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Taglio del cuneo, investimenti, Europa siano la bussola del nuovo governo: la lettera del Presidente Boccia al Sole 24 Ore | Confindustria

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Taglio del cuneo, investimenti, Europa siano la bussola del nuovo governo: la lettera del Presidente Boccia al Sole 24 Ore

15 agosto 2019 | Presidente

Caro direttore,

questi giorni di metà agosto dovrebbero essere per tutti dedicati al riposo e alla famiglia.

Invece proprio in questi giorni cade una delle crisi di governo più complesse che il nostro Paese abbia mai affrontato per tempi e modalità, perché capita in un momento in cui l’economia ristagna - il Pil tedesco fa registrare un meno 0,1 per cento nel secondo trimestre - e gli ordini arretrano nelle grandi regioni industriali del Nord mentre a Sud si assiste a un continuo aumento dei divari e a un ulteriore deterioramento della situazione economica.

Con queste parole inizia la lettera del Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia oggi al Sole 24 Ore

Noi non partecipiamo, perché non dobbiamo partecipare, al dibattito se sia opportuna o meno una verifica elettorale immediata o la scelta di soluzioni alternative che comunque dovrebbero avere una strategia e fissare degli obiettivi valutabili nel merito – ha continuato il Presidente.

Ciascuno di noi a livello personale ha ovviamente le proprie idee e può decidere se renderle pubbliche o mantenerle riservate. Confindustria ha costruito la sua credibilità nei decenni rimanendo fedele, dagli anni Settanta in poi, a quella che un mio predecessore definì la tripla A: essere ed essere percepita Autonoma, Apartitica e Agovernativa.

Ciò significa giudicare i singoli provvedimenti di un governo o i progetti di una forza politica senza mai affidare ad alcuno una delega generale, decisione che spetta solo ai cittadini nell’ambito dei percorsi istituzionali, e che noi dobbiamo ovviamente rispettare.

Per noi occorre superare le incertezze e quindi il punto non è solo e tanto fare presto ma fare che cosa.

A noi interessano più sviluppo, più crescita, più occupazione da realizzare a partire dalla prossima manovra di bilancio puntando a un taglio del cuneo fiscale per rafforzare i salari dei lavoratori, a un piano di inclusione dei giovani nel mondo del lavoro e a massicci investimenti in infrastrutture che colleghino persone e territori per includere e rafforzare la coesione sociale. Questi sono peraltro i punti sui quali le grandi associazioni di rappresentanza hanno mostrato grande convergenza ai tavoli di governo.

A noi interessano la scuola e l’università che preparino i giovani, una giustizia sia civile che penale efficiente e che l’Italia esprima in Europa tutto il proprio peso.

A noi interessa un Paese unito, che affronti e superi le disuguaglianze, che pensi alle strategie e non si avviluppi nelle tattiche di cortissimo respiro.

Per questo facciamo appello alla responsabilità e al realismo di tutte le forze politiche rispetto a una politica dei fini, che richiede di darsi grandi obiettivi e agire con coerenza: ambiziosi nei fini e realisti nei mezzi. Tutto questo lo dobbiamo fare dentro e con l’Europa.

Ci si potrà dividere sulle ricette per raggiungere questi obiettivi. Ognuno cercherà di valorizzare e perseguire quelli che ritiene più opportuni, a livello di persone, di forze politiche, di governi, di Stati membri. Su un punto però noi riteniamo che il dibattito debba essere univoco: essere e restare a pieno titolo in Europa.

Non vorremmo sentirci dire da qualcuno che, poiché il Parlamento europeo o la Commissione europea non hanno condiviso le nostre proposte o non hanno rispettato le nostre aspettative, allora occorre perseguire strade alternative.

Ecco perché vorremmo che l’Europa avesse uno scatto in avanti, innovasse le proprie regole con una maggiore attenzione alla crescita e si facesse protagonista di un grande piano transnazionale d’infrastrutture da poter finanziare con emissione di eurobond.

Proprio perché vogliamo innovare le regole e puntare alla crescita dobbiamo essere chiari: noi dobbiamo stare in Europa. Per questo ci impegniamo e ci impegneremo fino in fondo e chiediamo a tutte le forze politiche di farlo insieme a noi, per modernizzare la costruzione europea.

Non accetteremo mai che, laddove i nostri sforzi venissero frustrati o rinviati o comunque non adeguatamente perseguiti, si possa immaginare (o di fatto creare le condizioni per) una risposta alternativa, sia essa quella assolutamente impraticabile di un’Italexit o quella, anch’essa impossibile e comunque disastrosa per tutta la comunità italiana, di un’uscita dall’Euro.

Questo deve essere il punto centrale di chiarezza per chiunque governa e governerà il nostro Paese. Si possono avere sensibilità diverse sul tema delle regole di integrazione sociale, sul rispetto degli altri, sulla condivisa necessità che questo non vada a detrimento della qualità della vita dei nostri concittadini.

Nessuno può però pensare di avere il consenso di Confindustria e degli imprenditori italiani attivando una roulette sui numeri per lo sviluppo, dove il rischio (per non dire la certezza) è che alla fine il debito pubblico vada in default, l’attuale assetto di protezione sociale non regga, i depositi o le azioni dei piccoli risparmiatori perdano di valore, insomma che l’Italia salti a danno di tutti, di quella parte dei cittadini italiani che con sacrificio e capacità sono riusciti a individuare una condizione di vita positiva e soddisfacente, e di quei tanti che purtroppo, talvolta indipendentemente dalla loro volontà, non riescono ancora ad avere un tenore di vita dignitoso.

Per tutti e soprattutto per questi ultimi l’Italia in Europa è l’unica condizione che consentirà al nostro Paese di vivere serenamente il prossimo futuro, in un mondo sempre più complesso e sempre più competitivo. E quindi occorre che ogni partito sia chiaro sulla propria linea di politica economica.

Gli operatori sui mercati sanno fare di conto e quindi punirebbero proposte irrazionali prima ancora che le stesse abbiano prodotto effetti negativi. Anche perché in economia non c’è contemporaneità tra cause ed effetti e quindi in questo presente vanno determinate le cause, quindi le politiche, per avere domani effetti positivi sull’economia reale.


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