Le retribuzioni e i prezzi

SCARICA QUESTA SEZIONE

4.1 Le retribuzioni e il Clup

Dopo l’inflazione, accelerano i salari nominali

Dopo un +1,9% nel 2023, la dinamica delle retribuzioni di fatto pro-capite nell’intera economia italiana è prevista accelerare al +3,8% nel 2024 e al +4,1% nel 2025.

Il rafforzamento della dinamica retributiva, contemporaneo al netto rientro dell’inflazione, permetterà un recupero, seppur non completo, delle retribuzioni reali, che avanzeranno del +4,3% cumulato nel biennio in corso. Il recupero è già iniziato nel 2023, trainato dal settore privato, dove infatti le retribuzioni reali per ULA nel 4° trimestre 2023 si sono attestate al +2,0% sul 4° 2022, e dove si prevede che avanzeranno a un ritmo medio annuo del +2,1% nel 2024 e nel 2025. L’anno prossimo le retribuzioni reali nel settore privato sono attese tornare in media d’anno sui livelli del 2016, avendo chiuso di circa la metà la perdita di potere di acquisito generata dalla crisi energetica (-3,2% nel 2025 sul 2021, dal -7,0% nel 2023; Grafico 17).

Grafico Iniziato il recupero delle retribuzioni reali - Rapporto CSC primavera 2024

Nel settore pubblico, invece, che vale circa un quarto del monte retributivo totale, le retribuzioni reali pro-capite, nonostante un lieve avanzamento congiunturale nel 4° trimestre 2023 (+0,7% sul 3°), sono rimaste per tutto lo scorso anno ancorate su un livello di circa il 10% sotto a quello del 2021, e sono previste iniziare a recuperare solo dal 2025. La dinamica salariale recente e prospettica nel settore pubblico riflette due tornate di rinnovi dei contratti collettivi di lavoro in ampio ritardo. Nel 2023 si è esaurita la crescita salariale sospinta dai rinnovi relativi alla tornata contrattuale 2019-2021, ma conclusi nei vari comparti pubblici perlopiù nella seconda parte del 2022. Tali rinnovi hanno determinato un avanzamento complessivo delle retribuzioni contrattuali tra il 4% e il 4,5%, spalmato nel biennio 2022-2023. Le retribuzioni di fatto nominali per ULA sono avanzate, invece, con una dinamica altalenante nei due anni (+5,4% e -1,6% rispettivamente), dovuta al pagamento di arretrati nel 2022 e zavorrate in entrambi gli anni da effetti di composizione negativi.

Sulla base delle risorse stanziate in Legge di Bilancio 2024 (5 miliardi di euro), si prevede un aumento vicino al 6% delle retribuzioni contrattuali dei dipendenti pubblici per i rinnovi della tornata 2022-2024, che sarà, tuttavia, distribuito tra fine 2023 e almeno la prima parte del 2026. Ciò a fronte, da un lato, dell’anticipo a dicembre 2023 di una parte degli incrementi previsti, e dall’altro del fatto che i rinnovi contrattuali potrebbero essere spinti al 2025 (nessun rinnovo è stato ancora siglato alla data di pubblicazione di questo rapporto). Le retribuzioni reali di fatto per ULA sono così attese avanzare non oltre l’1% cumulato nel biennio in corso, perché alimentate solo debolmente da una dinamica delle retribuzioni contrattuali che teoricamente dovrebbe essere guidata dallo stesso meccanismo di aggiustamento che prevale nel settore privato, ovvero quello concordato nell’accordo tripartito del 22 gennaio 2009, ma che è ormai caratterizzata da cronici ritardi nei rinnovi.

Nel settore privato, invece, la dinamica salariale dal 2023 è sostenuta da un’accelerazione delle retribuzioni contrattuali, che, sulla base del meccanismo di adeguamento dei minimi tabellari definito tra le parti sociali nel 2009 e confermato nel 2018, è avvenuta sulla scia del balzo dell’inflazione osservato nel 2022. Esso prevede, infatti, che al momento del rinnovo di un CCNL gli aumenti delle retribuzioni contrattuali nei tre anni di vigenza dell’accordo siano definiti sulla base dell’inflazione attesa, con adeguamenti per eventuali scostamenti con l’inflazione effettiva. L’indice dei prezzi preso a riferimento è l’IPCA al netto degli energetici importati (IPCA-NEI), come stimato dall’Istat con aggiornamenti annuali diffusi a inizio giugno. Questo meccanismo implica che le retribuzioni contrattuali inglobino con ritardo eventuali pressioni inflazionistiche al di sopra delle attese, e in pratica spalma su più anni le fiammate inflazionistiche “importate”, come quella recente.

Nell’industria in senso stretto, dove la copertura dei CCNL è pressoché completa (94% i lavoratori mediamente coperti da un contratto in vigore nel biennio 2022-2023), a giugno 2023 la dinamica delle retribuzioni contrattuali ha accelerato a +4,6%, dall’1,6% medio nei primi 5 mesi dell’anno. Ciò principalmente in virtù dell’aggiustamento ex-post degli incrementi tabellari previsto dal CCNL metalmeccanico del 2021 rispetto allo scostamento tra inflazione (in questo caso per il 2022) prevista al momento del rinnovo e inflazione effettiva. Il ritmo medio annuo di crescita delle retribuzioni contrattuali nell’industria è previsto mantenersi su questi livelli anche quest’anno, alimentato da nuovi aumenti dei minimi tabellari, sia tarati sull’inflazione attesa per l’anno in corso sia (a giugno 2024 per il settore metalmeccanico) a copertura dello scostamento tra inflazione attesa ed effettiva per il 2023.

Nei servizi privati, invece, si è registrata una copertura molto più bassa dei CCNL (29% i lavoratori coperti mediamente nel biennio 2022-2023) e ciò ha frenato la crescita media annua delle retribuzioni contrattuali, che si è fermata all’1,4% nel 2023 contro il 3,3% medio nell’industria in senso stretto. Ciononostante, la dinamica delle retribuzioni nominali di fatto è stata simile nei due macrosettori (3,2% e 3,4% rispettivamente), grazie alla corresponsione di emolumenti non continuativi.

A marzo 2024 è stata siglata l’intesa di rinnovo nel comparto del commercio, che pesa quasi il 40% del monte retributivo complessivo dei servizi privati e il cui CCNL è scaduto da dicembre 2019. Grazie a questo e ulteriori rinnovi attesi, nel 2024 e 2025 le retribuzioni complessive nei servizi privati torneranno ad essere alimentate dal rialzo delle retribuzioni contrattuali, che hanno già accelerato dallo 0,9% nei primi tre mesi del 2023 all’1,7% in aprile-dicembre, principalmente grazie a un anticipo (in media pari a 39 euro mensili) riconosciuto nel comparto del commercio rispetto al rinnovo in corso.

Clup industriale atteso in aumento anche nel 2024 e 2025

Il Clup manifatturiero in Italia è cresciuto del +4,7% nel 2023, meno che in altre economie europee (+6,4% nell’industria tedesca, +7,3% in media nell’Eurozona). Nel complesso, però, questo quadriennio caratterizzato dalla doppia crisi sanitaria ed energetica si chiude con un Clup nel manifatturiero italiano cresciuto del +7,6%, contro il +5,8% medio nell’Eurozona. A fronte di una dinamica più contenuta del costo del lavoro per ora lavorata, la competitività dell’industria italiana è stata penalizzata da una crescita molto modesta della produttività (+2,8% rispetto al +7,0% medio nell’Eurozona). Il deterioramento della competitività in termini di Clup nel quadriennio 2020-2023 ha eroso il miglioramento registrato tra il 2015 e il 2019 rispetto alla Germania e lo ha annullato rispetto alla media dell’Eurozona.

Nel biennio 2024-2025, il rafforzamento della dinamica salariale nel settore privato, in ritardo rispetto alla dinamica inflattiva, per effetto del meccanismo di aggiustamento delle retribuzioni contrattuali, spingerà ulteriormente al rialzo il Clup nel manifatturiero italiano, dato il solo marginale miglioramento atteso della produttività del lavoro (Grafico 18).

Grafico Manifatturiero italiano: guadagni di competitività in erosione - Rapporto CSC primavera 2024

4.2 I prezzi, i deflatori e i margini

Inflazione bassa in Italia

La dinamica dei prezzi al consumo in Italia ha registrato un netto rallentamento nel corso del 2023, dopo i record toccati verso fine 2022 (+11,8% a ottobre). È scesa a un minimo di +0,6% annuo a fine 2023, per poi attestarsi a +1,3% a marzo 2024. Si mantiene dunque molto sotto l’obiettivo BCE del +2,0% (Grafico 19). La variazione acquisita a marzo per la media del 2024 è pari al +0,6%.

Grafico Inflazione quasi normalizzata in Italia - Rapporto CSC primavera 2024

L’inflazione, terminata ormai la lunga frenata, si posizionerà poco sopra ai moderati valori correnti e, in media, si attesterà al +1,7% nel 2024 (da +5,6% nel 2023), con una revisione al ribasso di -0,4 punti rispetto allo scenario CSC di ottobre 2023. Nel 2025, è attesa rimanere intorno ai valori di fine 2024, assestandosi al +1,8% in media. Questa previsione è basata sull’effetto di vari fattori.

1) Lo scenario di previsione incorpora un prezzo del gas sostanzialmente stabile e un prezzo del petrolio in aumento. Dopo che nel 2023 il rallentamento dell’inflazione totale è stato trainato dal venire meno dell’impatto del rincaro del 2022 sulla variazione annua dei prezzi energetici al consumo, nel 2024 si registra un effetto di segno opposto, sfavorevole: la variazione sui 12 mesi di tali prezzi risale da valori negativi verso lo zero (e quindi alza l’inflazione totale).

2) Il mantenimento dell’euro intorno a un livello più o meno stabile sul dollaro, 1,09 in media fin dal 2023, pur con significative oscillazioni mensili, ha evitato impatti addizionali in Italia sull’inflazione “importata” tramite le materie prime prezzate in dollari. Ciò ha favorito il rallentamento dei prezzi al consumo lo scorso anno e continuerà a farlo nel 2024 e 2025, vista la stabilità dell’euro sul dollaro alla base dello scenario di previsione.

3) Le attese di famiglie e imprese italiane sui prezzi puntano nella direzione di una stabilizzazione dell’inflazione su valori poco positivi. L’indicatore per i consumatori, dopo aver mostrato valori negativi in tutto il 2023, è risalito intorno allo zero nei primi mesi del 2024 (+1 il saldo delle risposte a febbraio, sui 12 mesi). Per le imprese industriali, il profilo di picco-ribasso è simile, ma con la differenza che le attese si mantengono appena positive, fin da metà del 2023 (+4 a marzo 2024).

4) In Italia gli effetti di second round dei precedenti rincari delle commodity sui prezzi domestici finali sono moderati. Infatti, la domanda dei consumatori si è di nuovo ridotta a fine 2023 e, nello scenario previsivo, recupererà poco nel corso del 2024; inoltre, in vari settori dell’industria l’attività produttiva resta debole, limitando le possibilità delle aziende di agire sui prezzi.

Prezzi core vicini al +2%

Negli ultimi dodici mesi la dinamica dei prezzi core (esclusi energia e alimentari) ha registrato un graduale rallentamento, fino ad attestarsi al +2,3% annuo a marzo, un valore dimezzato rispetto al picco di +4,9% nell’aprile 2023. Come atteso, tale frenata è avvenuta con un ritardo di alcuni mesi rispetto alla fine delle pressioni sui prezzi energetici. Si prevede che l’inflazione di fondo continui a frenare (di poco) nel 2024 e resti moderata nel 2025.

Tra i prezzi core in Italia, hanno rallentando anzitutto quelli relativi ai servizi: +3,0% annuo a marzo 2024, da un picco di +4,8% nell’aprile 2023. Tuttavia, i prezzi dei servizi di trasporto, che risentono rapidamente del costo dei carburanti e sono quindi legati al prezzo del petrolio, hanno accelerato di recente (+4,4% a marzo). In moderazione, invece, i prezzi nei servizi ricreativi-culturali (+3,2%, da un picco di +6,9% lo scorso anno) e anche quelli dei servizi relativi all’abitazione (+2,5%).

I prezzi al consumo dei beni industriali hanno rallentato anche di più, in media: +1,1% annuo a marzo, da un picco di +5,5% nel 2023. La frenata ha avuto però intensità differenziate per le varie tipologie di beni: i prezzi dei durevoli sono caduti addirittura in negativo (-0,2%, da +6,6%), mentre quelli dei non durevoli crescono poco (+2,1% da +7,0%).

I prezzi al consumo dei beni hanno seguito la forte frenata mostrata dai corrispondenti prezzi alla produzione per i beni di consumo (+1,0% annuo a febbraio 2024, da +11,2% verso la fine del 2022). Il differenziale tra questi prezzi, al cancello della fabbrica (a monte) e al supermercato (a valle) si è dunque annullato (era molto ampio nel 2023): questo suggerisce una stabilizzazione dei margini nell’attività di distribuzione commerciale al consumatore.

I dati di contabilità trimestrale mostrano che i prezzi sono guidati dai costi sostenuti per gli input. Si registra una significativa moderazione del costo degli input nella manifattura, rispetto al picco nel 3° trimestre 2022 (-5,4% a fine 2023), dopo il forte aumento avutosi da inizio 2021 a causa dei rincari delle commodity e dell’energia (+29,8%). Data tale flessione dei costi, le imprese industriali italiane hanno iniziato a moderare i prezzi di vendita (-3,2% a fine 2023 da fine 2022), invertendo nettamente la tendenza rispetto ai rincari del 2021-2022 (+23,4%). Il risultato è che il mark-up delle imprese manifatturiere, in aggregato, ha pienamente recuperato dopo l’erosione subita a cavallo tra 2021 e 2022: alla fine del 2023 è tornato sui livelli di inizio 2021 (Grafico 20).

La flessione dei prezzi di vendita delle imprese italiane non è uniforme: quelli dei beni strumentali (+0,6% annuo) hanno frenato di più rispetto a quelli dei beni di consumo, mentre i prezzi degli intermedi (-6,1%) e degli energetici (-31,3%) sono in forte riduzione. Queste dinamiche di prezzo suggeriscono che l’andamento dei margini industriali nel 2023 è differenziato tra i vari settori: tendono a recuperare di più quelli posti più a valle, cioè quelli che nel 2022 avevano perso di più.

Grafico Prezzi, costi e mark-up nell'industria italiana - Rapporto CSC primavera 2024

L’energia guida ancora l’inflazione

I prezzi energetici al consumo in Italia (ovvero elettricità e gas per la casa, carburanti per i trasporti) sono andati giù fino a un minimo di -24,7% annuo a dicembre 2023 (picco di +71,1% a ottobre 2022), risalendo poi parzialmente negli ultimi mesi, a -10,8% annuo a marzo 2024. Tale percorso dal massimo al minimo ha impiegato poco più di un anno, come scontato nei precedenti rapporti di previsione, a fronte di un crollo dei prezzi internazionali di gas e petrolio molto rapido. La frenata dei prezzi energetici spiega la gran parte della riduzione dell’inflazione totale fino a fine 2023: il contributo dell’energia è passato a -2,6 punti a dicembre 2023, da un massimo di +7,4 nel 2022, per poi risalire a -1,1 a marzo 2024.

Nel determinare una tale intensità e rapidità dei ribassi al consumatore hanno giocato un ruolo anche gli interventi di policy adottati in Italia per mitigare l’effetto dei rincari.

L’aumento del prezzo del petrolio contribuisce a spiegare la dinamica in risalita dei prezzi energetici nei primi mesi del 2024 (ma conta di più l’effetto base sfavorevole) e peggiora le prospettive per il biennio.

Nello scenario di previsione, nel 2024 il Brent espresso in euro rincara del 4%, mentre il gas scende del 31%. Nel 2025, il petrolio registrerà un piccolo ribasso (-2%), mentre il gas resterà fermo. Con queste ipotesi, nel corso del 2024 la variazione a 12 mesi dei prezzi energetici al consumo in Italia tenderà a risalire ancora, ma restando poco negativa; nel 2025 la dinamica annua di tali prezzi dovrebbe assestarsi sullo zero. Tale profilo favorirà l’avvicinamento tra inflazione totale e core.

I prezzi alimentari hanno frenato in misura marcata, ma la loro dinamica annua non è mai scesa in negativo: +3,1% a marzo 2024, da un picco di +13,2% annuo a fine 2022. A differenza dei prezzi energetici, i primi mesi del 2024 hanno registrato il proseguire del rallentamento. Il loro contributo all’inflazione totale resta positivo, ma molto limitato: +0,6 punti, da +2,4.

In prospettiva, le materie prime alimentari proseguiranno la loro moderazione, sebbene limitata, secondo l’ipotesi dello scenario, sia nella media del 2024 che del 2025 (si veda il par. 7). Perciò, la dinamica dei prezzi al consumo alimentari in Italia dovrebbe continuare a rallentare nel biennio e tendere a normalizzarsi scendendo sotto la soglia del +2,0% annuo.

Inflazione Italia vs Eurozona

Rispetto all’Eurozona (+2,9%), la dinamica dei prezzi core rimane più bassa in Italia. Questo differenziale resta analogo a quello determinatosi nel momento di picco dell’inflazione core a inizio 2023 (+5,7% nell’Eurozona, contro +4,9% in Italia). Ciò riflette il fatto che, in Italia, le imprese hanno prima assorbito maggiormente nei propri margini i rincari delle materie prime e poi li hanno trasferiti a valle in misura minore, rispetto agli altri paesi europei.

In termini di inflazione totale, la BCE a marzo ha stimato quella dell’Area euro a +2,3% nel 2024 e a +2,0% nel 2025. Quindi, la dinamica dei prezzi in Italia dovrebbe risultare sotto quella dell’Area sia nel 2024 (di -0,6 punti), sia nel 2025 (di -0,2 punti). Come già notato nel rapporto di ottobre 2023, per l’inflazione italiana sarebbe già stato appropriato un taglio dei tassi BCE. Il mandato della Banca Centrale, tuttavia, è guardare ai dati aggregati di inflazione nell’intera Eurozona e, quindi, l’inversione di rotta sui tassi arriverà più tardi.

Deflatori più vicini all’inflazione

Nel 2023 è rimasto un divario di mezzo punto, come già nel 2022, tra l’inflazione misurata sui prezzi al consumo (+5,7%) e il deflatore dei consumi delle famiglie (+5,2%). Il motivo del divario tra le due misure dei prezzi nel 2022-2023 sono stati i cambiamenti nelle scelte delle famiglie italiane che, a fronte dei rincari, hanno spostato gli acquisti su beni e servizi e anche forme distributive meno costosi: ciò non viene colto dal NIC (che perciò è risultato più alto), perché calcolato su un paniere di beni fissato a inizio anno, ma è, invece, incluso nel deflatore (che, infatti, è più basso).

Nel 2004, il deflatore dei consumi è previsto al +1,5%, poco sotto l’inflazione e quindi il divario è atteso ridursi molto, come scontato nel rapporto di ottobre 2023. Nel 2025, il deflatore dei consumi salirebbe al +1,7%, restando appena sotto l’inflazione, con un divario “normale” di -0,1.

Nello scenario di previsione, il deflatore del PIL registrerà sia nel 2024 che nel 2025 una dinamica poco superiore a quella del deflatore dei consumi (+1,8% e +1,8%), vicina all’inflazione. I maggiori aumenti dei prezzi di altre componenti della domanda interna (consumi collettivi e, meno, investimenti) nel 2024 spingono su il deflatore del PIL. Mentre nel 2025 è il deflatore degli investimenti che spinge più su quello del PIL, insieme al miglioramento delle ragioni di scambio.

start portlet menu bar

Programmi europei a gestione diretta 2014-2020

Display portlet menu
end portlet menu bar
Dove siamo
Complementary Content
${loading}