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La pandemia da Covid-19 fa accelerare i
cambiamenti in corso… La crisi da Covid-19 ha avuto un effetto propulsivo sulle tendenze in atto, provocando un salto di velocità nelle trasformazioni sociali e, di riflesso, dell’economia (Grafico A). La crisi e i piani di ripresa predisposti potrebbero per esempio spingere verso una riallocazione delle risorse produttive tra settori. Da un lato, la crisi ha colpito più duramente alcuni comparti (si pensi, ad esempio, a tutte le attività legate al turismo), che probabilmente avranno bisogno di più tempo per ripartire. Dall’altro, i nuovi trend hanno rappresentato un vero e proprio vantaggio per alcune branche di attività (in primis tutte quelle svolgibili da remoto e senza contatto fisico).
… soprattutto per l’ulteriore spinta alla digitalizzazione Vendite online, stoccaggio sempre più massivo di informazioni su piattaforme digitali, riduzione degli spostamenti fisici delle persone, affiancamento dei social media ai mass media sono alcuni dei fenomeni che, da oltre 25 anni e sempre più rapidamente, continuano a crescere d’intensità e di importanza, ponendo sfide inedite a modelli di produzione e di vendita. In primo luogo, diviene cruciale la rapidità di adattamento richiesta come fattore di resilienza per continuare ad operare sui mercati internazionali. Il cambiamento tecnologico ha fatto anche emergere giganti del web che operano su scala globale con posizioni di rendita oligopolistiche difficilmente scalfibili, almeno nell’immediato, da altri operatori economici.
La pandemia ha fornito ulteriore impulso ai cambiamenti negli equilibri sullo scacchiere internazionale La forza e la resilienza della Cina e del suo modello di sviluppo sono emerse in modo definitivo ed inequivocabile: prima ad essere colpita dalla pandemia, è stata l’unica tra le grandi economie mondiali a crescere nel 2020, guadagnando ancor più peso relativo nell’economia mondiale. Questo dopo che nell’ultimo quinquennio era venuta fuori anche la forte competenza tecnologica e digitale dietro il successo della manifattura cinese, che si prepara ad occupare un ruolo centrale nell’area di scambio e investimenti più grande del mondo, istituita con il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP).
Aumentano i rischi di credito a livello globale La crisi ha richiesto una risposta immediata dei governi, che hanno predisposto misure straordinarie e senza precedenti per farvi fronte, soprattutto nei paesi avanzati, ma anche, ove possibile, negli emergenti. Se da un lato la risposta si è rivelata efficace nel contenere ed alleviare i problemi legati all’emergenza sanitaria ed economica, dall’altro ha fatto lievitare enormemente i debiti pubblici sovrani. Anche il livello del debito privato è aumentato considerevolmente, soprattutto grazie alla predisposizione di strumenti di prestito garantiti dagli stati stessi per far fronte alla crisi di liquidità delle imprese. A rendere il quadro più sostenibile hanno contribuito le politiche monetarie espansive delle banche centrali, adesso sotto osservazione in vista della possibile accelerazione dell’inflazione.
Altri fattori momentaneamente messi in secondo piano dell’emergenza sanitaria Occorre segnalare che i cambiamenti in corso rendono ancora più difficile la gestione delle criticità preesistenti alla pandemia da Covid-19. Molti di questi fattori sono peraltro interconnessi tra loro e comunque legati alle nuove tendenze di cambiamento, rendendo il quadro di riferimento sempre più complesso e instabile, con ripercussioni negative anche sull’incertezza.
Per citarne alcune, sono state messe solo momentaneamente da parte le tensioni degli USA con la Cina, che sembrano perdurare anche con la nuova Presidenza Biden, come testimoniano la recente indagine avviata per accertare la natura delle origini della pandemia, le discussioni condotte durante il G7 e le dichiarazioni del Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg. Non sono cessate nemmeno le tensioni USA-Russia, che coinvolgono anche l’UE e l’Italia, con l’adozione di reciproche limitazioni alle relazioni di tipo economico. Alcune delle incertezze legate alla Brexit si sono dissolte con il trattato di libero scambio, ma restano ancora troppi i fattori che possono scatenare l’innalzamento di barriere e ostacoli agli scambi commerciali, rendendo ancora instabile il quadro delle relazioni economiche tra Regno Unito e Unione europea.
Infine, non si possono omettere i vincoli legati ai cambiamenti climatici, destinati a occupare un posto di primo piano nell’agenda dei policy maker e, quindi, a diventare una discriminante di competitività per le imprese.
Seppure non colpiti così duramente come alcuni comparti dei servizi (come Turismo e Ristorazione), i beni finali di consumo belli e ben fatti (BBF) hanno subito pesanti ripercussioni. I settori legati alla Moda sono stati tra quelli che più hanno sopportato sia gli effetti diretti (chiusura ripetuta delle attività commerciali collegate, stop delle fiere in presenza e criticità legate alle trasferte), sia indiretti (condizionamenti alla mobilità e alla socialità) dovuti al cambio di abitudini conseguenti alla pandemia da Covid-19. Inoltre, l’elevata incertezza e il rallentamento generalizzato della domanda mondiale non hanno di certo giovato all’export dei beni finali di consumo nel suo complesso, seppure sorprende come alcune eccellenze del made in Italy abbiano continuato a crescere anche nel 2020, come ad esempio la Nautica, mostratasi particolarmente resiliente.
La facilità di riconoscere l’italianità come caratteristica di un prodotto e di apprezzarla si è affermata nel tempo in tutto il mondo, motivo per cui i consumatori sono disposti a riconoscere un valore superiore a un bene made in Italy e a pagare di più per averlo, preferendolo ai competitor. Il BBF e i suoi tratti distintivi sono la bandiera dell’italianità nel mondo. Il BBF racchiude in sé tutti quei beni che rappresentano l’eccellenza italiana in termini di design, cura nei dettagli, qualità dei materiali e delle lavorazioni. Si tratta di prodotti di elevata qualità che si distribuiscono in tutti i comparti produttivi, ma che trovano la loro massima espressione nelle produzioni maggiormente legate al gusto e alla creatività. Da questo punto di vista, il BBF è l’espressione più facilmente riconoscibile del made in Italy, riprendendo i tratti più caratteristici dell’heritage culturale dell’Italia, delle sue tradizioni, dei suoi paesaggi e delle opere d’arte, contribuendo a comporre l’immagine dell’Italia produttiva (Grafico B). In questo senso il “bello e ben fatto”, oltre a rappresentare una quota importante dell’export italiano nel mondo, fa da volano a tutte le esportazioni italiane, avendo un valore non solo economico, ma anche immateriale.
La qualità resta la chiave per svettare in un contesto sempre più competitivo A difendere i beni BBF dalla durissima concorrenza sui prezzi da parte dei concorrenti (basti pensare alla forza d’urto delle esportazioni cinesi) è l’elemento qualitativo distintivo, che li colloca in un ambito di mercato diverso rispetto ad altri beni formalmente classificati nelle medesime categorie merceologiche. Si tratta, infatti, di prodotti che in molti casi fanno mercato a sé, collocandosi in ambiti in cui opera un numero ridotto di concorrenti, per lo più ubicati in paesi avanzati con strutture di costo simili a quelle italiane. In questo senso, i beni BBF esportati dall’Italia (caratterizzati dall’orientamento a un consumatore evoluto, dall’attenzione alla qualità e dal trasferimento di un valore emozionale) competono con quelli prodotti dai concorrenti più sviluppati, operando in nicchie protette da paesi che presentano un livello dei costi minore.
Il BBF rappresenta una parte consistente delle esportazioni complessive dell’Italia ed è trasversale a tutti i principali comparti dal made in Italy, seppure in maniera più marcata nei settori afferenti alle “3F” di Fashion, Food e Furniture. Le eccellenze italiane si dirigono prevalentemente verso i mercati avanzati, che insieme ne assorbono circa 114 miliardi di euro. Ammonta invece a oltre 20 miliardi di euro il quantitativo di eccellenze esportato verso i paesi emergenti che, per il loro dinamismo (sia sul piano demografico che su quello economico), e nonostante il loro peso ancora limitato, offrono margini di crescita relativamente maggiori, a fronte comunque di rischi più elevati. Il Grafico C offre a colpo d’occhio la distribuzione geografica del BBF nel mondo.
C’è un margine potenziale di incremento delle esportazioni pari a 82 miliardi di euro L’analisi contenuta nel Rapporto consente di ottenere una misura del potenziale di mercato dell’Italia nell’ambito del BBF, rispetto alla quale valutare il margine di miglioramento delle posizioni fin qui acquisite. Il potenziale è calcolato valutando il possibile ampliamento delle attuali quote di mercato rispetto a quelle dei concorrenti che, per struttura dei costi di produzione e qualità dei prodotti esportati, hanno caratteristiche simili a quelle dell’Italia. Il potenziale si ripartisce per oltre tre quarti nei paesi avanzati (62 miliardi di euro) e per la restante parte negli emergenti (20 miliardi di euro).
I paesi avanzati rappresentano mercati più grandi e domandano con maggiore intensità i beni del BBF (il loro reddito pro-capite è più alto). Le economie mature di tali paesi hanno, però, trend demografici ed economici relativamente lenti e la crescita si ottiene cercando di erodere quote ai concorrenti o, alternativamente, non perdendone: in contesti di ampi volumi, anche tassi di crescita poco elevati possono rappresentare un grande guadagno e una forte espansione per le imprese, soprattutto se di dimensioni piccole o medie.
La maggiore dinamicità degli emergenti è legata alla spiccata crescita della classe media benestante Il BBF, per sua natura, si rivolge ad una fascia di consumatori abbienti, già numerosa ma in lenta crescita nei mercati avanzati e più ridotta ma in forte crescita negli emergenti. L’Asia è l’area geografica dove la classe media benestante si sta diffondendo più rapidamente, trainata soprattutto dalla Cina con uno stock di oltre 265 milioni di cittadini con redditi e standard di consumo in linea con quelli dei paesi avanzati nel 2020; questo numero potrebbe crescere di altri 70 milioni di unità da qui al 2025. In India lo stock dei nuovi ricchi è relativamente basso come incidenza sulla popolazione, ma è in forte crescita (quasi 30 milioni in più al 2025). Thailandia, Vietnam e Malaysia contano insieme per altri 35 milioni di individui ascrivibili alla classe media benestante. Altri mercati in cui è presente una ragguardevole classe media benestante sono la Russia (50 milioni), il Brasile (42) e la Turchia (30).
Una panoramica dei principali mercati per potenziale La realizzazione effettiva del potenziale passa attraverso la penetrazione commerciale nei paesi e nei comparti dove i margini di crescita sono maggiori. Sono partite giocate in campi e con avversari diversi, che di volta in volta cambiano a seconda delle aree geografiche e dei settori da presidiare. L’idea di questo volume è proprio quella di offrire un quadro su quali siano le partite che valga la pena affrontare e il tipo di concorrenza con cui sia necessario misurarsi.
Un quadro sintetico della questione è illustrato nella Tabella A, che mostra, per i primi cinque mercati avanzati e i primi cinque emergenti in termini di potenziale, quali sono i settori che contano di più e quali i principali concorrenti dell’Italia in quei mercati specifici.
A fare da volano alle esportazioni nei paesi avanzati è la forte condivisione di gusti e standard che riflettono una sostanziale affinità dei contesti culturali. Si tratta anche dei principali paesi con cui l’Italia tesse relazioni economiche, politiche e strategiche, e con cui i legami geoeconomici sono particolarmente stringenti. I paesi più importanti sono Stati Uniti (15,5 miliardi di euro), Germania (5,2 miliardi) e Francia (4,4 miliardi). Tra le economie emergenti i mercati principali sono Cina (3,9 miliardi di euro), Emirati Arabi Uniti (3,2 miliardi) e Russia (1,3).
Oltre alla Cina, ci sono anche altre economie asiatiche che risultano di particolare interesse, non tanto per l’ampiezza del margine di crescita delle esportazioni, quanto per il fatto che il mercato è in forte espansione. Gioca un ruolo di primo piano per le prospettive di crescita delle economie asiatiche la recente creazione del RCEP, il più grande Accordo commerciale di libero scambio in vigore al mondo, che comprende i dieci paesi del gruppo ASEAN più Australia, Cina, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda. Le geografie coinvolte rappresentano, infatti, circa il 30% del PIL e della popolazione mondiale e oltre un quarto del commercio internazionale di beni. L’Accordo diventerà effettivo una volta ratificato da almeno sei paesi ASEAN e tre non-ASEAN, un processo che con ogni probabilità sarà completato dopo il 2021.
Il RCEP pone sia vantaggi che rischi per l’Italia Nel complesso, i paesi facenti parte del RCEP beneficeranno di un’area di scambio maggiore, con il probabile risultato di accrescere il loro potenziale di crescita e di sviluppo. Le esportazioni made in Italy potranno, quindi, beneficiare di un mercato più ricco. Inoltre, l’adozione di standard e di regole comuni, renderanno l’area ancor più attraente per le imprese italiane sotto il profilo degli investimenti volti ad entrare nelle filiere di produzione asiatiche, rappresentando un’opportunità di efficientamento nella partecipazione alle catene globali del valore. A fianco delle molte opportunità, non si può omettere il rischio che alcune produzioni del made in Italy possano dover far fronte a una concorrenza più aspra negli stessi mercati, soprattutto di paesi come Cina, Giappone, Thailandia e Corea del Sud.
Dall’Asia un segnale forte in favore del libero scambio e del multilateralismo Le spinte protezionistiche sono passate momentaneamente in secondo piano in quanto il mondo si è trovato a dover fronteggiare un nemico comune costituito dalla pandemia. Le tensioni commerciali e la contrapposizione USA-Cina rischiano, però, di continuare, seppure l’avvicendamento alla presidenza statunitense lasci sperare che ciò torni nell’alveo delle istituzioni internazionali a garanzia del multilateralismo. In questo clima d’incertezza, l’Asia ha effettuato un passo in avanti e l’Europa non potrà che continuare sul solco degli accordi commerciali stipulati negli ultimi anni dalla UE, tutti rivelatisi utili per incentivare la proiezione delle imprese (europee e italiane) in mercati strategici. Gli accordi hanno conseguenze positive sugli scambi, in particolare per le imprese di medio-piccola dimensione, che godranno maggiormente dei benefici derivanti da tali accordi, sia in termini di semplificazione nell’ingresso ai mercati, sia di minori costi di produzione.
L’Italia è sotto la media mondiale per spesa pro-capite online e la dimensione ridotta del mercato interno non lascia ancora ben trasparire le opportunità che si aprono con l’e-commerce. Lo stop delle fiere internazionali ha poi messo in discussione le strategie di promozione e distribuzione delle imprese italiane, che per decenni hanno puntato sugli eventi in presenza come strumento principale per la crescita del loro export, in tutto il mondo. Si è ormai passati dall’online all’onlife e l’omnicanalità è diventata la strategia prevalente in tutti i comparti. Va poi sottolineato come non sia solo l’Italia, ma l’Europa intera, a scontare un ritardo che ad oggi sembra incolmabile rispetto a USA e Cina.
Alla luce delle analisi svolte nella redazione di questo volume, si ritiene utile perseguire in parallelo su tre traiettorie volte a migliorare l’outlook competitivo dell’Italia sui mercati internazionali (Tabella B):
Infine, trasversale a tutte le altre raccomandazioni, è la lotta alla contraffazione del made in Italy. Spesso tra i beni non-BBF si annidano imitazioni, ossia prodotti contraffatti che tentano di sfruttare in modo fraudolento il brand e la fiducia acquisita da alcuni marchi presso i consumatori. Le dimensioni della contraffazione hanno raggiunto livelli ragguardevoli, in particolare nei settori del BBF italiano. Secondo uno studio OCSE del 2018, si attesta a 32 miliardi il valore dei prodotti italiani contraffatti scambiati a livello mondiale, il 16,7% del quale sono prodotti di abbigliamento, 15,4% prodotti legati all’ottica e all’elettronica e il 13,0% legati al comparto alimentare4. I prodotti italiani, infatti, risultano essere tra i più richiesti al mondo, anche grazie al potere di attrazione esercitato dal marchio made in Italy e, perciò, risultano essere tra i più imitati. Particolarmente preoccupante risulta essere il fenomeno dell’Italian sounding, cioè l’imitazione di un prodotto – specialmente nel settore agroalimentare – ottenuta attraverso un rimando, nel nome o nel packaging, a una sua supposta italianità. Tale pratica, che svilisce l’immagine della qualità dei prodotti e inganna i consumatori meno attenti portandoli a credere di acquistare un prodotto italiano originale, comporta una perdita di quote per il BBF (e anche un deterioramento della sua immagine). La contraffazione del BBF, oltre a causare un danno materiale alle imprese italiane, rende anche più difficile la misurazione del fenomeno, rendendo meno affidabili alcune delle statistiche che se ne traggono; verosimilmente le quote italiane ne risultano distorte al ribasso.