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7. Lo scenario internazionale
7.1 Commercio mondiale
In risalita gli scambi mondiali L’attività economica globale si è dimostrata finora resiliente alle tensioni internazionali nell’anno in corso. Nello scenario CSC il PIL mondiale si manterrà su un sentiero di espansione, a ritmi moderati e in lieve decelerazione nel 2025. Il quadro previsivo sconta, infatti, un significativo rallentamento dell’economia USA (più forte di quanto assunto nel rapporto di aprile), non del tutto bilanciato da una migliore dinamica nell’Eurozona e da un consolidamento della crescita nelle economie emergenti (Tabella 4).
È ampio il gap di crescita dell’Eurozona rispetto agli altri due grandi blocchi mondiali. Dalla fine del 2019 (picco pre-pandemia) alla metà del 2024 il PIL dell’Area Euro è aumentato di appena il +3,9% cumulato, rispetto al +10,7% degli Stati Uniti e al +22,8% della Cina (Grafico 25). Anche nell’anno in corso il ritmo di crescita europeo (+0,2% nel 2° trimestre sul 1°) resta nettamente inferiore a quello di USA e Cina (+0,7% entrambi). Il commercio mondiale di beni è tornato in espansione nel 2024 (+1,0% nei primi sette mesi sullo stesso periodo dell’anno precedente), dopo una battuta d’arresto nel 2023 (-1,1%, dato rivisto al rialzo, in linea con quanto stimato nel rapporto dello scorso aprile). Tale dinamica positiva è attesa consolidarsi, tornando sui ritmi medi pre-pandemia alla fine del biennio previsivo. Nel complesso, gli scambi sono visti crescere del +1,6% nel 2024 e del +2,8% nel 2025. Sono favoriti, anche in prospettiva, da una domanda più robusta di beni (e servizi), grazie al rientro dell’inflazione, che sostiene il potere d’acquisto e la fiducia delle famiglie. L’inizio della discesa dei tassi di interesse nelle principali aree, inoltre, permetterà una graduale risalita del credito e una migliore dinamica degli investimenti.
Persistono, tuttavia, fattori che frenano produzione e scambi globali: tassi ancora elevati, prezzi energetici superiori alle quotazioni pre-pandemia, crisi militari regionali in Ucraina e Medio Oriente, crescenti misure protezionistiche ed elevata incertezza nei rapporti multilaterali, alimentata anche dalle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Tali fattori agiscono in modo diseguale tra settori ed aree geografiche. Energia cara, guerra in Ucraina, crisi dell’automotive indeboliscono, in particolare, l’attività industriale in Europa e soprattutto in Germania. In prospettiva sono possibili scenari alternativi a quello qui delineato. In positivo, potrebbero realizzarsi una maggiore tenuta della robusta crescita negli Stati Uniti e una ripartenza più sostenuta dell’economia europea, anche grazie al calo dei tassi in atto.
Viceversa, un’escalation delle tensioni e dei conflitti militari, come sta purtroppo avvenendo in Medio Oriente, insieme a ulteriori interruzioni nelle catene globali di fornitura, costituiscono significativi rischi al ribasso. Elevato il rischio geopolitico Le diverse crisi internazionali si riflettono anche in un nuovo rialzo, negli ultimi mesi, dell’indice di rischio geopolitico globale, che si attesta su valori storicamente elevati (123 rispetto a una media storica di 100; Grafico 26). Inoltre, le difficoltà logistiche nei trasporti internazionali, dovute soprattutto alla perdurante situazione di tensione nel mar Rosso, allungano i tempi di percorrenza e mantengono elevati i noli marittimi lungo le principali tratte rispetto ai livelli del 2023, seppure in moderazione rispetto al picco registrato a luglio 2024 (gli attacchi Houti alle navi sono iniziati nel dicembre 2023)7. Infatti, il costo dei noli per le rotte Asia-Europa e Asia-USA resta molto al di sopra dei livelli del 2023, più che doppio nel caso di quelle atlantiche. Sul relativo contenimento dei costi di trasporto Asia-Europa potrebbe avere influito, e continuare a influire, anche l’anemica domanda europea.
Infine, permane anche nei primi nove mesi del 2024 un maggiore ricorso a livello globale a barriere istituzionali al libero scambio di beni, attraverso l’introduzione di nuove misure protezionistiche, a ritmo più del doppio rispetto a quelle varate prima del 2020. Indicazioni contrastanti provengono dagli indicatori congiunturali. La movimentazione di container è in diffusa crescita nei principali porti mondiali in agosto. Ma la componente ordini esteri del PMI manifatturiero globale è tornata in zona di contrazione (al di sotto di 50, 48,4) nel 3° trimestre, dopo una risalita nel 2° (era da marzo 2022 che non si attestava al di sopra della soglia neutrale).
Dinamiche eterogenee tra paesi La risalita del commercio mondiale di beni nella prima parte del 2024 è il risultato di dinamiche molto diverse nelle principali aree. È stata trainata, dal lato dell’import, dagli acquisti all’estero degli Stati Uniti (primo paese importatore mondiale) e, dal lato dell’export, dalle vendite della Cina (primo esportatore; Grafico 27). Gli scambi europei, dopo una forte caduta nel 2023, appaiono in via di stabilizzazione, ma su livelli inferiori a quelli pre-pandemia, rispecchiando la debolezza della produzione industriale nel Vecchio Continente. In Cina il lieve calo dell’import contrasta con la robusta crescita dell’export, e della stessa attività industriale, segnalando il rafforzarsi di un trend di sostituzione di importazioni: lo spostamento all’interno dei confini nazionali di processi produttivi a monte delle supply chain e, quindi, una minore dipendenza dagli input esteri. Tale trend non si riscontra, invece, nel complesso degli scambi USA ed europei (anche in confronto alle rispettive produzioni industriali).
Segnali di decoupling Evidenze di ridirezionamento e frammentazione degli scambi tra i tre grandi blocchi economici mondiali emergono in modo netto dalle dinamiche dei flussi bilaterali. Particolarmente significativa è la ricomposizione delle importazioni, cioè della domanda di prodotti da paesi esteri. Gli Stati Uniti hanno drasticamente ridotto gli acquisti in Cina, il cui peso sul totale è caduto dal 21,1% nel 2018 al 13,3% nella prima metà del 2024, a seguito dell’introduzione di dazi (su due terzi dell’import dalla Cina) e di altre misure protezionistiche. Ne hanno giovato, in parte, anche i prodotti europei, le cui quote di mercato negli USA sono aumentate di circa 2 punti percentuali, al 18,6% aggregato. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno consolidato il ruolo di mercato più ampio e più dinamico per l’export europeo.La quota di importazioni UE dalla Cina, invece, ha continuato ad aumentare negli anni della pandemia, sia per l’acquisto di alcuni prodotti come i dispositivi medici, sia per una maggiore offerta di beni cinesi, in sovraproduzione ed esclusi dal mercato USA. Solo recentemente tale quota si è ridotta, su livelli ancora molto elevati (20,4% nei primi sette mesi del 2024), mentre è aumentata quella dagli Stati Uniti (al 14,0%). La Cina, infine, ha ridotto gradualmente il peso degli acquisti sia dagli Stati Uniti che dall’Europa, rafforzando invece i legami con alcuni paesi emergenti asiatici (India, Vietnam), sudamericani (Brasile) e la vicina Russia. Data la dinamica anemica del totale dell’import cinese, ciò implica che il mercato cinese non è più un volano di crescita per le vendite europee e statunitensi negli ultimi anni (Grafico 28).
Continua la debolezza degli IDE Gli investimenti diretti esteri influiscono sugli scambi tra paesi, in particolare perché le imprese multinazionali alimentano gli scambi intra-firm, responsabili per una quota non trascurabile (tra un terzo e due terzi) di quelli mondiali. Anche nel 2023 il flusso di capitali esteri investiti nel mondo si è ridotto (-16% rispetto al 2022), confermando il rallentamento in atto dal 2016, con l’eccezione del rimbalzo nel 2021. Nel 2023 i paesi del G20 hanno registrato una forte riduzione dei capitali esteri ricevuti (-40%) e la loro quota sul totale mondiale si è quasi dimezzata, passando da quasi l’80% a poco più della metà. Tra di essi gli Stati Uniti, storicamente primo paese ricettore di capitali esteri, hanno mantenuto la loro quota (25% di quelli mondiali). Al contrario, la Cina, che fino al 2021 era la seconda meta degli IDE mondiali, dal 2022 registra una forte riduzione dei capitali esteri ricevuti (-45% nel 2022 e -78% nel 2023). Secondo le stime OCSE, il calo degli IDE mondiali è proseguito anche nel 1° trimestre 2024 (-5% rispetto al 1° trimestre 2023). Gli stessi Stati Uniti hanno registrato un calo degli IDE ricevuti (-27%), sebbene rimangano su livelli superiori a quelli di medio periodo. È proseguita anche la caduta dei capitali esteri investiti in Cina (-57%). La debolezza degli investimenti globali, riflesso principalmente dell’aumentata incertezza che contraddistingue gli anni dalla pandemia in avanti, e la ridistribuzione delle quote tra i principali gruppi di paesi conferma una ricomposizione geografica in linea con quanto registrato dai dati per gli scambi commerciali.
Scambi di servizi in crescita Gli scambi di servizi si confermano su un sentiero di crescita nel 1° trimestre dell’anno in corso (+8,1% rispetto al 1° trimestre 2023). Il traino maggiore è venuto dal forte aumento dei viaggi (+19,7%), la componente più dinamica soprattutto in Asia e nel Nord America, le due macro-aree in cui il recupero del turismo fino al 2023 non era stato completo. Secondo l’indice di movimentazione dei passeggeri, i viaggi sono cresciuti anche nel 2° e 3° trimestre del 2024. L’espansione degli scambi di servizi ha riguardato, con intensità simile, tutte le principali macro-aree del mondo. Tuttavia, la debolezza dell’attività economica europea si è ripercossa anche sulla contrazione della voce dei trasporti, nonostante l’aumento del costo dei noli, unica componente in riduzione per gli scambi di servizi europei nel 1° trimestre 2024. Segnali positivi per il 2° e il 3° trimestre per questa componente vengono dagli indicatori di trasporto aereo e marittimo a livello globale. Un sostegno alla crescita degli scambi di servizi a livello mondiale potrebbe anche venire dalla graduale riduzione delle barriere che attualmente colpiscono tali attività (soprattutto quelli “intermedi”8).
7.2 USA e FED
Rivista al rialzo la crescita USA Nello scenario del CSC si delinea una crescita del PIL degli Stati Uniti del 2,3% nel 2024, che segue il +2,5% registrato nel 2023, e dell’1,5% nel 2025. Durante l’estate si sono diffusi timori di una possibile recessione in arrivo negli Stati Uniti, dovuti al rilascio di dati macroeconomici che segnalavano un indebolimento congiunturale superiore alle attese, sia nell’attività manifatturiera che nel mercato del lavoro nel 3° trimestre dell’anno in corso. Tali informazioni, pubblicate in una fase di elevata volatilità dei mercati finanziari, hanno ricevuto un’attenzione mediatica particolarmente accentuata. In questo scenario, si assume invece un’ipotesi di soft landing, ovvero che l’economia americana subisca un rallentamento nel 3° (soprattutto) e 4° trimestre del 2024, per tornare a crescere più rapidamente nel 2025, grazie al taglio dei tassi di politica monetaria e alla stabilizzazione dell’inflazione su livelli più contenuti. L’ultimo dato del PIL, relativo al 2° trimestre 2024 (+0,75%), molto superiore alle attese, ha orientato in senso particolarmente positivo il trascinamento nell’anno in corso (a +2,3%). L’inerzia statistica più favorevole spiega interamente la revisione al rialzo delle ipotesi per il 2024 rispetto a quelle dello scorso aprile (+2,2%). Il miglior “acquisito” per il 2024 è dovuto soprattutto alla buona tenuta delle scelte di consumo delle famiglie, in misura minore agli investimenti delle imprese, alla spesa pubblica e alla ricostituzione delle scorte.
Le famiglie hanno goduto a partire dalla seconda metà del 2022 di una crescita dei salari orari (+0,29% la media trimestrale delle variazioni mensili a giugno 2024) stabilmente superiore a quella dell’inflazione core (+0,2% nel 2° trimestre). Le imprese hanno invece potuto usufruire delle riduzioni fiscali introdotte con l’Inflation Reduction Act che hanno in parte smussato gli effetti negativi derivanti dai tassi elevati di politica monetaria. Il PIL USA nel 2° trimestre è cresciuto, infatti, grazie ad un buon contributo dei consumi (+0,5% da +0,3%) e in parte anche degli investimenti (contributo di +0,13% da +0,3%) pur in rallentamento a causa del calo di quelli residenziali (contributo di -0,02%); ha giocato a favore anche la ricostituzione delle scorte (+0,2%), che ha compensato il calo delle esportazioni nette (-0,19%; Grafico 29). Guardando agli ultimi quattro trimestri, la composizione della dinamica positiva (+3,1% tendenziale nel 2° 2024) è analoga: è stata trainata in particolare dai consumi, che hanno contribuito per +1,8% (+0,5% quelli di beni, +1,3% quelli di servizi). D’altra parte, gli investimenti hanno consolidato la crescita osservata a partire dal 1° trimestre del 2023, nonostante il contributo contenuto degli investimenti in costruzioni (+0,2%, +0,5% gli altri investimenti), a cui si aggiunge un accumulo delle scorte (+0,3%). Le esportazioni nette hanno invece contribuito negativamente (-0,3%), come risultante di un miglioramento delle importazioni (-0,7% il contributo al PIL) più che proporzionale rispetto a quello delle esportazioni (+0,4%). Positiva, infine, la spesa pubblica (+0,6%).
Congiuntura USA debole… Nei primi 2 mesi del 3° trimestre del 2024, la produzione industriale ha avuto una dinamica in leggero calo (variazione acquisita di -0,1% trimestrale), per via del forte decremento osservato nella rilevazione di luglio (-0,9% mensile), solo parzialmente recuperato dal rimbalzo di agosto (+0,8%). I dati relativi ai primi 8 mesi del 2024 delineano una riduzione media rispetto ai primi 8 mesi dell’anno precedente di appena -0,2% (Grafico 30).
Gli indicatori congiunturali confermano un profilo di debolezza nell’industria tra luglio e settembre: gli indici dei Direttori degli acquisti di Chicago, ISM manifatturiero e PMI manifattura hanno consolidato i valori recessivi nel corso del 2024, gli ultimi due in particolare in calo e inferiori alle attese rispettivamente nelle ultime cinque e tre rilevazioni. Gli indici sull’attività manifatturiera locale della FED hanno invece offerto indicazioni contrastanti: a settembre sono tornati espansivi quelli di Philadelphia e New York, mentre si sono confermati su valori recessivi quelli di Kansas City e Richmond.
Il mercato del lavoro nel 3° trimestre ha registrato un rallentamento: dopo aver creato 1 milione 584 mila posti di lavoro tra gennaio e giugno (264 mila di media mensile, laddove la soglia considerata espansiva dalla Federal Reserve è di 200 mila), la variazione del numero di dipendenti dei settori non agricoli è stata deludente a luglio (114 mila unità) e in agosto (142 mila). Il tasso di disoccupazione si è stabilizzato al di sopra del 4,0% (4,3% a luglio e 4,2% ad agosto). L’incertezza di politica economica americana misurata dall’EPU Index nel 2° trimestre del 2024 ha registrato un incremento del 14,9% rispetto al 1°, mentre il dato acquisito nel 3° trimestre è in calo marginale di -0,2%. Il dato mensile di agosto 2024 risulta inferiore del 3,2% a quello di luglio. D’altra parte, l’indicatore sembra destinato a peggiorare nel prossimo mese a ridosso delle elezioni presidenziali del 5 novembre.
…ma prospettive in miglioramento Nella seconda metà del 2024, i conti delle famiglie saranno favoriti dalla dinamica dei salari medi, proseguita anche nei primi due mesi del 3° trimestre (+0,31% contro +0,17% di media trimestrale delle variazioni mensili). Tale fenomeno, destinato a continuare anche nei prossimi trimestri, se si considera il progressivo calo delle aspettative di inflazione a breve termine, dovrebbe attenuare il rallentamento del reddito disponibile reale osservato negli ultimi due trimestri. Il buon andamento della fiducia dei consumatori (mediamente in crescita nel 3° trimestre entrambi gli indicatori della University of Michigan e del Conference Board) e del PMI servizi è un ulteriore segnale espansivo. D’altra parte, sono emersi alcuni elementi di tensione che destano preoccupazione sulla tenuta dei consumi nei prossimi mesi: 1) l’extra risparmio che li aveva sostenuti almeno fino al 2023 è stato ormai interamente speso; 2) il tasso di risparmio ha toccato il minimo storico (2,9%) e dovrebbe risalire; 3) sono aumentate le insolvenze sulle carte di credito e sul credito al consumo; 4) le vendite al dettaglio stanno crescendo più dei salari reali, profilo non sostenibile a lungo.
Gli investimenti, soprattutto nel settore delle costruzioni, sono contenuti rispetto alla media storica. L’effetto degli elevati tassi di politica monetaria sulle imprese inizierà ad attenuarsi nel 4° trimestre di quest’anno, dopo il taglio di mezzo punto percentuale a settembre e quello ulteriore atteso entro dicembre. In particolare, ne trarranno beneficio gli investimenti in costruzioni, che nell’ultimo anno e mezzo hanno recuperato solo parte del terreno perso nel 2022 dopo il rialzo dei tassi, come già anticipato dal rialzo dei prezzi immobiliari. Come risultante di tali fattori, il ritmo di crescita annua dell’economia statunitense è ipotizzato in linea con la variazione acquisita nel 2024, e in accelerazione trimestrale nel prossimo anno, soprattutto nella seconda metà, quando l’allentamento dei tassi di politica monetaria inciderà in modo pieno sulle scelte di investimento e consumo. Nel complesso, però, la crescita annua del 2025 risulterà più moderata rispetto al 2024, a causa di un’inerzia statistica meno favorevole di quella che ha accompagnato l’economia USA all’inizio di quest’anno.
FED: iniziato il taglio La FED ha avviato il percorso di riduzione dei tassi ufficiali a settembre 2024, abbassandoli di mezzo punto, nella forchetta 4,75-5,00%. Questo primo taglio arriva dopo 13 mesi di tassi fermi a 5,25-5,50%, in attesa di vedere gli effetti sull’inflazione dei rialzi del 2022-2023. Il tasso effettivo FED si è subito portato a 4,83% (da 5,33% prima del taglio, Grafico 32).
L’inflazione USA si è ridotta verso valori più moderati negli ultimi mesi (+2,5% annuo in agosto, rispetto al picco del giugno 2022 a +9,1%), sebbene ancora sopra l’obiettivo del +2,0%. Inoltre, la misura core resta più alta (+3,2%): i prezzi al consumo dell’energia (-4,0%) tengono più basso l’indice generale rispetto alla core. Ma il proseguire della crescita americana continua a generare pressioni domestiche sui prezzi. Mentre le retribuzioni nominali nel settore privato, in lenta frenata (+3,9% annuo a giugno 2024), crescono tuttora più dei prezzi. Le aspettative di inflazione a un anno dei mercati si stanno gradualmente moderando (a settembre +2,0% in media, da +2,3% di giugno).
Per quanto la disoccupazione USA stia proseguendo in un lieve e graduale aumento, dopo il minimo toccato a metà 2023, resta comunque perfettamente in linea con il livello di lungo termine, che la stima FED di settembre ha confermato al 4,2%. La Banca Centrale, infatti, la giudica bassa, così come considera ancora solida la crescita americana, nonostante il periodo di tassi alti. A settembre, il comunicato FED non indica, però, un sentiero prefissato di ulteriori tagli del tasso ufficiale: i possibili nuovi aggiustamenti al ribasso restano condizionati ai prossimi dati su inflazione ed economia reale. La FED, in particolare, riconosce che l’inflazione è ancora abbastanza elevata rispetto all’obiettivo: questo la rende prudente nel decidere nuovi tagli.
Le informazioni diffuse dalla FED a settembre mostrano che 17 su 19 membri del FOMC (Federal Open Market Committee), non l’unanimità, intendono abbassare ancora i tassi entro la fine del 2024; una maggioranza si dovrebbe formare su un altro mezzo punto, al 4,25-4,50%. Per il 2025, tutti i membri del FOMC intendono tagliare ancora i tassi, ma c’è ampia dispersione sul punto di arrivo: il consenso si dovrebbe formare su un totale di un punto di tagli entro fine anno (al 3,25-3,50%).
Le attese dei mercati (stime CME basate sui future), piuttosto volatili di recente, indicano ora come sentiero più probabile che i tassi FED scendano a 4,00-4,25% entro dicembre 2024 (cioè tagli per altri tre quarti di punto). Nel 2025 la FED taglierebbe i tassi fino a 2,75-3,00% a dicembre (ovvero di un punto e un quarto). I mercati quindi scommettono su un taglio di 2,5 punti complessivi, più ampio rispetto alle preferenze dichiarate dai membri del FOMC (2,0 punti).
Lo scenario CSC, seguendo queste indicazioni, ipotizza che la FED continuerà a tagliare i tassi nella parte finale del 2024 e poi nel corso del 2025 (come già assunto nel rapporto di aprile 2024). Si arriverebbe a 4,25% a fine 2024 e poi a 3,00% a fine 2025 (un taglio di 2,50 punti complessivi). La stima del livello di lungo periodo del tasso nominale USA è stata alzata al 2,90% dal FOMC a settembre. Il tasso effettivo FED, dopo il primo taglio, a settembre 2024 supera tale valore ancora di +1,9 punti. Nella parte finale del 2024, quindi, la politica monetaria dovrebbe continuare a esercitare un freno all’inflazione e all’economia americana, a parità di altri fattori. Ma la stance monetaria restrittiva per l’economia sarà progressivamente alleggerita dai prossimi tagli, tanto che alla fine del 2025 il tasso FED effettivo si riporterà in linea con la soglia “neutrale” (-0,1 punti).
Resta una probabilità significativa che la FED, invece, possa decidere di seguire un percorso di riduzione dei tassi più graduale di quanto si ipotizza al momento. Ciò per evitare di compromettere l’attesa discesa dell’inflazione USA al +2,0%. Questo rappresenta un rischio al ribasso per l’economia americana e per quella europea, specie se inducesse la BCE, per timore di ripercussioni sull’euro, a frenare anch’essa il taglio dei tassi. Il rischio maggiore è per l’Eurozona, dove già oggi la crescita è debole, mentre la dinamica dell’economia USA è molto più robusta.
La direzione seguita dal tasso FED e da quello BCE, ancora una volta, è analoga nella fase di taglio appena avviata, come nella precedente fase di rialzo. La novità è che la BCE, stavolta, ha anticipato la Banca Centrale americana nelle decisioni sui tassi, mentre nella fase di rialzo aveva agito chiaramente da follower, rispetto al leader che era stata la FED. Il tasso ufficiale americano resta stabilmente più alto di quello europeo, ma la distanza è decrescente: in media è stata di +1,72 punti nel 2023 (tasso effettivo FED meno tasso BCE sui depositi) ed era pari a +1,33 a settembre 2024. Nello scenario CSC, è stimata a +1,45 nell’intero 2024 e +1,02 nel 2025. La riduzione attesa di questo differenziale a favore degli USA ha certamente contribuito a stabilizzare il cambio tra dollaro ed euro; in precedenza invece, nel 2022, i rialzi FED dei tassi e il ritardo della BCE nel fare altrettanto avevano condotto a una forte svalutazione della divisa europea.
Bilancio FED con meno titoli Nel comunicato di settembre, la FED ha confermato il piano di decumulo dei titoli immessi nel suo bilancio con le misure espansive degli anni passati. Come ormai consueto, ciò viene ottenuto tramite il reinvestimento solo parziale in nuovi titoli USA delle somme incassate dai bond che giungono a scadenza, mentre non sono previste vendite di titoli in portafoglio. Il risultato netto è di -60 miliardi di dollari di titoli al mese, in bilancio. La domanda FED continua a essere presente sui mercati di titoli USA, grazie a questi reinvestimenti parziali. Lo stock FED di titoli si sta quindi riducendo rapidamente: -771 miliardi in titoli negli ultimi 12 mesi. Il portafoglio resta comunque decisamente ampio: a settembre 2024 include ancora 4.384 miliardi di dollari in Treasury e 2.299 in Mortgage Backed Security, per un totale di 6.683 miliardi. La graduale riduzione dello stock FED di titoli, che significa meno domanda sul mercato a parità di offerta, potrebbe teoricamente avere un effetto al rialzo sui rendimenti di medio-lungo termine negli USA.
Tuttavia, in un mutato contesto, che ora è di attese di forte taglio dei tassi ufficiali a breve, i mercati sono guidati dalle mosse FED sui tassi, non da quelle sui titoli, che sono lette come una “normalizzazione” che non pare interagire con la direzione di policy corrente. Perciò, il Treasury decennale negli ultimi mesi ha mostrato un significativo trend di discesa: 3,57% a settembre 2024, da un picco di 4,50% in aprile (-0,93 punti), un calo più ampio finora di quello del tasso di policy. Eurozona e BCE Crescita moderata per l’Area Euro nel biennio 2024-2025 Il CSC ipotizza una crescita del PIL della Zona Euro di +0,7% nel 2024, dopo il +0,5% osservato nel 2023, e di +1,0% nel 2025. Nei primi due trimestri del 2024 l’economia dell’Area Euro ha ripreso un certo slancio, per quanto contenuto (+0,3% nel 1°, +0,2% nel 2°), dopo l’andamento piatto osservato tra il 4° trimestre del 2022 e la fine del 2023. Lo scorso anno, in media, si è registrata una timida crescita, quasi interamente ascrivibile all’eredità statistica del 2022 (Grafico 34).
La dinamica comunque moderata osservata nella prima metà del 2024 delinea una crescita acquisita per l’anno in corso del +0,6%, prevalentemente sostenuta dai consumi collettivi (+0,1% nel 1° trimestre e +0,6% nel 2°) e dalle esportazioni nette (contributo di +0,8% nel 1° trimestre e del +0,5% nel 2°), che hanno compensato il crollo degli investimenti (-1,8% nel 1° trimestre e -2,2% nel 2°) e la battuta d’arresto della spesa delle famiglie (-0,1% nel 2° trimestre). L’eterogeneità registrata tra i principali paesi dell’Area Euro contrappone la debole dinamica dell’economia tedesca a quella più sostenuta di Francia ed Italia e a quella decisamente più robusta della Spagna (Grafico 35). La lieve caduta del PIL in Germania nel 2° trimestre 2024 (-0,1% da +0,2% nel 1°, che seguiva il forte calo di fine 2023, -0,4%), conferma la situazione di fragilità che sta attraversando il paese, la cui economia nel 2023 si è contratta in media di -0,1%. La dinamica tedesca dei primi sei mesi del 2024 è stata penalizzata dal contributo negativo della domanda interna, in particolare degli investimenti (-2,2% nel 2°), ma anche della spesa delle famiglie (-0,2%), e da quello nullo della domanda estera.
In Francia il PIL ha rallentato tra il 1° (+0,3%) e il 2° trimestre (+0,2%) del 2024, dopo la buona crescita registrata nell’ultimo trimestre del 2023 (+0,4%). Come in Germania, ma in misura minore, parte del rallentamento è ascrivibile al calo degli investimenti (-0,5% nel 1° trimestre, -0,4% nel 2°), mentre i consumi privati hanno inciso debolmente (+0,1% nel 2°). La congiuntura è stata dunque sostenuta dai consumi collettivi (+0,4% e contributo di +0,1%) e dalle esportazioni nette (+0,1%). In Spagna, al contrario, l’ottima performance dell’economia, cresciuta in media d’anno di +2,5% nel 2023, è ulteriormente migliorata nei primi sei mesi del 2024 (+0,8% nel 1° trimestre e +0,8% nel 2°). Beneficia di una dinamica interna vigorosa, grazie alla buona tenuta dei consumi delle famiglie (+0,3% nel 2°), ma soprattutto a un forte apporto degli investimenti (+0,9% che ha contributo al PIL per +0,2% nel 2°, dopo il +2,6% nel 1°).
La congiuntura europea non decolla In termini congiunturali, nel 3° trimestre sembra delinearsi un andamento ancora debole dell’economia dell’Area Euro, ma non una recessione. Il clima di fiducia misurato dall’Economic Sentiment Indicator è tornato a migliorare, seppur moderatamente (da 95,9 punti di media a giugno a 96,2 a settembre, quando il dato mensile è stato di poco inferiore a quello di agosto), nonostante il calo in Germania (89,3 punti a settembre, il minimo da giugno 2024) e Italia (99,8 punti da 100,0). È migliorato invece in Spagna (105,6 da 102,7), mentre in Francia è rimasto invariato (96,9). L’attività economica nell’industria a luglio è scesa di un ulteriore -0,3%, dopo il calo di -0,4% osservato in media nel 2° trimestre. La variazione acquisita dell’indice di produzione industriale del 3° trimestre è quindi negativa (-0,6%). In particolare, la produzione di luglio è stata spinta verso il basso dalla flessione tedesca (-3,0%, dopo il recupero osservato nel 2° trimestre: +2,0%) e in misura minore delle altre grandi economie dell’Area: -0,7% la Spagna (-0,6% di acquisito nel 3° trimestre), -0,5% la Francia (-0,7% di acquisito), oltre al già citato -0,9% dell’Italia (-0,4% di acquisito).
Le prospettive dell’industria sul 3° trimestre rimangono ancora piuttosto deboli: l’indice di fiducia delle imprese operanti nel settore industriale ha confermato valori recessivi per il 19° mese consecutivo, toccando il punto più basso (-10,9 punti) da agosto 2020. Ciò ancora una volta soprattutto per il contributo molto sfavorevole della Germania (-22,9 punti), ma sono stati negativi in misura minore anche quelli di Francia (-7,9), Spagna (-0,7) e Italia (-8,4). Il PMI manifattura conferma un’indicazione di contrazione nel 3° trimestre, ed è risultato ulteriormente in calo ad ottobre. La fiducia delle imprese di costruzione continua a scendere (17° mese consecutivo), ma meno (-5,8 punti a settembre da -6,3 di agosto). In questo caso, il quadro di settembre presenta una maggiore eterogeneità tra paesi: è negativo per Germania (-15,4 punti da -16,4) e Francia (-11,2 come ad agosto), positivo per Spagna (7,1 da 1,2) e Italia (2,5 da 3,0). Rafforzamento atteso nel 2025 Nella seconda metà del 2024, i consumi delle famiglie saranno favoriti dal rientro dell’inflazione, proseguito anche nei primi due mesi del 3° trimestre, anche se con notevoli differenze tra Paesi (+2,0% in Germania, +2,4% in Spagna, +2,2% in Francia, +1,2% in Italia; Grafico 36). La fiducia dei consumatori è migliorata nel 3° trimestre, raggiungendo il valore massimo da marzo 2022, mentre quella delle imprese dei servizi, pur scendendo su base trimestrale, ha evidenziato un significativo recupero a settembre rispetto al calo di luglio. Il PMI servizi, a sua volta, si è confermato su valori espansivi, per quanto in leggero calo rispetto a giugno. Nel primo semestre, le ore lavorate dei principali paesi europei sono cresciute, ma nei principali paesi dell’Area le retribuzioni reali pro-capite hanno registrato un rallentamento che nei prossimi trimestri del biennio di previsione verrà smussato dall’ulteriore discesa dell’inflazione, favorendo il recupero del reddito disponibile reale e la spesa delle famiglie. Gli investimenti sono in calo anche per le condizioni restrittive di accesso al credito.
L’effetto degli elevati tassi di politica monetaria sulle imprese inizierà ad attenuarsi dal 4° trimestre di quest’anno, dopo il taglio da parte della BCE e quelli ulteriori attesi (si veda più avanti il paragrafo sulla politica monetaria della BCE). D’altra parte, il PNRR e gli incentivi attivati dai singoli paesi europei nel prossimo biennio potranno soltanto attenuare gli effetti negativi di difficoltà strutturali dell’economia dell’Area, ad esempio quello del difficile riposizionamento nel settore dell’automotive. Come risultante di tali fattori, il ritmo di crescita dell’economia europea è ipotizzato rallentare nel 3° e 4° trimestre del 2024, per recuperare slancio in particolare nel secondo semestre del prossimo anno, grazie all’allentamento della politica monetaria che esplicherà in modo più incisivo i suoi effetti, al rafforzamento della domanda globale, al recupero del potere d’acquisto delle famiglie. BCE: tagli prudenti dei tassi La BCE a ottobre 2024 ha deciso il terzo taglio dei tassi ufficiali, dopo il primo a giugno. I tassi erano rimasti fermi per 9 mesi a 4,50% sui prestiti alle banche e 4,00% sui loro depositi. L’allentamento della policy monetaria nell’Eurozona, finora, è pari a -0,75 punti complessivi. Il tasso sui depositi, che dal mese scorso è diventato il riferimento della BCE come preannunciato a marzo, è sceso a 3,25%; quello sui prestiti, a 3,40%, è a una distanza fissa da quello sui depositi, che è stata ristretta dalla BCE a +0,15 punti (dagli +0,50 precedenti); e il tasso sui “prestiti marginali” è a una distanza di 0,25 da quello sui prestiti (a 3,65%). L’Euribor, in tale schema, dovrebbe restare ancor più ancorato al tasso sui depositi, sulla parte bassa del “corridoio” dei tassi ufficiali (Grafico 37).
La BCE ha avviato i tagli grazie al recente calo dell’inflazione nell’Eurozona, più vicina all’obiettivo del +2,0%: in agosto è scesa a +2,2%, da +2,6% a maggio (picco al +10,6% a ottobre 2022). Ciò è stato favorito dalla discesa in agosto dei prezzi energetici al consumo, sostenuta dal ribasso delle quotazioni del petrolio. La dinamica core dei prezzi, cioè al netto di energia e alimentari, invece, non mostra rallentamenti significativi negli ultimi mesi e resta ancora troppo elevata (+2,8%): è sopra quella totale di oltre mezzo punto, dopo aver incorporato (specie nei prezzi dei servizi) gli effetti di secondo round dei rincari energetici, che si esauriscono molto tempo dopo che lo shock è stato riassorbito.
Le tre mosse della BCE sono state favorite anche dalla recente stabilità delle aspettative di inflazione nell’Eurozona, poco sopra la soglia del +2%. Ciò è stato possibile grazie al rientro dei prezzi energetici rispetto ai picchi del 2022 e alla bassa dinamica dell’economia europea. Un risultato, questa stabilità, che la BCE ha sempre giudicato cruciale, ma che sembra ancora fragile, vista la recente risalita del prezzo del gas in Europa che potrebbe riflettersi sulle attese di inflazione di mercati, famiglie e imprese.
Il cambio dell’euro rispetto al dollaro ha oscillato fin dal 2023 senza un particolare trend. Da giugno 2024, in coincidenza con l’avvio dei tagli BCE, si nota un limitato rafforzamento dell’euro. Ciò va a favore della stabilizzazione della dinamica dei prezzi al consumo nell’Eurozona. Se l’euro avesse, invece, proseguito la svalutazione del 2022 rispetto al dollaro USA, questo avrebbe aumentato i prezzi in euro delle commodity quotate in dollari, alimentando quindi l’inflazione importata nell’area.
Dopo i recenti tagli, viste le stime di vari istituti sul tasso “neutrale” nell’Eurozona (intorno al 2%), la policy è ancora in territorio restrittivo. Il comunicato BCE di ottobre conferma che le “condizioni di finanziamento restano restrittive”. I tassi continuano quindi a indebolire la dinamica dell’economia, tramite l’impatto restrittivo su consumi e investimenti, che agisce attraverso il canale del credito bancario.
Il tasso di mercato Euribor, parametro di riferimento di molti finanziamenti di consumi e investimenti in Italia, il cui calo aveva correttamente anticipato il taglio dei tassi ufficiali, si mantiene ora in linea con il tasso BCE sui depositi: 3,21% a metà ottobre (da 3,81% a maggio). La flessione dell’Euribor si trasferirà, nei prossimi mesi, al costo del credito, così come il precedente rialzo è stato incorporato interamente nei tassi pagati da famiglie e imprese. Questo dovrebbe favorire una ripresa del flusso di prestiti all’economia reale.
A ottobre, la Banca centrale ha confermato che le decisioni sui tassi saranno prese di seduta in seduta in base ai nuovi dati disponibili sull’economia, senza un sentiero predefinito. La BCE considera, comunque, che il livello dei tassi vada mantenuto sufficientemente restrittivo, per il tempo necessario, per contribuire alla stabilizzazione dell’inflazione al +2,0%. Ovvero, la fase di tagli sarà prudente, come già lo sono stati i primi tre (solo -0,25 ciascuno).
La decelerazione negli ultimi mesi dei prezzi nell’Eurozona ha convinto i mercati finanziari che il taglio dei tassi sarà significativo. I future sull’Euribor, infatti, indicano il proseguire dell’allentamento: il tasso scenderebbe fino a 2,91% a dicembre 2024 e a 1,92% a fine 2025. Questo profilo è coerente con un taglio totale di un punto quest’anno (compreso il -0,75 già deciso) e di un punto il prossimo.
Lo scenario di previsione CSC segue queste indicazioni: sarà deciso un altro taglio dei tassi ufficiali a dicembre 2024, ipotizzato di un quarto di punto, portando il tasso BCE sui depositi al 3,00%; nel 2025 seguiranno altri 4 tagli, fino al 2,00%, per un taglio complessivo di 2 punti. A tale livello, la policy monetaria diventerà sostanzialmente neutrale a fine 2025.
Rispetto a questo scenario, non è da escludere il rischio che una maggiore persistenza dell’inflazione europea oltre la soglia del +2,0% possa indurre la BCE a rallentare più del previsto la discesa dei tassi, prolungando la stretta monetaria; per l’economia italiana (dove l’inflazione è da tempo ben sotto la soglia) ciò farebbe mancare l’atteso stimolo alla domanda interna.
Meno titoli e prestiti nel bilancio BCE La BCE sta lasciando che l’enorme ammontare di bond accumulati nel suo bilancio si riduca gradualmente: 4.419 miliardi di euro nel settembre 2024, da 4.942 a inizio 2023. Nell’ambito dei titoli del programma APP, quelli pubblici sono scesi a 2.206 miliardi (da 2.587), quelli di imprese europee a 301, i covered bond a 260, gli ABS a 8; mentre lo stock di titoli acquistati col Pandemic Programme si è ridotto di poco (1.641 miliardi, da 1.683).
La Banca Centrale ha confermato a ottobre la fine dei reinvestimenti di titoli in scadenza acquistati con il programma APP; quindi, tale stock sta diminuendo abbastanza rapidamente (-24 miliardi in media al mese nella seconda metà del 2024). Riguardo al programma PEPP, nella seconda metà del 2024 la BCE sta reinvestendo solo parzialmente le somme incassate da quelli scaduti, lasciando ridurre lo stock di 7,5 miliardi al mese; ha già deciso che da inizio 2025 smetterà del tutto di reinvestire i titoli PEPP in scadenza. Pertanto, lo stock di titoli PEPP, solo da 4 mesi, ha iniziato a ridursi; dal 2025, la domanda BCE non sarà più presente sul mercato europeo dei titoli.
Sullo strumento dei titoli, dunque, la BCE sta accelerando la fase di “normalizzazione” rispetto all’iper-espansione monetaria precedente, come la FED. La riduzione e poi scomparsa della domanda BCE di titoli tenderebbe a ridurne i prezzi e aumentare i tassi di mercato di medio-lungo termine nell’Eurozona. I tassi sovrani, tuttavia, guidati dal contestuale taglio dei tassi BCE a breve, hanno imboccato un sentiero discendente negli ultimi mesi: il BTP decennale italiano a settembre è diminuito a 3,58% (da 3,92% a giugno), il Bund a 2,22% (da 2,49%); lo spread BTP-Bund è rimasto abbastanza stabile nel corso del 2024 (+133), molto più basso rispetto al picco del 2022.
Il terzo strumento che la BCE ha usato nel recente passato, per la stabilità finanziaria e la trasmissione della policy monetaria, sono i prestiti alle banche europee. A fine 2024 resta in campo solo l’ultima operazione “straordinaria” TLTRO-3, della durata di 3 anni, tramite cui la BCE aveva prestato ampie risorse agli istituti fino al 2021. Il suo ammontare, nel frattempo, è stato assottigliato dai rimborsi anticipati delle banche: i prestiti triennali residui sono pari ad appena 29 miliardi. Includendo le operazioni ordinarie a breve termine, il totale è di 40 miliardi.
L’unica TLTRO-3 residua arriverà a scadenza a dicembre 2024. Il venir meno di queste risorse BCE potrebbe creare qualche difficoltà nella raccolta bancaria, come già per le TLTRO-3 scadute negli scorsi trimestri. In Italia, comunque, l’indagine BLS nell’ultimo anno non ha più segnalato problemi per le banche sul fronte della raccolta. La BCE nel comunicato di ottobre ha ricordato questi prossimi sviluppi, per segnalare ai mercati che la situazione è monitorata attentamente. Al momento, comunque, non sono in vista nuove misure sul fronte dei prestiti alle banche. Lasciare che lo stock di tali prestiti si riduca, senza nuove mosse, può essere considerata una “normalizzazione” (come per i titoli) rispetto alle misure monetarie “iper-espansive” varate anni fa (fin dallo shock Lehman del 2008-2009) per sostenere l’economia europea.
7.4 Commodity
Prezzo del petrolio più basso Il prezzo del petrolio Brent ha cominciato a calare dall’estate 2024 (era a 85 dollari al barile a luglio), dopo varie oscillazioni da inizio anno (Grafico 39). A settembre 2024 è arrivato a 74 dollari in media, un livello sopra a quello storico “di equilibrio” (60-70 dollari) per il mercato mondiale, ma molto più basso rispetto al picco di due anni fa (123 dollari a giugno 2022).
Il ribasso recente avviene nonostante il proseguire della guerra Russia-Ucraina e l’estensione di quella Israele-Palestina, oltre che le persistenti tensioni per il traffico merci nel canale di Suez. La Russia resta uno dei principali produttori di petrolio (10,3% del totale mondiale nella prima metà del 2024) e attraverso Suez passava una quota elevata dell’export di petrolio dal Medio Oriente. L’OPEC+, che include Arabia Saudita e vari paesi non-OPEC, come la Russia, a settembre 2024 ha ribadito la decisione di contenere la produzione di greggio per quest’anno (ma poi lasciarla crescere nel prossimo), stabilendo dei nuovi limiti mensili alla estrazione dei singoli paesi membri, con l’obiettivo di stabilizzare il mercato petrolifero mondiale. Le quotazioni, infatti, sono guidate dal mercato fisico del petrolio, nel quale si è registrato dalla primavera 2024 un (temporaneo) accumulo di scorte di greggio nei paesi OCSE, che ad agosto sono oltre i livelli del 2023. Un livello poco sotto a quello pre-pandemia, che indica una relativa abbondanza, spiegando il calo recente del prezzo. L’OPEC+ mira, nel 2024, ad attenuare tali ribassi.
L’ultimo scenario della Energy Information Administration (EIA) considera appunto solo temporanea la recente flessione del prezzo. Ne prevede un limitato aumento dagli ultimi mesi del 2024 fino ad aprile 2025 (a 85 dollari), seguito poi da una fase di stabilità / lieve flessione entro fine 2025. La quotazione sarebbe così a 82 dollari a fine 2024 e 83 a fine 2025. Lo scenario di previsione CSC si basa su tale indicazione e ipotizza quindi che il Brent si attesti in media a 83 dollari nel 2024 (stessa media del 2023) e poi a 84 nel 2025. Si conferma quindi un periodo di tre anni di prezzi oltre quota 80. Rispetto allo scenario di aprile, ciò comporta una piccola revisione al ribasso nel 2024 (-4 dollari) e nel 2025 (-1). Rispetto a tale ipotesi, restano rischi di un aumento delle quotazioni, connessi ai focolai presenti sullo scenario globale (Suez, Russia, Medio Oriente).
Il profilo di moderazione del prezzo ipotizzato nel corso del prossimo anno è basato sull’attesa che, nel 2025, la produzione recuperi sulla domanda mondiale e il mercato fisico torni ben rifornito.
Infatti, nell’intero 2024, secondo le stime EIA, si registrerà una crescita della domanda mondiale (+0,9 mbg), superiore a quella dell’offerta (+0,3 mbg). L’estrazione quindi sarà sotto i consumi, per cui sul mercato mondiale, nella media dell’anno, ci sarà scarsità (-0,9 mbg) e una moderazione delle scorte di greggio entro fine anno (che oggi sono temporaneamente alte). L’aumento dell’offerta verrà soprattutto dagli USA (+0,6 mbg), mentre l’estrazione diminuisce nei paesi OPEC (-0,4) e in Russia (-0,4). L’aumento dei consumi sarà concentrato nei paesi non-OCSE (+1,0), mentre tra gli avanzati in aggregato il consumo sarà stabile.
Nel 2025, si prevede che i consumi accelerino la crescita (+1,5 mbg), ma si avrebbe anche un balzo dell’estrazione (+2,4 mbg). La quale sarebbe stabile in Russia, ma risalirebbe infine nell’OPEC (+0,8) e continuerebbe a crescere negli USA (+0,6 mbg). Questa risalita attesa dell’offerta è cruciale per la prevista inversione di tendenza, lievemente al ribasso, dei prezzi da metà 2025. La crescita della domanda resterebbe trainata dagli emergenti (+1,3), ma con il contributo degli avanzati (+0,3).
Il prezzo, comunque, resta anche nel prossimo anno storicamente elevato. A tale maggior prezzo rispetto ai valori storici contribuisce la complessa “transizione” post-2022, con i paesi occidentali che tendono a non acquistare più petrolio russo, che è venduto soprattutto ad altri paesi asiatici.
Prezzo del gas in aumento Il prezzo del gas in Europa è stato pari a 36 euro/mwh nella media di settembre 2024, dopo il balzo registrato in agosto. Si tratta di un significativo rincaro rispetto ai valori di inizio anno (26 euro a febbraio). Lo scenario CSC si basa su un’ipotesi per il gas in linea con le indicazioni dei future sul TTF: 38 euro/mwh a fine 2024 e 37 a fine 2025. Si tratta di livelli sostanzialmente stabili rispetto ai valori attuali. In tale scenario, il prezzo TTF si assesterà a 33 euro/mwh in media nel 2024 (da 41 euro nel 2023) e a 37 nel 2025. Rispetto allo scenario di aprile, ciò comporta una revisione al rialzo per il 2024 (+5 euro), ancor più marcata per il 2025 (+9).
Il prezzo del gas europeo (Grafico 39) resta comunque moderato rispetto ai picchi del 2022 (236 in agosto). Il proseguire dei conflitti in Ucraina e Israele non sembra avere un impatto sui prezzi drastico come nel 2022, ma può aver contato in alcuni momenti (la controffensiva Ucraina nell’agosto 2024 ha coinciso con il balzo nei prezzi). La volatilità giornaliera sì è attenuata nel 2024, rispetto alle ampie variazioni del 2022-2023. I timori di scarsità in termini di volumi di gas in Europa restano molto più moderati rispetto al 2022. L’accumulazione di gas negli stock nella prima parte del 2024 è stata maggiore in Italia rispetto al 2023 (1,4 mmc, da 1,2). Inoltre, in molti paesi europei i consumi complessivi di gas, per famiglie e imprese, continuano a diminuire: in Italia -1,6 mmc nei primi sette mesi del 2024 dal 2023. Questo limita il fabbisogno di importazioni (-2,5 mmc in Italia nel 2024).
Le quotazioni, però, sono molto più alte dei livelli pre-Covid: nel 2019 il prezzo del gas europeo era a 14 euro, oggi siamo su valori più che doppi. L’import di gas russo in Europa è stato ridotto da tempo: in Italia, Tarvisio conta nei primi 7 mesi del 2024 per il 9,8% del totale, un po’ più del 2023, dal 40,0% nel 2022. È stato rimpiazzato da altre forniture: Mazara del Vallo arriva al 35,4% (Nord Africa), Melendugno al 17,2% (Azerbaigian), Cavarzere al 15%, il GNL a Piombino al 5,2%. Mentre nessun contributo è venuto, alla fine, dalla produzione domestica di gas. Questa “transizione”, basata anche sul GNL, più costoso, tiene alto il prezzo del gas in Europa. Il maggior ricorso a paesi fornitori di gas politicamente instabili (es. Algeria) tiene alti i rischi.
Il prezzo europeo, inoltre, si mantiene in modo persistente più alto di quello americano: quasi 5 volte in più nei primi otto mesi del 2024. Il prezzo del gas negli USA si è ridotto marginalmente negli ultimi mesi e anche rispetto ai valori dello scorso anno (2,09 dollari/mmbtu nel 2024, da 2,45 nel 2023). Nell’agosto 2024 è più basso rispetto allo stesso mese del 2019 (-10,5%), mentre in Europa accade il contrario. La separazione tra i due mercati tende a diminuire grazie al gas trasportato tramite navi dagli USA all’Europa (GNL, 12,1 mmc di export americano stimato nel 2024, da 6,5 nel 2020, dati EIA), ma d’altra parte i costi di trasporto marittimo restano in tensione e annullano tale effetto favorevole. Perciò, è evidente l’impatto al ribasso sul prezzo negli USA dovuto alla crescente produzione locale (103,4 mmc, da 92,4), mentre nessun vantaggio sui prezzi arriva all’Europa.
Commodity care Tra i prezzi delle commodity non energetiche, gli alimentari proseguono il calo nel 2024 (-8,6% tendenziale in agosto, prezzi in dollari), mentre i metalli registrano un lieve rincaro (+3,9%; Grafico 40). Tra i metalli c’è grande variabilità, con un ribasso della quotazione del ferro (-9,3%) sebbene tra ampie oscillazioni, opposto al rialzo registrato dal rame (+7,5%) e dall’alluminio (+9,7%). Tra gli alimentari, si registra invece un ribasso generalizzato per i prezzi dei cereali (grano -20,6%, riso -9,5%), ma anche un’impennata dei prezzi delle materie prime per le bevande (cacao +98,8%, caffè +40,0%). Le flessioni dei prezzi sembrano legate alla frenata della crescita in varie regioni, come l’Eurozona, mentre i rincari dipendono per lo più da problemi specifici nell’offerta mondiale di alcune materie prime.
In generale, le quotazioni delle materie prime restano alte rispetto ai livelli pre-Covid: metalli +36,1% nel 2024 rispetto allo stesso mese del 2019, alimentari +31,4%. Il 2024 è il quarto anno consecutivo con prezzi molto alti, dato che i rialzi scaturiti a fine 2020-inizio 2021 dalle tensioni legate alla pandemia, e poi nel 2022 dalle spinte innescate dalla guerra Russia-Ucraina, non sono stati riassorbiti. Ciò crea un aggravio di costi per imprese e famiglie. L’ultimo scenario della Banca mondiale (aprile) prevede che la flessione delle quotazioni alimentari prosegua nell’intero 2024 (-5,5%) e poi nel 2025 (-3,9%). Per i metalli, viceversa, si prevede un moderato rincaro, in media (+0,9% quest’anno e +1,5% il prossimo). Quindi, mentre per gli alimentari i prezzi resterebbero alti ma un po’ più moderati, i prezzi dei metalli sarebbero alti per il quinto anno e su valori ancora più elevati.
7.5 Emergenti
Rivista in leggero rialzo la crescita dei principali paesi emergenti. Nel 2023, la crescita complessiva si è attestata al +4,4% ed è ipotizzata al +4,3% e al +4,4% rispettivamente nel 2024 e 2025. Sarà lievemente più elevata nel 2024 rispetto alle attese contenute nello scenario di aprile, grazie a migliori performance per alcune economie, tra cui Argentina, Turchia, Polonia e Russia. Se però si guarda al tasso di crescita medio delle principali cinque economie emergenti nel periodo 2024-2025, questo resta generalmente in rallentamento rispetto al 2023 (Grafico 41).
I contributi di Cina e India restano preponderanti nel determinare la crescita degli emergenti nel 2024 (con contributi che pesano rispettivamente il 38% e il 21% del PIL totale degli emergenti, a parità di potere di acquisto). Tra l’altro, la quota complessiva di PIL dei paesi emergenti sul PIL mondiale continua a crescere: dal 58,2% del 2023, è attesa salire al 59,1% nel 2024 e al 59,7% nel 2025. In particolare, il gruppo dei 10 paesi “BRICS+”11, sta aumentando sempre più la sua rilevanza economica: nel 2024 dovrebbe raggiungere il 36,7% del PIL mondiale e tale valore potrebbe salire al 38,8% se la Turchia sarà accettata nel “club” a seguito della richiesta formale di adesione di inizio settembre12.
L’esposizione del Made in Italy nei mercati emergenti I mercati emergenti continuano ad acquisire un’importanza crescente nel panorama globale rappresentando una quota sempre più significativa anche della domanda mondiale. Questa crescita rappresenta un’opportunità per l’Italia, che potrebbe sfruttare la crescente domanda di beni e servizi proveniente da questi paesi. Al fine di evidenziare in quali mercati il Made in Italy vanti maggiori margini di crescita, realizziamo qui un’analisi comparata del peso dell’import dall’Italia rispetto al totale delle importazioni globali di ciascuna delle prime venti economie emergenti (per peso sul PIL mondiale), rispetto al peso che le stesse hanno sulla domanda di importazioni mondiali. A completamento, nel Grafico 42 la dimensione delle sfere è resa proporzionale al PIL pro-capite nel paese emergente, come proxy della sua ricchezza e propensione a spendere nel mercato.
I dati mostrano come alcuni paesi, soprattutto quelli geograficamente più vicini, siano già importanti partner commerciali per l’Italia (Grafico 42): sono tutti quelli il cui import dall’Italia è sovrarappresentato rispetto al peso dell’import del paese sulla domanda mondiale. Ad esempio, per la Polonia l’import dall’Italia vale il 3,2%, mentre il suo peso sulla domanda mondiale è dell’1,6%. Stesso discorso è valido per la Turchia, con le rispettive quote pari al 2,2% e 1,3%. Per contro, esistono ulteriori opportunità per rafforzare i legami con partner strategici in altre aree chiave, come ad esempio il mercato asiatico, dove in termini relativi la domanda di beni italiani potrebbe crescere in futuro: per la Cina l’import dall’Italia vale il 2,8%, mentre il suo peso sulla domanda mondiale è dell’8,8%, ossia ci sono spazi per incrementare la quota dell’export italiano in Cina. Sfruttare queste opportunità sarà cruciale per diversificare e consolidare la presenza dell’Italia in mercati in espansione e con livelli di reddito pro-capite in crescita.
Inflazione ancora elevata, ma in calo per la maggior parte degli emergenti Come previsto ad aprile, nel biennio di previsione l’inflazione si dovrebbe ridurre per quasi tutte le principali 20 economie emergenti. I paesi con elevata inflazione dovrebbero riuscire a riportarla su livelli più contenuti entro il 2025. Tra questi, i maggiori sforzi saranno sostenuti da quattro paesi: Turchia, Iran, Pakistan ed Egitto, che dovrebbero vedere i propri tassi di inflazione ridursi considerevolmente (in media di circa 23 punti percentuali nel biennio), fino a raggiungere rispettivamente il 26,6%, il 19,1%, il 6,6% e il 17,9% nel 2025, valori decisamente più bassi di quelli del 2024 (Grafico 43).
Nigeria e Argentina, entrambe caratterizzate da un picco di inflazione nel 2024, sono attese rientrare su livelli più contenuti l’anno dopo. In Nigeria l’inflazione nel 2025 dovrebbe ritornare sui livelli del 2023 (22,6%). In Argentina, invece, dopo il picco del 233,3% atteso in media nel 2024, l’inflazione dovrebbe calare all’83% nel 2025 (contro il 61% anticipato ad aprile) grazie alle politiche fiscali restrittive in corso di attuazione e a un sistema a cambi fissi aggiornato a intervalli regolari che ha contribuito ad ancorare l’inflazione dopo la grande svalutazione di dicembre 2023. Nel breve termine, il Paese dovrebbe sviluppare le basi per un sistema valutario di fluttuazione controllata, simile a quello adottato in Perù e Uruguay13, per poi giungere a un eventuale allineamento con il dollaro e all’allentamento delle restrizioni e dei controlli sui tassi per fine 2024. Solo la Cina vedrà il tasso di inflazione in moderata risalita nel 2025 rispetto a quello del 2023, seppur da livelli considerati "troppo" bassi e comunque su valori ancora molto contenuti (1,6%).
In termini di mix crescita-inflazione, si confermano le tendenze per area geografica già individuate ad aprile (Grafico 43): nel 2024 i paesi asiatici saranno caratterizzati da una crescita elevata del PIL, attorno al 5,2% (5,3% ad aprile) e da un’inflazione al consumo più moderata, del 3,6% in media (3,7% ad aprile); i paesi dell’area Medio-Orientale e Nord-Africana sono attesi crescere più lentamente, ma battendo di misura le previsioni di aprile (2,8%, contro il 2,6%) e con un’inflazione generalmente elevata e in linea con le previsioni, prossima al 26% se si esclude l’Arabia Saudita (1,8%); gli altri paesi emergenti dell’America Latina e dell’Europa saranno invece caratterizzati da una crescita del PIL inferiore a quanto previsto (2,1% contro il 3,0%) e da una inflazione attorno al 5,6%, Turchia e Argentina escluse.
I cambi degli emergenti sembrano stabilizzarsi Nonostante un calo generalizzato dell’inflazione, diverse banche centrali mantengono un approccio prudente nel ridurre i tassi di interesse, per non incorrere in un deprezzamento eccessivo della propria valuta rispetto al dollaro. Da inizio anno quasi tutti i tassi di cambio dei principali emergenti sembrano registrare una certa stabilità rispetto al dollaro, seppure in alcuni casi su livelli elevati di deprezzamento (Grafico 44).
Tra i paesi caratterizzati sia dalla presenza di deficit “gemelli” (deficit pubblico e deficit commerciale), sia da un debito pubblico elevato, si annoverano l’Egitto, l’India e il Pakistan. Questi potrebbero essere più esposti a situazioni di vulnerabilità in casi di shock avversi. Infine, il prezzo degli idrocarburi, in particolare quello del petrolio in calo nella seconda parte del 2024, incide sulla bilancia commerciale dei paesi emergenti. Da un lato, gli esportatori di petrolio come Arabia Saudita, Russia e Iran vedono contrarsi i propri surplus commerciali; simmetricamente, i paesi importatori di idrocarburi, tra cui Filippine, Colombia e Turchia, registrano un miglioramento dei rispettivi saldi commerciali.
La Cina a due velocità: offerta da record, domanda debole La Cina è in corsa per raggiungere l’obiettivo di crescita governativo del PIL al +5,0% per il 2024, e si prevede che raggiunga il +4,6% nel 2025. L’espansione dell’industria manifatturiera è trainata dalle esportazioni, particolarmente competitive in settori ad alta tecnologia come l’elettronica e i veicoli elettrici. Tuttavia, l’elevata competitività è in parte sostenuta dalla compressione dei margini e dai bassi prezzi di vendita, che stanno generando attriti commerciali internazionali, il cui esito rimane incerto. D’altronde, il rallentamento dell’import cinese è in larga parte indice di fragilità della domanda interna. La quale infatti resta debole, in parte a causa del calo degli investimenti in costruzioni legati agli effetti della bolla immobiliare; rallentamento non ancora compensato da una crescita sostenuta dei consumi delle famiglie (la competitività sul lato dei costi, per l’offerta, si riflette sulla domanda con salari relativamente bassi rispetto alla produttività del lavoro). Nonostante le prospettive rimangano generalmente positive anche grazie agli interventi governativi attraverso politiche fiscali e monetarie espansive, le crescenti barriere tariffarie potrebbero frenare l’export cinese, rendendo più sfidante il raggiungimento degli obiettivi di crescita per il 2024 e il 2025. D’altra parte, un allentamento delle tensioni commerciali e/o un rilancio dei consumi domestici potrebbero portare a una crescita in linea, se non oltre, le attese (più vicina al +5% anche nel 2025).
Cresce l’economia indiana, seppur con la zavorra dei tassi elevati L’India, pur mostrando una crescita robusta del +6,8% per il 2024 (stabile nel 2025 al +6,5%), sta attraversando un periodo di rallentamento della produzione industriale e delle vendite. Questo rallentamento è attribuibile principalmente all’effetto dei precedenti aumenti dei tassi di interesse, messi in atto dalla Reserve Bank of India (RBI) e alla minore spesa per investimenti pubblici, che stanno iniziando a pesare sull’attività economica. A causa dei persistenti rischi inflazionistici e delle solide condizioni della domanda interna, è improbabile che la RBI inizi a ridurre i tassi di interesse prima di dicembre 2024. Tuttavia, la ripresa dei consumi privati, specialmente nelle aree rurali, dovrebbe continuare a sostenere l’attività economica. Il primo ministro Narendra Modi, indebolito dalla nuova coalizione di governo, ha dovuto adottare pacchetti di politiche di larga intesa, da cui dipende la stabilità del suo esecutivo.
In Brasile pesano le incertezze politiche La crescita del PIL è prevista al +2,2% nel 2024 (dal +2,9% del 2023) per via di un atteso calo della produzione agricola, per poi accelerare al +2,4% nel 2025. Tuttavia, le incertezze economiche e geopolitiche a livello globale continueranno a limitare la domanda estera, e non ci si attende un aumento significativo dei prezzi delle materie prime, che di solito fa da traino alla crescita del Paese (si veda il par. 7.4). Tra i rischi al ribasso, c’è quello politico di una maggioranza fragile in Congresso, che potrebbe ostacolare l’implementazione di una disciplina fiscale rigorosa (obiettivo di un surplus primario già nel 2025) e che interferisca con l’autonomia della banca centrale, causando un indebolimento della valuta brasiliana. Le previsioni indicano un calo dell’inflazione, ma meno rapido del previsto, a causa delle nuove pressioni su alcuni prezzi alimentari, influenzati da condizioni meteorologiche avverse, seppur di impatto temporaneo. In risposta, la banca centrale del Brasile ha sospeso il ciclo di allentamento monetario, ma ci si attende un ulteriore taglio del tasso di riferimento di 25 punti base, portandolo al 10,25% entro fine anno.
La Russia più resiliente del previsto alle sanzioni La ridefinizione delle rotte commerciali per il momento rende l’economia russa quasi immune dai contraccolpi derivanti dalla guerra. In particolare, il Paese continua a crescere sopra le attese: il PIL è previsto aumentare al +3,5% nel 2024 (contro il +2,6% previsto ad aprile) e rallentare al +2,2% nel 2025. Sebbene le pesanti sanzioni occidentali, le restrizioni commerciali e il ritiro degli investimenti esteri pesino sulle prospettive di sviluppo, l’economia russa sta continuando a crescere grazie a diversi fattori: mercati alternativi per le esportazioni di idrocarburi, rotte asiatiche e triangolazioni per eludere le sanzioni16, una quota di quasi il 30% della spesa pubblica dedicata alla difesa17. Per contro, la carenza dell’offerta causata dalle sanzioni aumenta le pressioni inflazionistiche nel Paese, effetto solo in parte compensato dal dirottamento del commercio con l’Asia. Per questa ragione la banca centrale russa continua ad adottare una politica monetaria restrittiva (il tasso di riferimento è fissato al 19%), controlli sui capitali e altre misure non monetarie per mantenere stabile il cambio del rublo.
7.6 Cambio
Si consolida la quotazione dell’euro Il tasso di cambio dell’euro sul dollaro, relativamente stabile da inizio 2023 (in un intervallo compreso tra 1,06 e 1,10) si è consolidato intorno a 1,10 negli ultimi due mesi. Le quotazioni si attestano sui livelli pre-pandemia di inizio 2020, comunque molto inferiori ai picchi raggiunti a fine 2020 (Grafico 46).
Il cambio effettivo nominale dell’euro (rispetto a 41 valute mondiali), invece, si è apprezzato in modo significativo, su livelli superiori al precedente picco. L’euro, infatti, si è rivalutato rispetto a un ampio insieme di valute, anche per gli effetti asimmetrici degli shock geopolitici e delle diverse risposte di politica monetaria nelle altre economie mondiali.
La dinamica del cambio euro-dollaro negli ultimi anni è spiegata soprattutto dalle politiche monetarie delle rispettive banche centrali. Nel 2021 e 2022 la FED ha avviato rapidamente il processo di rialzo dei tassi, favorendo un rafforzamento del dollaro. L’aumento dei tassi da parte della BCE ha seguito quello USA e ha accelerato a fine 2022, spingendo verso una risalita dell’euro. La stabilizzazione recente è coerente con aspettative simili, anche se non coincidenti, riguardo a un graduale taglio dei tassi: fino a settembre entrambe le banche centrali li hanno ridotti di mezzo punto percentuale dai rispettivi massimi.
La crescita economica più robusta negli Stati Uniti rispetto all’Eurozona tende a mantenere relativamente debole l’euro sul dollaro. Di conseguenza, i segnali di un rallentamento USA e di un maggiore slancio in Europa, riducendo il differenziale di crescita, possono avere favorito il recente apprezzamento del cambio bilaterale. L’elevata incertezza geopolitica connessa alle crisi militari in Ucraina e Medio Oriente, che per vicinanza geografica e impatto sui prezzi energetici pesa soprattutto sulle prospettive europee, rappresenta invece un rischio al ribasso per la moneta unica.
Il CSC assume nello scenario previsivo un cambio dollaro-euro stabile intorno ai valori recenti (1,10). Ciò implica un marginale apprezzamento dell’euro sul dollaro nel 2024 (+0,8%) e nel 2025 (+0,9%).