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Il 13 novembre il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è intervenuto in audizione sulla Legge di Bilancio presso le Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato, a Palazzo Madama.
“Nel secondo trimestre il PIL italiano è diminuito di 0,4% (dopo l’aumento dello 0,6% nel primo) ed è rimasto fermo nel terzo. Anche rispetto al terzo trimestre 2022, la crescita è piatta (0,0%). Alla luce della debolezza che diversi indicatori evidenziano, è molto probabile che, a fine anno, la crescita si posizionerà sullo 0,7%, già “acquisito” a metà anno, dietro a Francia e Spagna (e meglio della Germania). Per l’anno prossimo, le attuali tornate di previsioni stanno rivedendo al ribasso le stime di crescita rispetto agli scenari formulati nei mesi scorsi, e, quindi, anche a quello indicato nella NaDEF, per collocarsi intorno allo 0,5%”, ha detto il Presidente Bonomi, spiegando che “nell’attuale fase preoccupa, in particolare, la caduta degli investimenti (-1,7% nel secondo trimestre; 0,0% rispetto al secondo trimestre 2022), che nel 2021 e 2022 hanno guidato la crescita dell’economia italiana con incrementi (20,7% e 9,7%) molto superiori a quelli registrati negli altri principali paesi europei. Preoccupa perché le condizioni per investire sono negative e si intravedono solo segnali di ulteriore peggioramento, almeno fino alla metà del prossimo anno. D’altra parte, anche i consumi delle famiglie, che appaiono più resilienti degli investimenti, sono pressoché stagnanti”.
Sul settore industriale, “se l’anno scorso si è mostrato, in aggregato, resiliente alla pandemia e alla crisi energetica, quest’anno è decisamente in calo. A soffrire di più sono i settori energy intensive che, già nel 2022, avevano registrato una pronunciata diminuzione della produzione industriale. Proprio in considerazione del previsto indebolimento del quadro economico, la scorsa estate, Confindustria aveva auspicato che, nella Manovra, il Governo si focalizzasse su due linee di intervento: supportare il potere di acquisto delle famiglie, soprattutto a basso reddito, e sostenere la competitività delle imprese”
“Partendo da queste considerazioni, riteniamo che il DDL Bilancio sia, da un lato, ragionevole, nella misura in cui concentra le poche risorse disponibili sulla riduzione, per il solo 2024, del cuneo contributivo; dall’altro, incompleto, vista la sostanziale assenza di misure a sostegno degli investimenti privati e, più in generale, di una strategia per la crescita e la competitività.
Sul primo fronte, la conferma dell’attuale riduzione della quota contributiva a carico dei lavoratori dipendenti certamente incontra il nostro consenso, ma la proposta di Confindustria era e rimane diversa: un intervento strutturale di taglio del cuneo contributivo, agendo, per 2/3, sull’aliquota a carico dei lavoratori e, per 1/3, su quella a carico dei datori di lavoro. Servirebbero 16 miliardi di euro per finanziarlo e rimaniamo convinti che si possa fare avviando un serio processo di riqualificazione ed efficientamento della spesa pubblica.
L’intervento sul cuneo va poi letto insieme alla revisione delle aliquote e degli scaglioni IRPEF, prevista, per il 2024, dai decreti attuativi della riforma fiscale - all’esame del Parlamento - che dovrebbe interessare, in una prima fase, i redditi fino a 28.000 euro. L’effetto combinato di queste due misure è stimabile in un beneficio annuo tra i 560 e i 1.400 euro per i lavoratori con reddito compreso tra i 9 mila e i 35 mila euro annui. Un intervento importante, che proprio per questo avremmo voluto fosse strutturale, ma che evidenzia una lacuna dal lato delle imprese, escluse dal taglio del cuneo e chiamate, nel frattempo, a rispondere alle richieste di adeguamento delle retribuzioni all’aumento dell’inflazione. In proposito, ricordiamo che, nel 2022, il cuneo in Italia è stato pari al 45,9% del costo del lavoro (49,7% se si includono anche TFR e contributi INAIL), contro una media OCSE del 34,6%.
Anche per questo motivo, riteniamo che non sia più rinviabile agire quantomeno sul versante della riduzione della CUAF - la Cassa Unica Assegni Familiari - in quanto, dopo la sostituzione degli assegni per il nucleo familiare destinati ai soli lavoratori dipendenti con l’introduzione dell’Assegno unico e universale per tutti i contribuenti IRPEF, non è più giustificabile che la copertura di una misura a carattere universale resti ancora a carico esclusivamente dei sostituti di imposta (in prevalenza datori di lavoro del settore industriale) e non sia, invece, finanziata interamente tramite la fiscalità generale”
Per Bonomi, le ulteriori misure di sostegno al reddito dei lavoratori previste dal DDL sono condivisibili: “incentivare il pilastro privato per corroborare il welfare pubblico è una scelta che sosteniamo da tempo; per realizzarla in modo compiuto, occorre andare oltre i meccanismi di convenienza fiscale, riflettendo su criteri utili a orientare le iniziative di welfare da agevolare. Inoltre, un efficace sviluppo del welfare attraverso il pilastro privato passa per strumenti che possono supportare le imprese meno strutturate in questi percorsi. Il riferimento è a realtà come le reti di impresa, le casse assistenziali e gli enti bilaterali che, in linea con quanto previsto dalla delega fiscale, possono ovviare alle differenti capacità finanziarie delle singole imprese nell’elaborazione dei piani di welfare”.
In materia di pensioni, “la Manovra conferma, pur con alcuni correttivi, la c.d. Quota 103. La posizione di Confindustria è chiara: per definire forme agevolate di pensionamento, andrebbero valutate solo le situazioni realmente meritevoli di tutela, soprattutto ove legate ad attività lavorative gravose. Una maggiore attenzione a queste categorie di lavoratori, individuabili tramite criteri oggettivi, porterebbe a un uso più efficiente delle risorse pubbliche e a salvaguardare gli equilibri del sistema pensionistico nei prossimi anni. Al di fuori di queste ipotesi, a nostro avviso, le altre forme di flessibilità in uscita potrebbero e dovrebbero realizzarsi a livello aziendale. Passando a un ambito correlato a quelli appena menzionati, le scelte in materia sanitaria, al netto del mancato intervento sul problema del payback per i dispositivi medici, danno il senso di quella ragionevolezza con cui il Governo ha approcciato la Manovra”.
“Se abbiamo dunque valutato la ragionevolezza della Manovra, seppur con i distinguo pocanzi evidenziati e sui quali siamo disponibili a un confronto fattivo, al contempo ci preoccupa la poca attenzione alla competitività del sistema produttivo”, ha spiegato Bonomi: leggendo il testo del DDL, registriamo la mancanza di interventi di ampio respiro a supporto degli investimenti privati, mentre il rifinanziamento di specifiche misure risulta limitato.
Il più rilevante riguarda il credito d’imposta per la ZES Unica: sovrapponendosi all’iter di conversione del DL Sud, la Manovra fissa il limite massimo di spesa in 1,8 miliardi di euro per il solo 2024. Le attuali ZES che stanno iniziando a raccogliere i primi risultati, rispondono - pur con qualche contraddizione - a una precisa logica industriale: ottimizzare la rete dei trasporti e della logistica, specie portuale, collegati alle produzioni industriali, in coerenza, da un lato, con le grandi vie di comunicazione europee e, dall’altro, con i piani regionali. Questa vocazione, a nostro giudizio, non va indebolita. Per questo, riteniamo indispensabile la rapida definizione del nuovo Piano strategico per la ZES Unica e chiediamo che, in quel contesto, il sistema delle imprese sia coinvolto prima possibile e in modo attivo. L'auspicio è che, anche con la revisione degli obiettivi, venga mantenuto il 40% delle risorse destinato al Mezzogiorno e che la Zes unica mantenga obiettivi industriali territoriali”.
“Apprezziamo poi il rifinanziamento del Fondo per la crescita sostenibile (110 milioni per il 2024 e 220 per il 2025 con un impatto sull’indebitamento netto di 40 milioni per il 2024, 70 per il 2025 e 50 per il 2026) e dei contratti di sviluppo (190 milioni per il 2024 e 210 per il 2025 con un impatto sull’indebitamento netto di 60 milioni per il 2024, 180 per il 2025 e 50 per il 2026), considerata la loro centralità nel contesto delle misure di politica industriale. Come pure, visti i livelli dei tassi d’interesse, l’intervento (100 milioni per il 2024, che si aggiungono ai 50 disposti dal c.d. DL Anticipi) sulla c.d. nuova Sabatini. Per questi interventi occorrerà valutare la congruità delle risorse stanziate, ma evidenziamo che si tratta di 400 milioni con un impatto sul deficit di 250 per il 2024 su 30 miliardi di misure espansive della Manovra. Queste ultime sono destinate, in via diretta, per il 54,8% ai lavoratori e, in generale a sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, per il 9,4% alle imprese, per l’8,0% sia a famiglie che a imprese e per il restante 27,8% ad altro (tra cui, sanità e investimenti pubblici). Volendo considerare tra le misure per le imprese anche la riduzione dell’aliquota sostitutiva sui premi di produttività, le risorse destinate alle imprese arrivano a poco più di 3 miliardi (il 10,2% del totale)”.
Per Bonomi, “risultano assenti capitoli importanti per lo sviluppo, a partire dal sostegno agli investimenti in R&S e, in particolare, il rafforzamento delle aliquote per il credito d’imposta R&S e risorse per il finanziamento degli accordi di innovazione gestiti dal MIMIT. L’investimento in Ricerca e Sviluppo è una vigorosa leva di crescita economica e sociale: in questo contesto, assumono un’importanza centrale anche l’innovazione e la tutela nel campo dei beni immateriali. Tramite il rafforzamento degli strumenti esistenti (il patent box e il credito R&S&I&D tra i principali) dobbiamo perseguire il più ambizioso obiettivo di valorizzare le migliori eccellenze italiane e di renderle competitive sui mercati. Ma soprattutto, non c’è traccia del nuovo Piano Industria 5.0 che, stando alle anticipazioni, dovrebbe essere finanziato con le risorse del programma REPowerEU, a valle della riscrittura del PNRR”.
“Il nuovo Piano 5.0 dovrebbe prevedere un rafforzamento delle aliquote agevolative di Industria 4.0 e supportare gli investimenti che coniugano sostenibilità e digitalizzazione. Il varo di queste misure è però condizionato alla conclusione del negoziato, tra Governo e Commissione europea, sulla rimodulazione di 144 obiettivi su 350 del PNRR. È essenziale che l’accordo sulla riscrittura del PNRR arrivi entro la fine dell’anno, perché gli investimenti sono fondamentali anche per agganciare le transizioni. Non dobbiamo dimenticare che, anche grazie al capitolo RePowerEU, il PNRR assicura una dotazione finanziaria adeguata a stimolare gli investimenti. Si tratta di una grande opportunità, che non possiamo fallire se il Paese vuole crescere a tassi sostenuti, pena anche il rischio di vanificare qualunque ambizione di costruzione di una capacità fiscale comune a livello europeo. Le misure incluse nel Piano Industria 5.0 sono necessarie a rendere attrattivo il sistema Paese e a sostenere la competitività delle imprese nel quadro dei nuovi paradigmi europei: solo sviluppando e possedendo le nuove tecnologie sarà possibile affrontare da protagonisti - e non da meri utilizzatori - le sfide globali legate alle transizioni”.
Per Bonomi, “un analogo Piano, con risorse aggiuntive dedicate, dovrebbe essere realizzato per promuovere anche gli investimenti in prevenzione, da parte delle imprese, tesi a contenere gli effetti delle ormai ricorrenti calamità naturali. Un programma di incentivi dedicato alla prevenzione è necessario, come messo in evidenza dai più recenti e drammatici eventi registrati in Toscana. Un intervento di questo tipo, finanziato anche con le risorse del PNRR e affiancato da un piano di investimenti pubblici tesi a mettere in sicurezza il territorio, assicurerebbe anche coerenza alla Manovra, poiché rappresenterebbe una misura propedeutica necessaria in vista di qualsiasi azione finalizzata al rafforzamento della copertura assicurativa e della resilienza del sistema produttivo italiano.
Infatti, la norma che introduce una polizza assicurativa a copertura dei danni causati da calamità naturali, genera forti preoccupazioni per via delle numerose incertezze interpretative, dei tempi troppo stringenti per l’entrata in vigore dell’obbligo e dell’indisponibilità di dati pubblici sull’ammontare dei rischi da assicurare. In particolare, mancano meccanismi volti a contenere il prezzo delle polizze, anche valorizzando la presenza di una garanzia dello Stato. Per questo, riteniamo necessario un confronto tra Governo, IVASS e Associazioni di rappresentanza di imprese e assicurazioni, per definire un percorso condiviso, fondato su solide analisi quantitative, che porti, in tempi ragionevoli e con la necessaria gradualità, a definire le misure utili ad accrescere il livello di protezione delle imprese da tali rischi”.
“A proposito di competitività, che abbiamo già evidenziato essere la principale lacuna di questa Manovra, una riflessione s’impone anche sull’energia e su come renderci strategicamente indipendenti. Per l’industria italiana, a partire dai settori energivori, sono essenziali le disposizioni in tema di gas ed electricity release contenute nella bozza di decreto-legge predisposto dal MASE. Inoltre, i numeri sul crollo degli investimenti evidenziano le lacune del DDL anche con riferimento agli strumenti di sostegno alla struttura finanziaria delle imprese, fiaccata dalla stretta monetaria. Dobbiamo considerare che i prestiti bancari alle imprese si stanno rapidamente riducendo (-6,2% annuo ad agosto 2023), dopo aver toccato alti ritmi di crescita fino a metà del 2022. Un mutamento brusco, che ha assottigliato i livelli di liquidità delle imprese (-5,6% annuo in agosto). Questa situazione potrebbe trasformarsi, nei prossimi mesi, in carenza di liquidità”.
“Da un lato, dunque, registriamo l’assenza di misure in tema di garanzia a supporto dell’accesso al credito delle PMI, soprattutto in considerazione del fatto che a fine anno scadrà il regime speciale del Fondo di Garanzia per le PMI legato al Quadro Temporaneo sugli aiuti di Stato e che è dunque necessario intervenire per rafforzarne il ruolo. Dall’altro, l’assenza di misure per la patrimonializzazione. Su questo piano va, peraltro, considerato anche che un provvedimento coevo al DDL Bilancio (D.lgs. IRPEF-IRES) prefigura l’abrogazione dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica), senza che a ciò si accompagni l’adozione di misure che incentivino fiscalmente la destinazione degli utili al patrimonio delle imprese. Il costo stimato di questa misura (circa 1 mld di euro di minore imposta) raffrontato con l’impatto della abolizione ACE (circa 4,7 mld di euro di maggiori imposte), dà la misura della penalizzazione per le imprese”.
“La Manovra poi rinvia una decisione a nostro giudizio necessaria: la definitiva cancellazione di plastic e sugar tax, che invece vengono rinviate solo di pochi mesi. Si tratta di due misure che, fin dalla loro introduzione, si sono mostrate inadeguate a conseguire gli obiettivi di gettito, ma anche inique, poiché colpiscono selettivamente alcune categorie di imprese”.
In definitiva, per il Presidente Bonomi “rimane essenziale puntare sulla crescita. O la spingiamo, puntando sugli investimenti delle imprese, così da rendere sostenibili i livelli di spesa pubblica e il nostro sistema di welfare. Oppure, anno su anno, dovremo fare i conti con risorse sempre più esigue e tassi di crescita da zero-virgola, con una conseguente compressione dei nostri diritti. E senza diritti non possono esserci né mercato, né impresa, né lavoro, né progresso economico e sociale”.