappa geoeconomica emergono tre messaggi principali:
1. Europa: l’Europa è l’area strategica di riferimento per l’Italia, perché il mercato unico è la più grande area economica del mondo ed è fondamentale per un’industria italiana in grado di competere a livello globale; la Francia è il principale partner dell’Italia in campo finanziario e la Germania in campo commerciale; il Regno Unito è parte integrante di questa area, soprattutto dal punto di vista finanziario, ed è quindi cruciale gestire in modo ordinato il percorso della Brexit;
2. Emergenti: i paesi europei si posizionano molto indietro nel fattore energetico e in quello di crescita del mercato; per l’energia, l’Italia dipende soprattutto dalla Russia e dal Medio Oriente; per quanto riguarda l’espansione della domanda, non si può fare a meno della Cina, l’economia mondiale più dinamica;
3. USA: gli Stati Uniti rimangono il principale partner geoeconomico dell’Italia; sono primi per cooperazione tecnologica, importanti in tutti i canali e rappresentano ancora il mercato di destinazione più grande del mondo e il secondo più dinamico.
Utilizzando la lente dei canali di trasmissione precedentemente indicati, il CSC ha identificato 11 eventi di portata mondiale, accaduti nel 2018 o che si potrebbero concretizzare nel 2019, in parte connessi tra loro, in grado di influire sull’economia italiana.
I cinque fattori, già avvenuti nel 2018, con un effetto che si estende anche all’anno in corso, sono:
1. Dazi USA. Le nuove barriere tariffarie, introdotte o allo studio, all’import degli Stati Uniti, pur colpendo principalmente i prodotti cinesi, hanno generato una forte incertezza tra tutti gli operatori, risultando uno dei principali fattori del rallentamento degli scambi mondiali nel 2018-2019. La manifattura italiana è particolarmente esposta al mercato USA, sia direttamente che attraverso le catene globale del valore; si pensi, in particolare, all’export tedesco, che incorpora molti semilavorati italiani. Negli autoveicoli, minacciati dai dazi USA, un terzo dell’export italiano dipende dalla domanda americana. È necessario un nuovo accordo europeo con gli Stati Uniti, che può usufruire dell’ampia base condivisa nei negoziati del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).
2. Crisi finanziarie nei paesi emergenti. Alcune economie emergenti sono molto dipendenti dalle condizioni finanziarie negli Stati Uniti. Nel 2018 l’aumento dei tassi di interesse USA e l’apprezzamento del dollaro hanno causato una profonda crisi finanziaria in Argentina e Turchia. Altri paesi, come Russia e Brasile, sono stati parzialmente coinvolti, ma non si è generato un vero effetto contagio, che avrebbe provocato una frenata più consistente dell’import dei paesi emergenti e, quindi, degli scambi mondiali.
3. Sanzioni USA all’Iran. L’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare in Iran, con la reintroduzione delle sanzioni economiche, colpisce soprattutto le imprese europee, relativamente più esposte sul mercato iraniano. Ciò è vero soprattutto per l’Italia: sono italiani un sesto dei prodotti e quasi la metà dei capitali che vanno dall’Europa all’Iran. Inoltre, la politica USA favorisce lo spostamento dell’Iran (e del Medio Oriente) verso la sfera di influenza cinese.
4. Aumento dei prezzi dell’energia. Anche a causa delle tensioni in Iran, le quotazioni di petrolio e gas sono aumentate nel 2018, con un’elevata volatilità che alimenta l’incertezza. La fattura energetica pagata da imprese e famiglie italiane è salita al 2,3 per cento del PIL nel 2018, riducendo la loro capacità di spesa e investimento. L’Italia deve sfruttare al meglio le sue riserve di idrocarburi, continuare a sostenere la produzione domestica di elettricità da fonti rinnovabili, realizzare le necessarie grandi infrastrutture energetiche per diversificare l’import.
5. Non riforme europee. Il processo di riforma delle istituzioni europee si è fermato nel 2018, in tutti gli ambiti. In assenza di riforme permarrà il gap di competitività dell’Europa rispetto agli Stati Uniti: disponibilità di capitale di rischio non bancario 7 volte inferiore; prezzi dell’energia elettrica superiori del 30 per cento e quelli del gas del 100 per cento; 400 miliardi l’anno il costo per l’Europa della mancanza di un mercato unico digitale. L’economia italiana, visto l’elevato debito pubblico e la bassa crescita, è particolarmente vulnerabile nell’attuale assetto europeo.
I sei fattori da tenere sotto osservazione per il 2019, che rappresentano elementi di rischio (soprattutto al ribasso) nel biennio previsivo, sono:
1. Evoluzioni politiche nell’Unione europea. La Brexit e le elezioni europee aprono a scenari incerti e inediti: da sostanziale continuità a completa rottura. Il parlamento del Regno Unito ha votato contro l’ipotesi di un’uscita disordinata e a favore di un rinvio della Brexit dopo la scadenza del 29 marzo. Per quanto riguarda gli scenari che seguiranno le prossime elezioni del Parlamento europeo, servirà sicuramente una coalizione più ampia di quella passata per creare una maggioranza parlamentare e intraprendere riforme condivise, con le incognite che ne deriveranno sulla spinta propulsiva che il Parlamento saprà imprimere. L’Italia, dove è probabile che le forze che otterranno più seggi non faranno parte della maggioranza del Parlamento europeo, potrebbe correre il rischio di rimanere isolata.
2. Eurozona in recessione. Cosa succede se l’Eurozona va in recessione? In caso di uno shock negativo in Germania o in altri paesi europei, l’Italia sarebbe vulnerabile, oltre che sul fronte commerciale e finanziario, anche su quello dei conti pubblici: oltre 150 miliardi di debito pubblico italiano sono detenuti dalle banche dei 10 maggiori paesi euro. Pesano le mancate riforme europee, in tema di strumenti di stabilizzazione del ciclo e completamento dell’Unione bancaria e del mercato dei capitali.
3. Escalation di attacchi cibernetici. Con 20 miliardi di computer connessi nel mondo, gli attacchi cibernetici su scala globale sono destinati a crescere. L’Italia è particolarmente vulnerabile, piazzandosi al 25° posto (su 28) in Europa per competenze digitali, e a causa di scarsi o nulli investimenti specifici. È necessario sostenere gli investimenti privati in sicurezza informatica (specie nelle piccole e medie imprese) con misure d’incentivo pubblico, a partire dagli sgravi fiscali per l’acquisto di servizi di cyber-security, attualmente rico- nosciuti dal Governo.
4. Caduta di Wall Street. L’attuale fase di espansione dell’economia USA dura da quasi 10 anni (in giugno diventerà la più lunga mai registrata) e l’indice di Wall Street è tornato vicino ai livelli massimi, dopo lo scivolone di fine 2018. Che succede se si inceppa la locomotiva USA? La Borsa e l’economia in Italia (e in Europa) sono molto legate alle dinamiche americane; in uno scenario estremo di una crisi finanziaria negli Stati Uniti paragonabile a quella 2007- 2009, l’impatto negativo sul PIL italiano sarebbe superiore a un punto percentuale.
5. USA-Cina: guerra o pace (commerciale). Stati Uniti e Cina sembrano vicini a un accordo commerciale. Ciò metterà fine alle tensioni strategiche tra le prime due economie mondiali? Si possono analizzare due scenari opposti: un accordo “profondo” ridurrebbe l’incertezza e farebbe ripartire il commercio mondiale, ma l’Italia e l’Europa correrebbero il rischio di una marginalizzazione; un’escalation protezionistica, invece, si estenderebbe rapidamente al resto del mondo, con effetti distruttivi per le catene globali del valore e una perdita fino a tre punti di PIL mondiale. Occorre superare al più presto lo stallo nella governance globale, facendo seguito alla proposta di riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio presentata dall’Unione europea.
6. Italia nella Nuova Via della Seta cinese. Le tensioni strategiche sino-americane, anche in caso di un accordo bilaterale, si riverseranno in territorio europeo: dal tema degli investimenti cinesi nella Nuova via della seta a quello digitale (il 5G di Huawei), con la sottostante minaccia dei dazi USA nell’automotive. Per l’Europa la domanda e gli investimenti cinesi rappresentano, innanzi tutto, un’opportunità e l’Italia è in posizione privilegiata lungo la via della seta (il 60 per cento degli scambi europei con la Cina avviene via mare). Tuttavia, l’export italiano è in ritardo in Cina e i nostri porti hanno perso posizioni: dal 2008 al 2018 l’Italia è scesa dal secondo al decimo posto come destinazione e origine delle merci tra i paesi a nord del canale di Suez (dietro a Grecia, Spagna e Turchia). Una maggiore cooperazione con la Cina è necessaria, ma senza rotture con il principale alleato atlantico e soprattutto costruendo una posizione negoziale forte.
In allegato il capitolo 2, 3 e 4 del Rapporto e le slide presentate durante il convegno.
Find attached also the Summary and Main Conclusions in english.