In Italia salari reali aumentati più della produttività e al lavoro una percentuale record del PIL

Note dal CSC

Negli ultimi tre anni le retribuzioni reali sono cresciute del 4,6% nel manifatturiero. L’arretramento del Paese e le maggiori tasse hanno reso poco percepiti gli aumenti. La quota del valore aggiunto che va al lavoro è ai massimi storici, mentre la redditività delle imprese è ai minimi, con un impatto negativo sulla dinamica degli investimenti e sulla crescita, anche futura.

 

In Italia il potere d’acquisto delle buste paga è migliorato tra il 2000 e il 2014. Le retribuzioni lorde per unità di lavoro sono aumentate del 6,5% più dell’ incremento dei prezzi al consumo, con una variazione media annua dello 0,5%. Nel solo manifatturiero sono salite del 17,6% reale, +1,2% annuo. Incrementi ben superiori a quelli registrati dalla produttività.

L’ultima tornata contrattuale ha determinando nel settore manifatturiero una crescita delle retribuzioni reali pari al 4,6% nel triennio 2013-15, essendosi basata su previsioni di inflazione che si sono rivelate molto più alte di quella effettiva. A regime l’extra-costo annuo per le imprese è di 4,1 miliardi e comporta una netta riduzione della competitività, che indebolisce i bilanci aziendali e abbassa il PIL e l’occupazione. Secondo le regole stabilite dai contratti stessi, lo scostamento tra inflazione prevista e inflazione effettiva andrebbe recuperato.

Questo è un nodo che i prossimi rinnovi devono affrontare. In futuro le dinamiche retributive andranno maggiormente legate alla produttività. Dagli inizi degli anni Duemila il sostenuto andamento delle retribuzioni ha spinto in alto la quota del valore aggiunto che va al lavoro, tanto che essa è tornata ai picchi storici di metà anni Settanta. Nel manifatturiero è arrivata al 74,3% nel 2014 (74,2% nel 1975).

Ciò ha causato una forte erosione dei margini di profitto che scoraggia gli investimenti, il cui minor livello indebolisce la crescita, anche futura. Questa erosione è in controtendenza con l’aumento dei profitti avvenuto in quasi tutti i maggiori paesi avanzati e smentisce l’opinione diffusa secondo cui in Italia i lavoratori sono stati sfavoriti a vantaggio del reddito di impresa.

La questione salariale, cioè una dinamica delle retribuzioni ritenuta insoddisfacente, va ricondotta all’arretramento del reddito prodotto dal Paese e alle maggiori tasse. Non c’è stata, infatti, alcuna penalizzazione del fattore lavoro, che anzi è uscito rafforzato nella distribuzione del valore aggiunto. Il reddito da lavoro è l’unico ad aver tenuto durante la crisi, mentre tutte le altre forme di guadagno hanno subito pesanti diminuzioni.

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