Industria 4.0 è un'opportunità o un rischio per la manifattura italiana?

Note dal CSC

di Livio Romano

 

La trasformazione digitale dei prodotti e processi industriali pone la manifattura italiana dinanzi a una duplice sfida: investire sullo sviluppo di tecnologie 4.0 e sulla diffusione capillare di queste tecnologie ai diversi comparti per accrescerne la competitività. A suo favore giocano una base produttiva che è tra le più ampie e diversificate al mondo, un solido know-how nella meccanica strumentale, e un sistema di relazioni commerciali molto strette con la Germania. Sconta però una forte frammentazione delle sue filiere nazionali, una debole interazione con università e centri di ricerca, una scarsa cultura digitale della società e una cultura manageriale ancora non sufficientemente diffusa.

 

Quanto attrezzate alla sfida erano le imprese italiane all’alba del Piano Nazionale Industria 4.0?

L’analisi condotta dal CSC a partire dai dati Istat sulle ICT mostra come all’inizio dello scorso anno fossero poche le imprese manifatturiere in Italia attrezzate ad affrontare la sfida rappresentata da Industria 4.0. Solo il 4% di quelle con più di 10 addetti (2.700 circa), nel 2017 poteva definirsi come “Innovatore 4.0 ad alto potenziale”, una quota che sale al 13% (9.000 circa) se si includono anche le imprese che pur avendone il potenziale non avevano ancora investito in modo significativo in tecnologie digitali. Di contro, quasi un’impresa manifatturiera su due (31.000 circa) apparteneva alla categoria degli “Analogici”. Esiste una relazione inversa tra il ritardo digitale e la dimensione dell’impresa, mentre a livello settoriale tre sono i comparti principalmente interessati fino ad oggi dalla trasformazione digitale: due prevalentemente in veste di fornitori di soluzioni tecnologiche 4.0 (elettronica da una parte, meccanica strumentale e apparecchiature elettriche dall’altra), uno come utilizzatore delle stesse (mezzi di trasporto). A livello territoriale non si registrano marcate differenze tra Nord e Sud.

 

Quali caratteristiche deve avere una politica industriale per la trasformazione digitale?

La complessità della sfida tecnologica e la forte eterogeneità all’interno del sistema manifatturiero italiano richiedono una politica industriale che non accentui le divergenze nei percorsi evolutivi delle imprese. Per farlo, serve agire in modo coordinato su quattro pilastri d’intervento tra loro complementari, che corrispondono ad altrettanti vincoli strutturali allo sviluppo digitale: quello infrastrutturale, quello delle risorse finanziarie per gli investimenti, quello delle competenze umane, e quello del coordinamento lungo le filiere nazionali.

 

Quali risposte ha dato finora il Piano Nazionale Industria 4.0?

Il Piano ha portato a compimento una strategia nazionale per la digitalizzazione industriale, affiancando alla promozione dell’offerta di soluzioni tecnologiche 4.0, misure dirette di stimolo alla domanda qualificata di investimenti. Il fulcro di questa strategia è stato il sostegno finanziario agli sforzi innovativi, mentre gli interventi sulla dotazione di capitale umano qualificato e sul coordinamento lungo le filiere hanno fino ad oggi svolto un ruolo secondario, ma non marginale. Questo sbilanciamento riduce il carattere multi- dimensionale della politica e rischia di limitarne i benefici attesi.

 

Quali risposte attendersi nella prossima legge di bilancio?

In vista delle prossime scelte di politica economica è importante garantire continuità nel tempo al Piano, per allargare il più possibile la platea delle imprese coinvolte nella trasformazione digitale e sostenere le produzioni di macchinari innovativi. Indispensabile uno sforzo aggiuntivo negli ambiti dove la politica industriale finora ha inciso meno: da un lato la formazione e l’inserimento di competenze tecniche e manageriali all’interno delle imprese, dall'altro il coordinamento degli investimenti 4.0 lungo le filiere, che riguarda anche i rapporti tra mondo produttivo e mondo della ricerca.

Dove siamo
Complementary Content
${loading}