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- La America First Trade Policy della seconda amministrazione Trump si annuncia più aggressiva e imprevedibile dellāapproccio adottato nel primo mandato e minaccia una escalation protezionistica che potrebbe ridisegnare la geografia degli scambi mondiali.
- Il 1° febbraio 2025 il neopresidente USA ha annunciato dazi addizionali del 25% sulle importazioni da Canada e Messico, introdotti il 3 febbraio e sospesi lāindomani per un mese, e del 10% su quelle dalla Cina, entrati in vigore con efficacia immediata, e la reintroduzione di tariffe al 25% su tutti gli acquisti allāestero di acciaio e alluminio, che erano sospese per un gruppo di paesi āamiciā, tra cui quelli UE (dal 2021). I paesi colpiti hanno annunciato contromisure tariffarie sulle merci USA.
- Obiettivi e strumenti delle politiche USA travalicano lāambito commerciale, per includere temi di sicurezza nazionale e geopolitica: riduzione delle dipendenze dallāestero, difesa dellāindustria, rafforzamento della leadership nelle nuove tecnologie.
- Dazi selettivi per paese e/o prodotto sono uno strumento per: negoziare obiettivi diversi, come il controllo delle frontiere (escalate to de-escalate); ridurre la forza contrattuale delle controparti (divide et impera); contenere la traiettoria tecnologica della Cina (decoupling).
- I dazi sono una tassa, pagata dagli importatori, che si scarica su famiglie e imprese statunitensi. Lāimpatto finale ĆØ un aumento (una tantum) dei prezzi al consumo. LāentitĆ della trasmissione dipende dalle politiche di prezzo degli esportatori (che possono abbassare i loro prezzi) e dei produttori domestici (i cui margini possono assorbire parte dellāaumento dei costi) e dagli aggiustamenti del cambio (che anticipano i dazi e possono compensarli). I lavori empirici basati sullāesperienza della prima amministrazione Trump mostrano che i dazi si sono scaricati interamente su prezzi di acquisto (con delle eccezioni, per esempio nellāacciaio), con un impatto finale di minori margini per le imprese e maggiori prezzi per i consumatori.
- I dazi non incidono significativamente sul deficit commerciale ed hanno impatto negativo sul PIL del paese che li impone: circa -0,2% stimato in seguito ai dazi del Trump I (2018-2019). Lāimpatto si amplia nel lungo periodo, perchĆ© la minore concorrenza internazionale e la sopravvivenza di imprese meno efficienti riducono la crescita economica potenziale.
- Sotto il profilo del consenso politico, i dazi sono percepiti in maniera positiva fra i settori e nei territori maggiormente esposti allāintegrazione globale dei mercati, alla competizione internazionale ed alla concorrenza di produttori considerati rivali, soprattutto quelli accusati di adottare pratiche commerciali illecite e/o sleali, come la Cina.
- A livello internazionale gli effetti sono potenzialmente molto distorsivi, lungo molteplici canali di trasmissione: dalla riconfigurazione dei flussi bilaterali e delle catene di fornitura su scala globale; ai flussi intra-company, che nel caso degli USA riguardano molte imprese multinazionali; allāincremento di flussi e triangolazioni commerciali e produttive in paesi terzi collegati (ad es. Vietnam nel caso della Cina e Messico nel caso degli USA); alla digressione generalizzata degli scambi (le merci che non trovano più accesso al mercato USA cercano altre destinazioni); alla rilocalizzazione negli USA di alcune filiere strategiche (come ad esempio quella dei metalli); allāinaridimento complessivo delle collaborazioni industriali, incluse quelle votate alla ricerca e allāinnovazione.
- Data lāeterogeneitĆ e lāasincronia di questi effetti, lāimpatto complessivo ĆØ, dunque, difficile da stimare. Esso dipende da molte variabili: la distribuzione dei dazi per paese/prodotto, lāaliquota e la durata dei dazi, lāelasticitĆ della domanda al prezzo dei prodotti, la reazione del tasso di cambio, lāesposizione ai dazi dei partner commerciali. Per lāItalia e lāEuropa si prefigurano considerevoli rischi, accanto, tuttavia, ad alcune opportunitĆ , in termini di quote di mercato potenzialmente contendibili nel mercato USA liberate dal decoupling con la Cina.
- Non di meno, queste variabili alimentano lāincertezza, che frena gli scambi di merci, servizi e capitali produttivi. In base a precedenti analisi del Centro Studi Confindustria, un aumento persistente del 10% dellāincertezza mondiale sulla politica economica ĆØ associato a una minore crescita (nel trimestre successivo) di quasi mezzo punto percentuale del commercio mondiale, a seguito sia di un rallentamento dellāattivitĆ industriale che di una minore intensitĆ degli scambi.
- Nel caso dellāItalia, le connessioni economiche sono estremamente profonde. Gli USA sono la prima destinazione extra-UE dellāexport italiano di beni e di servizi e la prima in assoluto per gli investimenti diretti allāestero.
- Nel 2024 le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a circa 65 miliardi di euro, generando un surplus vicino a 39 miliardi. Nonostante un calo nellāultimo anno, il mercato statunitense ha offerto il contributo più elevato in assoluto alla crescita dellāexport italiano dal pre-Covid.
- Gli investimenti diretti dellāItalia verso gli Stati Uniti ammontano a quasi 5 miliardi allāanno, il 27% del totale (media 2022-2023); 1,5 miliardi annui, invece, i flussi dagli USA in Italia. Il deflusso netto di capitali ĆØ un segnale di dinamicitĆ delle multinazionali italiane (anche grazie agli incentivi USA), ma anche di limitata attrattivitĆ del mercato italiano per i capitali americani.
- Le multinazionali americane sul territorio italiano, comunque, sono le prime per numero di occupati (più di 350mila nel 2022), contribuendo per più di un quinto al valore aggiunto nazionale e alla spesa in ricerca e sviluppo. La presenza delle multinazionali USA è particolarmente importante nella manifattura italiana, dove sono concentrati più di 110mila addetti. Nel comparto elettronico e ICT, il 90% delle multinazionali extra-UE è di proprietà USA.
- Quasi tutti i settori manifatturieri italiani godono di un surplus commerciale con gli Stati Uniti. Macchinari e impianti (primo settore esportatore), farmaceutica (primo settore importatore, nonostante un surplus pari quasi al doppio del valore), autoveicoli e altri mezzi di trasporto, alimentari e altri beni manifatturieri generano, insieme, quasi tre quarti del surplus italiano con gli USA (dati 2023).
- Il settore primario, invece, registra un deficit, alimentato soprattutto dagli acquisti di gas naturale, che hanno contribuito a sostituire le forniture russe (per quasi 7 miliardi di euro in Italia e 70 in Europa nel 2023). Un aumento dellāimport di gas potrebbe rientrare nel negoziato transatlantico stemperando le istanze di riequilibrio della bilancia commerciale.
- Lāexport italiano ĆØ più esposto della media UE al mercato USA: 22,2% delle vendite italiane extra-UE, rispetto al 19,7% di quelle UE. Tra i settori maggiormente esposti spiccano le bevande (39%), gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la farmaceutica (30,7%).
- Viceversa, lāimport italiano ĆØ meno dipendente della media UE dalle forniture USA: 9,9% rispetto a 13,8% degli acquisti extra-UE. I comparti più dipendenti sono il farmaceutico (38,6%) e le bevande (38,3%), che lo sono anche dal lato dellāexport. Ciò evidenzia la profonda integrazione di queste filiere produttive ed il loro elevato rischio in caso di dazi e ritorsioni.
- Lāesposizione italiana agli USA aumenta se si considerano anche le connessioni produttive indirette, cioĆØ le vendite di semilavorati che sono incorporati in prodotti per il mercato USA. In base a stime del Centro Studi Confindustria, ĆØ attivata direttamente e indirettamente dal mercato USA una quota significativa delle vendite totali (estere e domestiche) del farmaceutico (17,4%) e degli altri mezzi di trasporto (16,5%). Seguono gli autoveicoli, i macchinari e impianti, gli altri manifatturieri, pelli e calzature. Per il totale manifatturiero, il peso degli USA come mercato di destinazione ĆØ pari a circa il 7% delle vendite (5% da flussi diretti e il restante da connessioni indirette).
- LāItalia e gli altri paesi UE esportano una grande varietĆ di prodotti negli USA (80% di tutte le categorie vendute dallāItalia nel mondo e più del 90% dalla UE).
- Per individuare i prodotti più a rischio di eventuali dazi USA, abbiamo formulato tre criteri granulari di selezione, in base a: i) esposizione delle esportazioni; ii) livello di surplus bilaterale; iii) strategicitĆ dei prodotti secondo la logica USA di sicurezza economica. Anche in base a questi criteri, rispetto al complesso dei paesi membri, lāexport italiano ĆØ maggiormente diversificato. Inoltre, i prodotti strategici americani sono più rilevanti sia in termini di varietĆ che di valore per la media dei paesi europei.
- I primi settori per tutti e tre i criteri (esposizione, surplus e strategicitĆ ), sia per lāItalia che per lāEuropa, sono quelli della chimica e del farmaceutico. I solidi legami produttivi tra le due sponde dellāAtlantico potrebbero essere un deterrente alla rincorsa tariffaria: oltre il 70% dello stock di capitali investiti dalle imprese farmaceutiche UE nei paesi extra-Ue ĆØ diretto negli USA; la quota ĆØ la stessa per le multinazionali farmaceutiche tedesche mentre quelle italiane sfiorano il 90%.
- Altri prodotti italiani per cui ĆØ rilevante il mercato americano, secondo i criteri di esposizione e surplus, comprendono anche mezzi di trasporto, macchinari e alimentari e bevande: settori merceologici con alta propensione allāexport, per i quali la domanda statunitense si ĆØ rafforzata negli ultimi anni, quindi altrettanto potenzialmente uno strumento di negoziazione per lāamministrazione USA.
1. Dazi USA: uno scenario in continuo mutamento
Il secondo mandato Trump riapre uno scenario di guerra commerciale potenzialmente molto più ampio e profondo rispetto a quello che ha caratterizzato il primo, quando i dazi applicati e mantenuti avevano riguardato quasi esclusivamente la Cina, laddove quelli rivolti alla UE e ad altri paesi sono stati contenuti in termini di aliquote e/o mitigati da intese successive.
Tra il 2018 e il 2020, infatti, gli USA hanno introdotto dazi su due terzi dellāimport dalla Cina, con unāimposizione media del 19,3% sul totale degli acquisti dalla Cina (da appena il 3,1% a inizio 2018), provocando contro-dazi di entitĆ simile da parte cinese (su circa il 58% delle importazioni dagli USA, con una tariffa media salita dallā8,0% al 21,1%).
Le tariffe USA sugli acquisti dal resto del mondo, invece, sono aumentate in modo marginale, rimanendo su livelli molto bassi (dal 2,2% al 3,0% sul totale dellāimport extra-Cina). Tra queste, in particolare, figurano le tariffe del 25% e del 10% sulle importazioni USA, rispettivamente, di acciaio e alluminio (sospese per gli esportatori UE dallāamministrazione Biden a fine 2021).
Lāapproccio del secondo mandato appare decisamente meno incline ad alleanze strategiche, deroghe, o esenzioni e fa strategicamente leva sugli annunci pressochĆ© quotidiani di nuove misure rivolte anche a paesi āamiciā, a iniziare da Canada e Messico: partner privilegiati, commerciali ed economici a cui gli USA sono legati dallāaccordo USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement, in precedenza NAFTA).
Il 1° febbraio 2025, infatti, il neopresidente USA ha annunciato lāintroduzione di dazi addizionali del 25% su tutti i prodotti provenienti da Canada e Messico (ridotti al 10% per lāenergia dal Canada) e del 10% sugli acquisti dalla Cina. La motivazione fa riferimento a emergenze di sicurezza nazionale: lāingresso da questi paesi di droghe, come il fentanil, e di immigrazione illegale, in particolare dal confine messicano.
Queste misure sono state sospese lāindomani per un mese, prima di essere applicate, a seguito di impegni da parte di questi paesi per un maggiore controllo sui flussi irregolari di confine e sul traffico di farmaci e sostanze illecite. Quelli addizionali sullāimport dalla Cina, invece, sono entrati in vigore il 4 febbraio, provocando una reazione da parte delle autoritĆ cinesi, sotto forma di contro-dazi su prodotti selezionati USA e controlli allāexport di terre rare.
Inoltre, Trump ha ribadito di voler estendere a breve le barriere tariffarie ad altri paesi, tra cui quelli dellāUE. Il 10 febbraio ha annunciato la re-introduzione dei dazi erga omnes su acciaio e alluminio a partire dal prossimo 12 marzo , annullando tutte le sospensioni e le deroghe introdotte (oltre alla UE, ad Argentina, Australia, Brasile, Canada, Messico, Corea del Sud, Giappone Regno Unito e Ucraina) ed equiparando le tariffe al 25% su entrambi i materiali. In alcune occasioni, infine, ha minacciato anche dazi universali del 10-20% su tutte le importazioni statunitensi.
Se tutte queste misure saranno effettivamente applicate, ĆØ assai probabile che si attiverĆ una vera e propria escalation. Canada e Messico avevano giĆ annunciato contro-dazi e la Commissione europea ha dichiarato di essere pronta a muoversi nella stessa direzione.
Lāelevatissima incertezza generata dalla sola minaccia di precipitare le relazioni commerciali ed economiche in spirali ritorsive ĆØ in grado, da sĆ©, di produrre effetti profondi sul commercio e sulle connessioni economiche mondiali. Particolarmente esposte a queste tensioni sono le economie europee, specie quella italiana, molto aperte agli scambi con lāestero, integrate nelle catene globali del valore e strettamente connesse allāeconomia USA.
La seguente analisi ĆØ divisa in due parti. Nella prima, passiamo in rassegna motivazioni e strumenti della politica commerciale americana e le sue possibili conseguenze economiche, negli Stati Uniti e nella configurazione degli scambi mondiali.
Nella seconda parte, analizziamo i potenziali canali di trasmissione, diretti e indiretti, allāeconomia italiana, i settori maggiormente esposti e i prodotti potenzialmente più a rischio, anche in base alle prioritĆ di policy identificate in precedenza.
2. Quali scenari futuri? Strumenti di policy, teoria economica e fatti stilizzati
2.1 Obiettivi e strumenti delle politiche commerciali USA
Lāemergenza di sicurezza nazionale adottata da Trump per motivare i dazi a Canada, Messico e Cina ĆØ uno degli strumenti di politica commerciale a disposizione dellāamministrazione USA, in base allāInternational Emergency Economic Powers Act.
Gli strumenti istituzionali utilizzabili dallāAmministrazione americana sono attualmente quattro, con una procedura differenziata a seconda della tipologia di āminacceā da fronteggiare (Schema A). I differenti istituti legislativi riconoscono al Presidente la possibilitĆ di imporre barriere tariffarie al fine di tutelare lāeconomia americana a fronte di:
- condotte discriminatorie attuate da altri paesi, senza necessitĆ di analisi preliminare (Sezione 338, Tariff Act 1930);
- minacce alla sicurezza nazionale indirizzate a prodotti e filiere strategici, in base a un report del Dipartimento del Commercio (Sezione 232, Trade Expansion Act 1962);
- condotte commerciali sleali e/o deficit commerciali eccessivi, previa analisi da parte del Dipartimento del Commercio (Sezione 301 e 122, Trade Act 1974);
- minacce più generiche alla sicurezza economica e sociale del paese, senza analisi preliminare (International Emergency Economic Power Act 1977).
Tali strumenti forniscono le basi giuridiche alle decisioni collegate al memorandum America First Trade Policy del 20 gennaio 2025 coniugando esigenze di sicurezza nazionale, riduzione del deficit e delle dipendenze dallāestero ed il contrasto alle pratiche ritenute sleali con lāobiettivo di accrescere i vantaggi industriali e tecnologici degli USA a livello globale nellāinteresse di imprese e lavoratori americani. Il memorandum prevede la presentazione entro il 1° aprile 2025 di analisi e proposte lungo molteplici dimensioni economiche, commerciali, geopolitiche e strategiche che in larga parte si sovrappongono e si rafforzano mutualmente.
Gli obiettivi economici e commerciali comprendono: ribilanciare il deficit commerciale; aumentare le entrate fiscali dalle tariffe; favorire le imprese domestiche.
Quelli più specificamente commerciali includono: combattere le pratiche scorrette di altri paesi (dazi antidumping e compensativi, manipolazione dei tassi di cambio, prodotti contraffatti e farmaci di contrabbando, imposte discriminatorie allāestero nei confronti di cittadini e imprese USA); negoziare o rinegoziare accordi bilaterali e settoriali (compresi quelli con Canada e Messico e con la Cina).
Sulla Cina, in particolare, si concentrano gli obiettivi geopolitici, con una particolare attenzione alle pratiche scorrette e discriminatorie, allāelusione attraverso paesi terzi, e alla difesa dei diritti di proprietĆ intellettuale (brevetti, diritto dāautore e marchi).
Tali obiettivi si intrecciano e si ampliano allāinterno della dimensione strategica relativa alla sicurezza economica, che comprende: una revisione completa della sicurezza della base industriale e manifatturiera, con una particolare attenzione allāimport di acciaio e alluminio; un rafforzamento e unāestensione dei controlli sulle esportazioni (anche aumentando la compliance dei paesi esteri) per mantenere un vantaggio tecnologico su avversari strategici o rivali geopolitici; controllo delle tecnologie dellāinformazione e della comunicazione; rafforzamento degli investimenti USA in tecnologie e prodotti per la sicurezza nazionale in paesi esteri di interesse; limitazioni alla partecipazione finanziaria estera al procurement federale; lotta allāimmigrazione illegale e allāimport di fentanil.
2.2 Effetti macroeconomici negativi
Alla luce dellāampio spettro di obiettivi e strumenti a disposizione (che non consistono, dunque, solamente nellāapplicazione di dazi), una stima dellāimpatto economico anche delle sole misure tariffarie appare un esercizio prematuro e scarsamente predittivo.
Molto utile, invece, ĆØ inquadrare e schematizzare i diversi potenziali canali di trasmissione degli effetti dei dazi allāeconomia USA e lungo le connessioni internazionali, in base a due dimensioni principali: i paesi e i prodotti colpiti (si veda la Schema B).
Un primo effetto, come giĆ accennato, ĆØ quello derivante dellāincertezza stessa sullāevoluzione dei rapporti commerciali ed economici tra i principali paesi e, in generale, della governance globale. Lāindice di incertezza delle politiche economiche (Economic Policy Uncertainty), per esempio, ha raggiunto un valore record di 345 in novembre, maggiore del picco precedente raggiunto durante la prima amministrazione Trump.
Ciò ha un effetto immediato di freno alla dinamica degli scambi mondiali: in base a precedenti analisi del Centro Studi Confindustria, un aumento persistente del 10% dellāincertezza mondiale sulla politica economica ĆØ associato a una minore crescita (nel trimestre successivo) di quasi mezzo punto percentuale del commercio mondiale, a seguito sia di un rallentamento dellāattivitĆ industriale che di una minore intensitĆ degli scambi.
Per quanto riguarda lāeconomia domestica USA, teoria economica ed evidenza empirica portano a conclusioni robuste: i dazi hanno un impatto aggregato negativo o poco significativo sulla riduzione del deficit, senza considerare gli effetti perversi delle ritorsioni commerciali. I principali risultati sono i seguenti (Schema B, riquadro in lato a sinistra).
- Lāeffetto dei dazi sul saldo commerciale USA ĆØ sostanzialmente nullo. I dazi introdotti dalla prima amministrazione Trump non hanno favorito un rientro del deficit USA (si veda il par. 1.3). Il saldo ĆØ determinato, invece, dai livelli di risparmio e investimento, che dipendono in primo luogo da fattori macroeconomici come fiducia e consumi delle famiglie, demografia, politiche di bilancio.
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I dazi, infatti, riducono i flussi di beni in entrambe le direzioni. Direttamente dal lato dellāimport, favorendo i prodotti domestici. Indirettamente dal lato dellāexport, attraverso un apprezzamento del cambio e un aumento del costo degli input importati: fattori che riducono la competitivitĆ estera delle produzioni USA. Inoltre, import ed export sono correlati, perchĆ© possono riguardare diverse fasi di uno stesso processo produttivo lungo le catene globali del valore.
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I dazi sono una tassa che si scarica su famiglie e imprese statunitensi. Lāimpatto finale ĆØ un aumento (una tantum) dei prezzi al consumo, direttamente via beni di consumo importati e indirettamente via costi delle imprese. LāentitĆ della trasmissione dipende dalle politiche di prezzo degli esportatori (che possono abbassare i loro prezzi) e dei produttori domestici (i cui margini possono assorbire parte dellāaumento dei costi). I lavori empirici basati sullāesperienza della prima amministrazione Trump mostrano che il pass-through ĆØ stato completo per gran parte dei prodotti, cioĆØ i dazi si sono scaricati interamente su prezzi di acquisto e costi di produzione in USA (con delle eccezioni, per esempio nellāacciaio), con un impatto finale di minori margini per le imprese e maggiori prezzi per i consumatori. Tra ottobre 2017 e ottobre 2019, il prezzo delle importazioni americane dalla Cina si ĆØ ridotto soltanto dellā1,4% a fronte di un aumento delle tariffe sullāimport cinese del 25%.
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Gli effetti sul PIL sono negativi, per un utilizzo meno efficiente dei fattori produttivi, e abbastanza contenuti per unāeconomia grande e relativamente poco aperta agli scambi con lāestero come quella USA: circa -0,2% stimato in seguito ai dazi del Trump I (2018-2019). Tuttavia, lāimpatto si amplia nel lungo periodo, perchĆ© la minore concorrenza internazionale e la sopravvivenza di imprese meno efficienti riduce la crescita economica potenziale.
Gli economisti sono quindi concordi nel ritenere i dazi un cattivo strumento di policy. PerchƩ allora non ricevono una generale opposizione da parte degli elettori?
Una risposta risiede nel fatto che lāimpatto aggregato ĆØ modesto (del tutto superato dallāemergenza Covid nel 2020) e soprattutto diffuso tra i consumatori finali, che possono anche sostituire i prodotti rincarati con altri domestici (e di paesi non colpiti da dazi, se questi non sono erga omnes).
Viceversa, lāimpatto favorevole ĆØ circoscritto a produzioni domestiche difese dai dazi, che possono essere anche oggetto di politiche di incentivo e attrazione di investimenti dallāestero, e quindi immediatamente apprezzabile da lavoratori e imprese interessati. Si tratta tipicamente di settori industriali e aree geografiche che sono stati maggiormente colpiti dalla globalizzazione e dalla concorrenza, anche sleale, cinese.
2.3 Effetti selettivi per paese e per prodotto
Le motivazioni più profonde delle misure tariffarie risiedono quindi nella loro natura selettiva, per paese e per prodotto, e nellāestrema flessibilitĆ di applicazione. I dazi, infatti, possono essere annunciati e poi posticipati, rivisti, accompagnati da altre misure non tariffarie, come i divieti alle esportazioni, lo screening agli investimenti esteri, ecc.
Ciò li rende un potente strumento di politica economica, che travalica la sfera commerciale, per comprendere anche i temi degli investimenti esteri, della leadership tecnologica, del controllo dei nodi produttivi strategici, della tassazione internazionale, fino a quello militare.
Si tratta però di uno strumento estremamente distorsivo, che produce artificiosamente vincitori e vinti. Gli effetti si dispiegano a livello disaggregato, tra paesi e tra settori. à utile passarli in rassegna schematicamente.
Dazi selettivi per paese (Schema B, riquadro in alto a destra):
- Riduzione del deficit bilaterale. I dazi USA alla Cina della prima amministrazione Trump, confermati da quella Biden, come anticipato, non hanno comportato un contenimento del deficit commerciale, che nel 2023 ha superato 1 trilione di dollari e fluttua intorno al -4% del PIL, gli stessi livelli pre-dazi. Ć avvenuto, invece, un ribilanciamento dei deficit bilaterali con i principali partner commerciali (grafico 1). In particolare, il deficit nei confronti della Cina si ĆØ ridotto di più di un terzo negli ultimi sei anni ma ĆØ fortemente aumentato quello nei confronti di alcuni paesi asiatici, Vietnam, Taiwan, Corea del Sud e India. Si ĆØ ampliato anche il saldo negativo nei confronti degli altri principali partner: i paesi dellāUnione europea, Canada e Messico. Peraltro, anche in presenza dei dazi, il deficit nei confronti della Cina ĆØ aumentato nel biennio successivo allo scoppio della pandemia (2021-2022), per lāelevata domanda di alcuni prodotti, come le batterie elettriche, non soddisfatta dalla capacitĆ produttiva domestica nĆ© da fornitori alternativi, almeno nel breve periodo, cioĆØ per i quali ĆØ difficile ridurre la dipendenza dalla potenza asiatica.
- Riconfigurazione non efficiente dei flussi e triangolazioni commerciali e produttive. I dazi alla Cina hanno provocato, quindi, una forte riconfigurazione geografica dei flussi commerciali, dalle caratteristiche molto eterogenee: maggiori opportunitĆ nel mercato USA per gli altri esportatori, compresi quelli europei; maggiore pressione della sovraproduzione cinese verso altre destinazioni, comprese quelle europee; aumento delle connessioni indirette tra Cina e Stati Uniti, attraverso legami commerciali e/o proprietari in altri paesi asiatici e americani (per esempio Vietnam e Messico), per bypassare i dazi. Le tariffe bilaterali, quindi, provocano effetti distorsivi, difficili da monitorare, che ne limitano anche lāimpatto sulla riduzione delle dipendenze.
- Escalate to de-escalate. Lāimposizione o il semplice annuncio di dazi ĆØ uno strumento di contrattazione bilaterale, per raggiungere altri obiettivi geoeconomici, anche con paesi āamiciā dal punto di vista geopolitico: controllo delle frontiere con Messico e Canada, spesa militare degli alleati nella NATO, tassazione delle multinazionali USA nellāUnione europea , ecc.
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Divide et impera. Lāapplicazione di dazi differenziati tra paesi, potenzialmente anche tra quelli dellāUnione europea, pone gli Stati Uniti, prima potenza economica mondiale, in una posizione contrattuale di particolare forza. Questo elemento, in combinazione con i diversi obiettivi geoeconomici elencati in precedenza, rappresenta una forte criticitĆ per la politica commerciale comune dellāUnione europea.
Infine, i dazi possono selezionare, in modo molto dettagliato, specifici prodotti e settori, eventualmente combinati con la provenienza geografica (Schema B, riquadri in basso).
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Specifiche linee tariffarie erga omnes possono riguardare produzioni strategiche per la sicurezza nazionale o a rischio di eccessiva dipendenza dallāestero, come le forniture di metalli (acciaio e alluminio) e la filiera dellāautomotive. LāuniversalitĆ delle tariffe riduce il rischio di trade diversion (una delle motivazioni adottate da Trump a febbraio 2025 per eliminare le esenzioni su acciaio e alluminio provenienti da paesi āamiciā), anche se la stessa aliquota può avere effetti commerciali differenti su economie diversamente specializzate. Inoltre, le misure possono essere associate ad altre di incentivo delle produzioni domestiche e di attrazione di investimenti produttivi da paesi āamiciā, come quelle contenute nellāInflation Reduction Act. Ciò comporta una potenziale rilocalizzazione produttiva a svantaggio dei paesi partner più vicini e di quelli più interconnessi, come la UE.
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Cina a compiere progressi più rapidi sulla frontiera tecnologica in genere e in particolare nella produzione di chip, riducendo la dipendenza dalle aziende americane .
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Ribilanciamento strategico con paesi amici. Ć plausibile un rafforzamento dellāintegrazione in filiere strategiche come quella dellāenergia tra gli USA e i partner occidentali. Lāexport di gas naturale americano, in particolare, potrebbe parzialmente riequilibrare la bilancia commerciale USA-UE. Al contrario, se le tensioni si estendessero ai paesi amici, gli effetti, inclusa una minore cooperazione internazionale in ricerca e innovazione, ridurrebbero la crescita mondiale nel lungo periodo.
3. Il ruolo degli Stati Uniti per gli scambi e gli investimenti italiani ed europei
3.1 Connessioni economiche molteplici e profonde
Le connessioni economiche tra Italia e Stati Uniti, che possono essere colpite direttamente e indirettamente dalle politiche commerciali USA, sono profonde e molto eterogenee.
Gli USA, infatti, sono la prima destinazione extra-UE dei flussi italiani di beni, di servizi e di investimenti diretti allāestero (tabella 1).
Le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a circa 65 miliardi di euro nel 2024, oltre un decimo del totale dellāexport (10,4%, stime provvisorie), nonostante un calo registrato dal picco di oltre 67 nel 2023. Gli Stati Uniti sono ampiamente la prima destinazione extra-UE di prodotti italiani e la seconda in assoluto dietro la Germania, avendo superato la Francia nel 2022.
Gli acquisti italiani di beni USA hanno raggiunto quasi 26 miliardi nel 2024, meno di un ventesimo del totale dellāimport (4,6% stimato). Si tratta comunque del secondo mercato di origine extra-UE dopo la Cina, che a sua volta ĆØ seconda solo alla Germania.
Di conseguenza, il saldo commerciale italiano con gli Stati Uniti si ĆØ attestato vicino a 39 miliardi di euro, contribuendo per gran parte del surplus commerciale totale (circa 54 miliardi).
Un ruolo del mercato americano più significativo dal lato dellāexport che dellāimport ĆØ confermato dalla dinamica degli scambi italiani per paese dal 2019 (picco pre-Covid) al 2023 (si veda il grafico 2).
Lāaumento delle vendite negli USA ha contribuito per 4,5 punti percentuali allāincremento dellāexport totale (pari a circa il 30% cumulato nel periodo): il singolo contributo più elevato tra tutti i paesi del mondo. Il contributo dellāimport dagli Stati Uniti, invece, si ĆØ attestato sotto i 2 punti percentuali (su un totale di quasi il 40%): meno di quelli di Germania, Cina, Paesi Bassi (snodo di prodotti extra-UE), Francia, Spagna e anche Algeria (fornitrice di gas).
Lāinterscambio di servizi Italia-USA ĆØ più bilanciato: nel 2023 (ultimo dato disponibile) 12,7 miliardi le vendite e 10,1 gli acquisti, con un saldo positivo di 2,5 miliardi, che bilancia solo parzialmente il saldo negativo con il resto del mondo (-10,2 miliardi, USA esclusi); solo con la Svizzera lāItalia detiene un surplus maggiore nei servizi.
Circa metĆ dellāexport di servizi italiani negli USA ĆØ costituito dal turismo in entrata e un altro terzo da servizi professionali e di informazione. Questi servizi generano anche una parte consistente delle importazioni di servizi dagli Stati Uniti (in particolare, turismo italiano negli USA); inoltre gli italiani pagano a societĆ americane una larga parte dei compensi per lāutilizzo della proprietĆ intellettuale.
Infine, unāanalisi dello scambio dei beni e servizi tra le due sponde dellāAtlantico non può prescindere dalle relazioni di tipo produttivo. La presenza di multinazionali, infatti, alimenta una quota rilevante degli scambi bilaterali di beni e servizi. In particolare, per lāItalia la quota del contributo delle multinazionali estere alle esportazioni di merci ĆØ pari al 35% mentre quello alle importazioni sfiora il 50%.
Gli Stati Uniti rappresentano la prima destinazione degli investimenti italiani diretti allāestero, anche rispetto ai paesi europei, nellāultimo biennio per cui sono disponibili i dati (2022-2023): quasi 5 miliardi annui, pari a ben il 27% del totale (media 2022-2023). Appena 1,5 miliardi annui, invece, sono stati investiti da residenti USA in Italia.
Si ĆØ verificato, quindi, un deflusso netto di capitali produttivi verso gli Stati Uniti. Ć un dato che può essere letto in positivo, come segnale di dinamicitĆ delle multinazionali italiane negli Stati Uniti e di attrattivitĆ del mercato USA, anche grazie agli incentivi alle produzioni domestiche; una dinamica coerente con la buona performance dellāexport verso gli USA. Viceversa, in negativo, il mercato italiano appare relativamente poco attrattivo per i capitali americani. Ciò ĆØ in linea con la dinamica relativamente contenuta dellāimport dagli USA.
Le connessioni produttive che lāItalia e gli altri paesi UE hanno realizzato nel tempo con gli Stati Uniti sono evidenziate dallo stock degli investimenti diretti esteri. Gli USA come investitore estero rappresentano quasi un terzo dello stock di capitali investiti nella UE (dai paesi extra-UE) e come meta di investimento più di un quarto del totale investito da parte delle imprese europee (nei paesi extra-UE, tabella 2).
Lāeconomia italiana ĆØ meno esposta rispetto a Francia e Germania, e alla media dei paesi europei, ai legami produttivi con gli Stati Uniti, sia in entrata che in uscita. Tuttavia, se si considerano le statistiche per investitore ultimo e non solo come controparte immediata, risalendo attraverso i legami societari alla proprietĆ effettiva, la presenza delle imprese americane risulta essere molto più rilevante anche per lāItalia, giungendo a rappresentare più del 30% dello stock di capitali extra-UE investiti nellāeconomia nazionale.
Al fine di cogliere lāeffettiva relazione economica che i capitali esteri investiti nelle rispettive economie hanno realizzato ĆØ opportuno considerare le statistiche sulle multinazionali. Nel 2022 (ultimo anno di rilevazione disponibile), le multinazionali americane presenti sul territorio italiano erano le prime per numero di occupati (più di 350mila, tabella 3), contribuendo per più di un quinto al valore aggiunto nazionale e alla spesa in ricerca e sviluppo. La presenza delle multinazionali americane ĆØ particolarmente importante nella manifattura italiana, dove sono concentrati più di 110mila addetti. Entrando nel dettaglio settoriale, il 90% delle multinazionali extra-UE del comparto elettronico e ICT ĆØ di proprietĆ americana.
Inoltre, gli Stati Uniti sono la meta preferita per le multinazionali italiane: nel 2022 sono al primo posto per numero di imprese straniere controllate da imprese italiane e al secondo, subito dopo il Brasile, per numero di addetti, producendo un fatturato pari al 14% di quello realizzato dalle imprese residenti sul territorio italiano.
3.2 Lāesposizione settoriale, diretta e indiretta, agli scambi con gli USA
I principali comparti manifatturieri italiani sono potenzialmente esposti a misure protezionistiche americane.
Tutti i settori godono, infatti, di un surplus commerciale con gli Stati Uniti, con lāeccezione di un marginale deficit in quello della carta (dati 2023)
I principali settori in termini di export, import e saldo con gli USA sono: macchinari e impianti (primo esportatore), farmaceutica (primo importatore), autoveicoli e altri mezzi di trasporto, alimentari e altri beni manifatturieri. Insieme, generano quasi tre quarti del surplus commerciale italiano con gli Stati Uniti (tabella 4).
Il saldo italiano contribuisce a una parte significativa di quello complessivo dei paesi UE con gli Stati Uniti: circa il 27% del totale, secondo solo a quello tedesco (55%).
I comparti manifatturieri europei che contribuiscono maggiormente al surplus commerciale corrispondono a quelli identificati per lāItalia, con lāeccezione degli altri mezzi di trasporto (saldo negativo a livello UE), e con lāaggiunta di apparecchi elettrici e di metalli di base.
Nel settore primario, invece, Italia e UE nel complesso registrano un deficit commerciale con gli Stati Uniti, alimentato soprattutto dagli acquisti di gas naturale USA, che hanno contribuito a sostituire le forniture russe, raggiungendo nel 2023 un valore di poco meno di 7 miliardi di euro in Italia e quasi 70 miliardi in Europa. Lāimport di gas americano potrebbe essere ulteriormente incrementato, anche per venire incontro alle richieste di riequilibrio della bilancia commerciale da parte dellāamministrazione Trump.
Per cogliere lāesposizione settoriale al mercato americano, però, ĆØ utile calcolare il peso dei flussi con gli USA sui flussi totali del settore.
Per compatibilitĆ a livello UE, consideriamo prima i soli scambi extra-UE. Secondo questa metrica, i settori italiani più esposti sono le bevande (negli USA il 39% dellāexport extra-UE), gli autoveicoli e altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%, rispettivamente) e la farmaceutica (30,7%). Questi settori sono anche più esposti agli USA in Italia rispetto alla media UE; a livelli più bassi, spiccano anche gli alimentari italiani. Fa eccezione il farmaceutico, che a livello europeo ĆØ ancora più esposto agli USA (34,7%, il valore più elevato; si veda il grafico 3).
Nel complesso, comunque, lāexport italiano ĆØ più esposto della media UE al mercato di destinazione americano: 22,2% rispetto al 19,7% delle vendite extra-UE. Viceversa, il totale dellāimport italiano ĆØ meno dipendente di quello medio UE dalle forniture USA: 9,9% e 13,8%, rispettivamente, degli acquisti extra-UE.
I comparti italiani più esposti sono il farmaceutico (38,6%) e le bevande (38,3%; molto sopra la media UE), le cui connessioni con gli USA vanno quindi in entrambe le direzioni, evidenziando la profonda integrazione delle filiere produttive (si veda il grafico 4). Eventuali misure protezionistiche avrebbero effetti a cascata su entrambi i flussi, con un impatto limitato sui saldi.
Tra gli altri settori, il peso USA nellāimport di altri mezzi di trasporti (autoveicoli esclusi) dagli USA ĆØ molto elevato per la UE (42,5%, valore massimo), meno per la sola Italia (15,0%). Gli autoveicoli, invece, non sono dipendenti dal lato degli acquisti, soprattutto in Italia (appena 3,5%), segnalando una connessione sbilanciata dal lato delle vendite, e quindi potenzialmente più colpita da eventuali barriere tariffarie USA.
Infine, il calcolo dellāesposizione settoriale, cioĆØ del peso dei flussi con gli USA, può essere arricchito lungo due dimensioni : al numeratore, aggiungendo ai flussi diretti verso gli Stati Uniti anche quelli indiretti, cioĆØ le vendite di semilavorati ad altri settori, domestici ed esteri, che sono incorporati in prodotti per il mercato USA ; al denominatore, considerando un aggregato più ampio come lāexport totale o preferibilmente le vendite totali (comprese quelle sul mercato interno).
Le connessioni dirette e indirette al mercato di destinazione USA, in percentuale della produzione totale settoriale, in base a stime del Centro Studi Confindustria, offrono un quadro leggermente diverso dallāanalisi precedente (si veda il grafico 5).
I comparti più esposti risultano il farmaceutico e gli altri mezzi di trasporto: il 17,4% e il 16,5% delle rispettive produzioni sono destinate al mercato USA (di cui 6,3% e 3,0%, rispettivamente, sono connessioni indirette). Seguono gli autoveicoli, i macchinari e impianti, gli altri manifatturieri, le pelli e calzature, settori accumunati da unāelevata apertura agli scambi con lāestero. Scalano alcune posizioni le bevande e gli alimentari, in cui il peso del mercato interno ĆØ relativamente maggiore. Infine, i legami indiretti accrescono lāesposizione di altri settori a monte delle filiere produttive, come la chimica, i metalli e altri minerali non metalliferi.
Per il totale del manifatturiero, il peso del mercato di destinazione USA ĆØ stimato pari a quasi il 7% della produzione totale, di cui circa il 5% ĆØ costituito da flussi diretti e il restante da connessioni indirette. Di queste connessioni indirette, circa metĆ ĆØ costituita da interdipendenze domestiche tra settori italiani, poco meno di un quarto da quelle interne allāeconomie USA e la parte restante da legami produttivi internazionali, soprattutto allāinterno della UE.
4. Quali prodotti europei e italiani sono maggiormente esposti ai possibili dazi americani?
Al fine di evidenziare lāesposizione dei singoli prodotti italiani ed europei venduti agli Stati Uniti abbiamo considerato una disaggregazione merceologica che comprende quasi 8mila beni (classificazione HS a sei digit). I prodotti italiani venduti negli Stati Uniti sono 4mila (pari allā80% in termini di varietĆ di quelli venduti ai paesi extra-UE), mentre quelli europei 5mila (93%). Gli Stati Uniti sono un paese verso cui lāItalia e gli altri paesi europei esportano molto sia in termini di valore che di varietĆ dei prodotti.
Per comprendere quali prodotti, italiani e europei, potrebbero essere maggiormente impattati dallāeventuale guerra commerciale, abbiamo qui selezionato tre aspetti in particolare. Il primo ĆØ legato allāesposizione granulare delle esportazioni italiane ed europee verso il mercato di destinazione americano, gli altri due integrano valutazioni economiche ad altre più āpoliticheā, in quanto dipendono dalla valutazione assegnata dallāamministrazione americana a certe tipologie di prodotti sia per le loro caratteristiche strategiche (appartenenti a settori ritenuti fondamentali per la sicurezza e il benessere economico della nazione) che per la loro eccessiva dipendenza dallāestero, misurata attraverso un elevato livello di deficit commerciale per gli Stati Uniti (e quindi, viceversa, un forte surplus di cui beneficiano le economie europee). I criteri di valutazioni sono i seguenti:
- esposizione verso il mercato americano: sono selezionati i prodotti che per tutti gli ultimi tre anni a disposizione, 2021-2023, sono stati esportati prevalentemente verso gli Stati Uniti, cioè per cui gli Stati Uniti hanno pesato continuativamente come mercato di destinazione, sul totale extra-UE, per più del 50%;
- surplus commerciale elevato: prodotti che alimentano un surplus verso gli USA superiore a 1 milione di euro per lāItalia e a 10 milioni di euro per i paesi della UE , per tutti e tre gli anni a disposizione (2021-2023);
- strategicitĆ delle produzioni: lāinsieme dei prodotti āstrategiciā, cosƬ come definiti dallāamministrazione americana (1059 prodotti a sei digit).
4.1 I prodotti maggiormente esposti al mercato americano
Negli ultimi tre anni i prodotti italiani che hanno mantenuto o rafforzato una esposizione verso il mercato americano superiore al 50% sul totale extra-UE sono 90 (su 4mila prodotti). Nel 2023 questi prodotti maggiormente esposti hanno raggiunto un valore delle vendite verso gli USA superiore ai 10 miliardi di euro, pari al 16,2% del totale esportato nel mercato americano, e hanno contribuito a un quarto del surplus commerciale. I prodotti cosƬ selezionati rappresentano i due terzi dellāexport italiano verso i paesi extra UE.
I prodotti europei che soddisfano lo stesso criterio di selezione sono in numero inferiore a quelli italiani, 81 su quasi 5mila prodotti esportati negli USA. Per questi prodotti le vendite negli USA rappresentano il 67% di quelle extra-UE, nel 2023 hanno superato complessivamente i 45 miliardi di euro, il 9,1% del totale esportato nel mercato americano e contribuiscono al 14% del surplus commerciale.
La quasi totalitĆ dei prodotti italiani che rispondono al criterio di maggiore esposizione al mercato americano presentano anche un valore dellāexport molto prossimo a quello del rispettivo saldo, cioĆØ valori molto bassi dellāimport, diversamente da ciò che accade ai prodotti europei maggiormente esposti. Ciò ĆØ sicuramente un indicatore di una forte dipendenza, almeno relativamente allāItalia, al mercato di destinazione americano, e quindi di un impatto maggiore di eventuali dazi USA; allo stesso tempo, potrebbe segnalare lāassenza di una forte base produttiva di origine americana da poter utilizzare in caso di dazi.
Infatti, per lāItalia il raggruppamento settoriale di tutti i prodotti selezionati mostra un allineamento sulla bisettrice del primo quadrante in cui sugli assi sono rappresentati il valore dellāexport e il rispettivo saldo commerciale (grafico 6). I primi tre aggregati di prodotti per esposizione italiana al mercato USA (Mezzi di trasporto, Prodotti chimici e farmaceutici e Alimentari e bevande) rappresentano in termini di valore esportato lā85% del totale selezionato e quasi il 90% del surplus commerciale.
Nel caso dei paesi UE lāallineamento tra export e saldo non si realizza nei primi tre settori (Prodotti chimici e farmaceutici, Mezzi di trasporto e Macchinari) per valore dellāexport verso gli USA, che rappresentano quasi il 90% del totale selezionato e circa lā80% del rispettivo surplus commerciale. I primi due coincidono, sebbene nellāordine inverso, con quelli selezionati per lāItalia; i macchinari, il settore italiano con la più alta vocazione allāexport, sono al quarto posto della classifica per lāItalia.
4.2 I prodotti a rischio per surplus commerciale elevato
Uno degli obiettivi di Trump ĆØ ridurre il deficit commerciale americano , quindi, i prodotti che potrebbero essere più a rischio ādaziā sono quelli che alimentano un elevato deficit commerciale per gli Stati Uniti. Specularmente, per questi prodotti unāinterruzione degli scambi con gli USA comporterebbe una maggiore perdita, in termini di flussi netti, per lāEuropa.
Perciò, ragionando dal lato degli esportatori europei, abbiamo identificato un sottoinsieme di prodotti più esposti in quelli che negli ultimi tre anni hanno costantemente realizzato un surplus commerciale al di sopra di una certa soglia (1milione di euro per lāItalia e 10milioni di euro per la UE). I prodotti italiani venduti negli USA dal 2021 al 2023 che soddisfano questo criterio sono 1.139 su 4mila prodotti; nel 2023 hanno rappresentato circa un quarto del valore dellāexport italiano e un terzo del rispettivo saldo commerciale verso lāextra-UE, poco più di 50 miliardi di euro, che equivalgono a più dei tre quarti del totale esportato verso gli USA. I prodotti europei che soddisfano lo stesso criterio di selezione sono di più in termini di numerositĆ , 1.360 su quasi 5mila prodotti esportati negli USA, e rappresentano poco più di un quinto dellāexport europeo e la metĆ del saldo commerciale verso lāextra-UE; nel 2023 hanno superato i 375 miliardi di euro, più dei tre quarti del totale esportato verso gli USA.
La corrispondenza tra valori elevati di export e quelli di saldo commerciale dellāItalia con gli Stati Uniti, giĆ rilevata, si rafforza per i prodotti identificati da un saldo commerciale superiore alle soglie definite.
Ai primi tre posti per surplus eccessivo ci sono gli stessi tre raggruppamenti di prodotti (macchinari, prodotti chimici e farmaceutici e mezzi di trasporto) sia per lāItalia che per lāinsieme dei paesi UE, sebbene lāordine differisca. Questi tre raggruppamenti di prodotti rappresentano per lāItalia più del 60% sia del valore che del saldo commerciale dei prodotti selezionati, mentre per lāinsieme dei paesi europei pesano circa i tre quarti del loro valore e il 70% del saldo commerciale (grafico 7).
Considerando congiuntamente i due criteri, esposizione verso il mercato americano e saldo commerciale eccessivo, i prodotti che li soddisfano si riducono drasticamente a 48 per quelli di provenienza italiana e a 52 per quelli europei.
Per il sottoinsieme dei prodotti europei cosƬ individuati la rilevanza del mercato americano ĆØ relativamente superiore a quella che rappresenta per gli esportatori italiani. Infatti, nel 2023 gli esportatori europei hanno raggiunto quasi 30 miliardi di euro, pari a più del 70% di quello destinato ai paesi fuori dal mercato unico, che ha prodotto un saldo commerciale pari a 18 miliardi, sei volte superiore a quello raggiunto rispetto al totale dei paesi extra-UE. Il valore esportato dallāItalia ĆØ stato quasi di 7 miliardi, poco più del 62% di quello destinato ai paesi fuori dal mercato unico, e ha prodotto un saldo commerciale pari a quasi i tre quarti di quello extra-UE.
Nellāinsieme dei prodotti europei a sei digit ci sono anche beni del settore agricolo mentre per quello italiano solo beni manifatturieri. Il comparto chimico-farmaceutico rappresenta la quasi totalitĆ del valore esportato, lā83% di quello esportato dallāinsieme dei paesi europei, mentre ĆØ poco meno la metĆ di quello italiano. In particolare, per lāexport italiano un medicinale ormonale rappresenta il 70% del valore del comparto.
Ć importante notare che le dipendenze italiane ed europee sono identificate in molte produzioni differenti, ma esistono poche specializzazioni comuni che costituiscono gran parte del valore dei flussi selezionati. I prodotti comuni tra gli esportatori italiani ed europei di questo sottoinsieme sono soltanto 8, la quasi totalitĆ del valore dellāexport sia italiano (94%) che europeo (87%) appartengono agli stessi due comparti delle armi e dellāacciaio.
4.3 I prodotti strategici per gli Stati Uniti
Dalla diffusione del Covid-19 ai blocchi delle forniture del 2021 ĆØ diventato sempre più rilevante per le principali economie occidentali, specialmente per gli Stati Uniti e per lāUnione Europea, rafforzare la loro catena di fornitura soprattutto per le filiere definite strategiche, ovvero quellāinsieme di settori che contribuiscono alla sicurezza, non solo economica, di una nazione. LāAmministrazione americana ha individuato un insieme di prodotti strategici,1059 a sei digit, che includono i principali settori manifatturieri. Non tutti i prodotti individuati sono esportati dallāItalia e dalla UE nel mercato americano: gli esportatori italiani ne vendono circa 700 mentre quelli UE poco meno di 1.000.
I prodotti strategici italiani destinati agli Stati Uniti rappresentano più di un quinto del totale dellāexport italiano negli USA (17 miliardi di euro nel 2023). Un peso superiore hanno quelli venduti dallāinsieme dei paesi europei, pari al 40% del totale dellāexport negli USA (più di 200 miliardi di euro). Lāinsieme di questi prodotti ha generato un surplus commerciale sia per lāItalia, di circa 4 miliardi, che per la UE, poco più di 36 miliardi.
I due principali raggruppamenti settoriali, che rappresentano complessivamente più dellā80% del valore dellāexport di prodotti strategici sia per lāItalia che per la UE, sono i prodotti chimici e farmaceutici (52% dei prodotti strategici italiani e più del 56% di quelli europei) e i macchinari (32% di quelli italiani e 26% di quelli europei; grafico 8). Diversamente dalle selezioni precedenti, non per tutti i comparti gli esportatori italiani e quelli europei hanno registrato un surplus commerciale. In particolare, il comparto dei prodotti petroliferi raffinati ĆØ quello che presenta il saldo commerciale negativo più alto per entrambe le economie; per la UE rilevante ĆØ anche il deficit commerciale nel settore della plastica e per lāItalia quello nei minerali non metalliferi.
Considerando tutti e tre i criteri, lāesposizione verso il mercato americano, surplus commerciale eccessivo e prodotti strategici per lāAmministrazione USA, i prodotti selezionati si riducono drasticamente a 7 per quelli di provenienza italiana e a 14 per quelli europei.
Per il sottoinsieme dei prodotti europei cosƬ individuati la rilevanza del mercato americano ĆØ relativamente superiore a quella che rappresenta per gli esportatori italiani. Infatti, nel 2023 gli esportatori europei hanno raggiunto quasi 26 miliardi di euro, pari a più del 70% di quello destinato ai paesi fuori dal mercato unico, che ha prodotto un saldo commerciale pari a 15 miliardi, 57 volte superiore a quello raggiunto rispetto al totale dei paesi extra-UE. Il valore esportato dallāItalia ĆØ stato più di 3 miliardi, il 69% di quello destinato ai paesi fuori dal mercato unico, e ha prodotto un saldo commerciale pari al 93% di quello extra-UE.
Per entrambi gli esportatori il comparto chimico-farmaceutico rappresenta la quasi totalitĆ del valore esportato, con lāunica differenza che per le esportazioni italiane la maggior parte del valore ĆØ concentrata in un prodotto farmaceutico mentre per gli esportatori europei ĆØ distribuita su 10 prodotti chimico-farmaceutici. Infine, un solo prodotto della chimica organica ĆØ in comune per lāItalia e la UE, in base a tutti i criteri considerati.
Rispetto al complesso dei paesi membri lāexport italiano ĆØ maggiormente diversificato, anche se si considerano criteri stringenti. I prodotti strategici americani sono più rilevanti sia in termini di varietĆ che di valore per la media dei paesi europei.
In generale, i prodotti chimici e farmaceutici europei destinati agli Stati Uniti appaiono quelli più a rischio, sebbene la presenza di legami produttivi attraverso imprese controllate negli USA da quelle europee e in Europa da quelle americane potrebbe essere un buon deterrente alla politica commerciale restrittiva da parte dellāAmministrazione Trump. Infatti, più del 70% dello stock di capitali investiti dalle imprese UE nei paesi extra-Ue ĆØ diretto alle imprese farmaceutiche americane; la quota ĆØ la stessa per le multinazionali farmaceutiche tedesche mentre quelle italiane arrivano a sfiorare il 90%. Gli Stati Uniti sono una destinazione rilevante degli investimenti delle multinazionali italiane anche nei settori degli altri prodotti manifatturieri (più del 50% di quelli extra-UE), degli alimentari e delle bevande, delle apparecchiature elettroniche e ICT (più di un terzo) e, infine, dei prodotti chimici e dei metalli di base (circa un quarto).