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Audizione su Documento di Economia e Finanza 2022

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Audizione su Documento di Economia e Finanza 2022

12 aprile 2022 | Presidente


Oggi il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è intervenuto in Audizione presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, sul Documento di Economia e Finanza 2022.

 

Lo scenario economico è dominato dalle estreme tensioni e incertezze generate dall’invasione russa in Ucraina. La guerra si innesta su un quadro già reso difficile dal perdurare della pandemia, delle pressioni al rialzo sui prezzi di varie commodity, dal reperimento di materie prime e materiali e dei colli di bottiglia in alcune catene di fornitura globali. Per l’Italia, il gas russo copre il 38% del consumo. I rincari di petrolio e gas stanno facendo crescere i costi delle imprese con un aumento della bolletta energetica italiana che, ai prezzi attuali, sarebbe di 5,7 miliardi su base mensile, 68 miliardi su base annua. Le imprese hanno finora in gran parte assorbito nei propri margini, fino ad annullarli in alcuni casi, questi aumenti dei costi. I margini erosi spiegano perché l’inflazione di fondo in Italia è la più bassa in Europa (1,7% a marzo). Inoltre, da una nostra indagine svolta su un campione di imprese associate emerge che oltre il 16% di esse ha già ridotto la produzione. E oltre 1/3 indica di poter continuare soltanto per 3 mesi senza sostanziali sospensioni.

Quindi tra due mesi e mezzo, quasi 1 impresa su 2 avrà ridotto la produzione.

Il quadro macroeconomico del DEF che delinea una crescita tendenziale del PIL al 2,9% nel 2022 basato su una contrazione dello 0,5% nel primo trimestre, una ripresa nel secondo e nel corso dei mesi estivi un ritorno a una crescita a ritmi sostenuti, appare ottimistico e sembra non cogliere le straordinarie difficoltà dell’attuale situazione.

Il Centro Studi di Confindustria stima per quest’anno un incremento del PIL del +1,9% ma, si noti bene: la variazione positiva è interamente dovuta a quella già “acquisita” a fine 2021 (+2,3%) grazie all’ottimo rimbalzo dell’anno scorso. Infatti, qualsivoglia variazione del PIL inferiore al 2,3% annuo significa che quest’anno saremo in recessione. Il Centro Studi, sulla base di ipotesi che non sono da considerare pessimistiche (la fine della guerra e la riduzione dei suoi principali effetti a giugno, l’assenza di un razionamento dell’energia elettrica per il settore produttivo, il crollo dei contagi e dei suoi effetti e l’attuazione del PNRR), stima che nei primi due trimestri l’economia italiana entri in una “recessione tecnica” (-0,2% e -0,5% rispettivamente) e questa non sarà compensata dalla lieve ripresa attesa nella seconda metà dell’anno. E, a marzo, un’ulteriore caduta della produzione industriale pari al -1,5%.

 

Tra le principali macroaree, l’Unione europea è quella più colpita come dimostra il prezzo del gas che è circa 10 volte quello registrato negli Stati Uniti. Ma anche nell’ambito della UE, i prezzi dell’energia sono sostanzialmente diversi perché i governi hanno adottato strumenti diversi a tutela dei propri settori industriali. Differenze così ampie nel prezzo di alcuni input tra macroaree globali ma anche tra paesi europei incidono molto negativamente sulla competitività dell’industria italiana. Soprattutto per le imprese che operano nei settori energy intensive. È quindi cruciale che all’unità che si riscontra a livello europeo nella individuazione delle sanzioni corrisponda una medesima unità nel fronteggiare gli impatti della guerra e delle sanzioni. Le imprese sono al fianco del Governo e dell’Europa, ma occorre approntare gli strumenti adeguati per non distruggere in tutto o in parte il nostro tessuto produttivo. D’altra parte, se l’Europa si dimostrerà coesa solo sulle sanzioni, occorrerà necessariamente agire a livello nazionale. E occorrerà farlo con tempestività e con interventi straordinari, adeguati a questa nuova emergenza. La Germania sta stanziando 100 miliardi di euro per sostenere le imprese attraverso linee di credito emergenziali, interventi sull’equity e sovvenzioni per compensare gli aumenti dei costi. Noi con il DEF stanziamo 5 miliardi. Un’eventuale soluzione ravvicinata del conflitto avrebbe l’effetto di attenuare gli impatti ma non di azzerarli. Ed è per questo che continuiamo a ritenere insufficiente l’approccio di brevissimo periodo sinora seguito dal Governo. Serve una risposta più robusta, di sistema e soprattutto duratura.

 

I rincari dei prezzi energetici (+52,9% annuo a marzo) stanno avendo l’effetto di comprimere il potere d’acquisto delle famiglie e ciò influirà sull’ampiezza e il ritmo di crescita dei consumi. Il forte aumento dell’inflazione, che non si esaurirà nel breve termine, finirà per comprimere la domanda aggregata. Ci potremmo ritrovare con un’attività produttiva ferma prima per l’eccessivo aumento dei costi e poi per una domanda sfiancata dal persistente aumento dei prezzi. In questo senso, va evitato il pericolo di alimentare ulteriormente la spirale inflattiva con una non corretta politica dei redditi. Il DEF opportunamente richiama la validità del sistema attuale basato sul meccanismo dell’IPCA al netto degli energetici importati, in virtù del quale, quando i prezzi energetici scenderanno la forbice tra inflazione e andamento delle retribuzioni si invertirà nuovamente e il potere d’acquisto riguadagnerà terreno rispetto ai prezzi. Non è possibile chiedere alle imprese, che si stanno già fermando per gli aumenti dei costi degli input, anche un aumento del costo del lavoro. È, invece, ancora più opportuno, proprio in questo quadro, un intervento sul costo del lavoro. Non basta alleggerire il prelievo fiscale, come è stato fatto con l’ultima legge di bilancio, ma bisogna anche intervenire sul costo del lavoro.

Riteniamo sia indispensabile partire dalla sterilizzazione degli aumenti dei prezzi di gas e petrolio per imprese e famiglie da inquadrare in una risposta di sistema, un patto a tre con Governo e sindacati. Perché se non si interviene sui rincari, le imprese saranno costrette a fermarsi, e questo comporterà inevitabili costi sociali. Il momento richiede responsabilità e spirito di coesione. Questo dobbiamo averlo presente tutti. I sindacati devono essere consapevoli che occorre discutere e affrontare le cause dei problemi e, solo in seconda battuta, individuare le soluzioni anche alle loro istanze. Se si pretende di discutere di redditi senza domandarsi come generare le risorse per corrisponderli, sarà tempo perso. Nel contempo, è di tutta evidenza che la presenza del Governo – come accadde col Protocollo del 1993 – amplia necessariamente la prospettiva e la colloca dentro una “politica dei redditi” che impone di discutere di costo del lavoro. Si tratterebbe di ripartire dall’ultimo accordo interconfederale del 2018.

  

In materia di energia, occorre lavorare su due piani:

  •  affrontare l’emergenza nell’immediato
  • programmare una serie di azioni per arrivare all’indipendenza energetica.

 

Per quanto riguarda l’emergenza, è fondamentale allungare i termini degli interventi già adottati, garantendo un orizzonte almeno annuale, per rendere possibile la programmazione e, in molti casi, la stessa continuità delle attività produttive. Ribadiamo poi, la necessità di dar seguito a proposte che Confindustria ha formulato da tempo. Le misure nazionali, pur indispensabili, vanno integrate con iniziative e decisioni a livello europeo. In particolare, occorrono interventi per arginare manovre speculative sui mercati energetici e delle quote di emissione di CO2 (meccanismo ETS).

Serve una regolamentazione coordinata dei prezzi. L'obiettivo è un prezzo comune regolato del gas, che tuteli industria e occupati da manovre speculative e da condizioni economiche abnormi rispetto agli approvvigionamenti. Quanto al meccanismo ETS, con la fissazione dei nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni, il mercato ETS ha subito una significativa evoluzione speculativa. Sosteniamo, quindi, una sospensione del meccanismo ETS, affinché siano adottate tutte le misure, compatibili con il mercato, per limitare gli effetti speculativi recenti.

Al contempo, e tornando al fronte nazionale, per raggiungere i target delle fonti rinnovabili previsti dal PNRR e ridurre la bolletta energetica, vanno accelerati i processi autorizzativi.

Rimane poi fondamentale la riforma del mercato elettrico.

 

Un altro impatto immediato che la guerra sta avendo riguarda il calo della fiducia rispetto alle decisioni di investimento delle imprese. È necessario tornare a rafforzare le misure di supporto alla liquidità e agli investimenti. In particolare, occorre un nuovo potenziamento delle garanzie pubbliche almeno per tutto il 2022, a partire dal Fondo di garanzia per le PMI. Questi interventi sono possibili grazie al nuovo Quadro Temporaneo di aiuti per le imprese colpite dalla crisi, che tuttavia non è adeguato rispetto alle esigenze della congiuntura del momento. In particolare, occorre un’azione di sensibilizzazione nei confronti della Commissione Europea, volta a consentire un significativo allungamento della durata delle garanzie concedibili – almeno fino a 15-20 anni.

 

Sono necessarie due considerazioni.

La prima sul PNRR. Nel contesto in cui ci troviamo, anche gli effetti positivi derivanti dall’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono a rischio. Alcuni degli investimenti previsti potrebbero essere di difficile realizzazione ai prezzi attuali. È, quindi, necessario individuare un meccanismo stabile di compensazione dell’aumento dei prezzi dei contratti in corso anche per le imprese del comparto dei servizi e delle forniture. Al contempo, andrà avviata, a livello europeo, una discussione sull'opportunità di rimodulare obiettivi e scadenze. In ogni caso, non va messo in discussione né rallentato il processo di implementazione delle riforme strutturali in esso previste, riforme che restano un pilastro per l’ammodernamento e la competitività del sistema produttivo. Andrebbe invece avviato un attento monitoraggio sulla qualità delle azioni intraprese e per verificarne l’effettiva implementazione, delle quattro riforme fondamentali avviate lo scorso anno: Pubblica Amministrazione; giustizia; contratti pubblici e concorrenza. Su quest’ultima, in particolare, occorre accelerare.

 

La seconda riguarda la salute. Negli ultimi due anni, di fronte all’emergenza sanitaria, abbiamo tutti convenuto che per anni erano state investite poche risorse sul sistema sanitario. Si è quindi deciso aumentarle in modo consistente. Il DEF appena presentato, sembra dimenticarsi di tutto ciò, programmando per il 2025 una riduzione di 1,2 punti di PIL della spesa rispetto al 2020 e tornando, di fatto, sotto ai livelli di spesa pre-Covid. Considerando che una buona parte dell’aumento registrato nel 2020 è legato all’assunzione e stabilizzazione del personale e al rinnovo del contratto, gran parte dei tagli ricadranno sulla filiera privata della salute. E molto probabilmente si scaricherà sulle famiglie, costringendole ad accrescere la spesa privata per servizi sanitari, quando ancora non siamo neanche usciti dall’emergenza Covid. Questo ridurrà ulteriormente il reddito disponibile delle famiglie e fare crescere le disuguaglianze.

 

Il punto essenziale per noi è la strategicità dell’industria italiana. La manifattura del nostro Paese va considerata una leva essenziale della sicurezza nazionale. Sono necessarie misure strutturali per l’industria analoghe a quelle assunte in altri Paesi UE. Abbiamo bisogno di estendere Industria 4.0 come uno strumento permanente delle scelte nazionali. E accompagnarvi misure contributive, fiscali, politiche attive del lavoro, di sostegno a ricerca e sviluppo, che si pongano tutte insieme come obiettivo permanente:

 

- l’innalzamento del valore aggiunto delle nostre produzioni,

- l’ottenimento di eccellenza e autonomia in tecnologie e produzioni che abbiamo abbandonato a vantaggio di altri, o su cui siamo indietro,

- il rafforzamento costante della patrimonializzazione e propensione all’autoinvestimento,

- l’apertura alle imprese medie e piccole del fintech e non dei soli intermediari finanziari tradizionali

- e che accompagnino ristrutturazioni, fusioni e acquisizioni che portino con gradualità ma sistematicità ad accrescere taglia dimensionale e finanziaria delle industrie.

 

La politica deve difendere la strategicità della nostra industria che significa anche avere un’idea chiara di ciò che va promosso e di ciò che va invece evitato, nel conflitto oggi in corso in Ucraina. È oggi il momento di pensare a un grande fondo garantito insieme da UE e USA per ricostruire l‘Ucraina, e all’avvio di un pacchetto di misure di reciproco interesse economico per la nuova Russia post-invasione, come per la Cina altrimenti interessata a ricentrare su se stessa produzioni e forniture. Per decenni, in Europa, abbiamo commesso l’errore di non perseguire l’autonomia dell’eccellenza tecnologica, non avendo quella delle risorse naturali. Ma non è un gap che possiamo superare pensando a nostra volta di rinchiuderci nei confini europei. La nostra forza è stata quella di aumentare reddito e lavoro nei nostri Paese accrescendoli anche in quelli in cui ci insediavamo come partner finanziari, industriali e commerciali. 

O l’Europa è capace di statisti in grado di parlare questa lingua, oppure la geopolitica militare delle tre potenze avrà su di noi effetti recessivi, ed è un errore che non ci possiamo permettere.



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