Una storia di visione, impresa e persone

Dal cuore dell’Italia che produce,
un secolo di passione industriale

“Oltre un secolo di industria, persone e idee. La storia dell’Italia che lavora: la nostra storia”.

 

Confindustria ha accompagnato l’Italia nel suo percorso di trasformazione da realtà agricola a potenza industriale e da oltre 115 anni continua a sostenere la crescita e lo sviluppo del Paese.

Nata nel 1910 per rappresentare gli interessi del mondo produttivo, Confindustria ha attraversato guerre, crisi, rinascite e rivoluzioni tecnologiche ritagliandosi un ruolo da protagonista nei grandi cambiamenti sociali ed economici d’Italia durante il XX ed il XXI secolo.

Dalla macchina a vapore all’industria digitale ha saputo anticipare le sfide del tempo, sostenere la creatività e il talento delle imprese, valorizzare il modello produttivo italiano fondato su innovazione, territorio e cultura del fare. Nel cuore della sua storia c’è l’imprenditore: motore instancabile di crescita, visione e dialogo con la società.

Una storia fatta di memoria e idee che continua a rinnovarsi ogni giorno con lo sguardo rivolto al futuro.
Confindustria continua a adattare la sua missione ai tempi, rafforzando il proprio ruolo nelle dinamiche europee e internazionali e contribuendo alla definizione di nuove politiche di sviluppo del Paese. Oggi come ieri Confindustria è un punto di riferimento per chi crede nell’impresa come fattore imprescindibile per il progresso economico, sociale e culturale.

Le pietre miliari di un secolo di leadership industriale

1886
1910

Le origini di Confindustria

Per quasi mezzo secolo dall’unificazione l’Italia era rimasta in bilico fra arretratezza e sviluppo a causa della scarsità di materie prime e risorse energetiche, degli elevati livelli di analfabetismo e dell’esistenza di vaste sacche di miseria endemica, non soltanto nel Sud della penisola.

In questo scenario, la formazione della prima base industriale – avvenuta tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – fu un processo tutt’altro che agevole, accompagnato da un lento mutamento d’opinione della classe politica dell’epoca rispetto all’idea che la ricchezza dell’Italia fosse unicamente, o quasi, nell’agricoltura.

Infatti, nel 1887 il Parlamento varò un regime protezionistico a favore della nascente industria siderurgica e del settore tessile, in concomitanza con un provvedimento analogo a sostegno della produzione cerealicola.

In quella circostanza comparvero alcune leghe imprenditoriali per sostenere le rivendicazioni di diversi comparti industriali, senza tuttavia riuscire a farsi strada in un contesto economico dominato dagli interessi della grande proprietà fondiaria e dell’alta finanza.

Soltanto all’inizio del Novecento, quando anche l’Italia cominciò a partecipare alla congiuntura espansiva a livello internazionale, la causa dell’industrialismo guadagnò terreno.

Tra il 1902 e il 1906 nacquero i primi sodalizi a carattere territoriale, da quello di Monza a quello di Torino, accanto alle associazioni di categoria (la prima era stata quella laniera) che si erano costituite negli anni precedenti in alcuni centri come Biella, Milano, Genova, Schio e Terni.

Da questi primi nuclei di associazionismo imprenditoriale sorti in ordine sparso nacque, il 5 maggio 1910, la “Confederazione italiana dell’industria”, con il fine di coordinare a livello nazionale le iniziative degli imprenditori sia nei rapporti con il Governo e le amministrazioni locali, sia nei riguardi delle Organizzazioni sindacali.

Primo Presidente della Confederazione fu Luigi Bonnefon, un industriale della seta trasferitosi da Lione in Piemonte, vanto di quell’industria manifatturiera pioneristica che, tra le poche di quel periodo, riusciva ad esportare.

Luigi Einaudi definì la nascita della nuova Confederazione il simbolo de “l’Italia che lavora e che produce”.

Prima con sede a Torino – e successivamente dal 1919 a Roma – Confindustria si sarebbe occupata, insieme alla neonata Confederazione Generale del Lavoro nel 1906, di gestire le vertenze tra capitale e lavoro, come nei più moderni sistemi di relazioni industriali già vigenti in Gran Bretagna, Francia e Germania.

Luigi Bonnefon

1911
1922

L’era Giolitti e la Grande Guerra

Nel secondo decennio degli anni ’20, dominato dalla figura di Giovanni Giolitti, l’adozione del contratto collettivo di lavoro e il riconoscimento delle Commissioni interne operaie coincise con una svolta politico-sociale in senso liberale e riformatore.

L’equazione fra industrialismo e modernizzazione venne condivisa, sia pur con accenti diversi, dai principali leader sindacali – Rinaldo Rigola, Ludovico D’Aragona, Bruno Buozzi – e da alcuni imprenditori affermatisi proprio allora quali Giovanni Agnelli, Camillo Olivetti, i fratelli Perrone, Guido Donegani, Cesare Pesenti, Giorgio Enrico Falck, Ettore Conti, Giovanni Battista Pirelli, Gaetano Marzotto, Ernesto Breda e Giuseppe Orlando.

Fu questa nuova generazione di industriali a rendere l’associazionismo imprenditoriale del primo Novecento uno strumento robusto per la tutela degli interessi specifici del mondo industriale, fucina di nuove soluzioni nell’organizzazione del lavoro.

Il contributo di Gino Olivetti – primo segretario della Lega industriale di Torino e successivamente della Confindustria – si rivelò, a questo riguardo, fondamentale per la razionalizzazione del sistema produttivo, a cominciare dall’industria meccanica, adottando gli stessi criteri elaborati negli Stati Uniti da Frederick Taylor: parole chiave furono la specializzazione delle maestranze, la standardizzazione dei materiali e la produzione in serie.

Lo storico divario tra Nord e Sud del Paese rimase perfettamente tangibile e, d’altra parte, il risparmio continuava ad affluire per lo più verso i titoli pubblici. Solo grazie all’ingresso di alcune banche nel capitale azionario dell’industria elettrica e di altri settori di base fu possibile far fronte alla scarsità di capitali di rischio.

L’Italia era uscita vittoriosa dalla Grande Guerra, anche grazie all’eccezionale sforzo compiuto dal sistema industriale per soddisfare le esigenze della macchina bellica. Intanto, però, la rivoluzione comunista in Russia alimentava nelle masse operaie l’aspettativa di un radicale rivolgimento politico e sociale.

Confindustria, dopo l’incarico di Ferdinando Bocca, con le presidenze di Dante Ferraris (divenuto nel 1919 Ministro dell’Industria nel Governo Nitti), Giovanni Battista Pirelli, Giovanni Silvestri ed Ettore Conti, cercò di contenere una lunga serie di scioperi e agitazioni mediante varie misure (riduzione dell’orario di lavoro, indennità di licenziamento, assicurazione di invalidità e vecchiaia) senza, tuttavia, riuscire a venirne a capo.

Finché, nel settembre del 1920, le maestranze dei principali stabilimenti di tutta Italia, procedettero all’occupazione delle fabbriche. Queste occupazioni si prolungarono per un mese e suscitarono l’impressione che si fosse alla vigilia di un moto insurrezionale.

Raimondo Targetti

1923
1943

Il periodo fascista

In questo clima, reso ancor più difficile da un’estrema instabilità politica e dalle gravi difficoltà finanziarie della riconversione post-bellica, il movimento fascista conquistò il potere: sebbene Mussolini avesse proclamato il potenziamento dell’apparato produttivo e la massima disciplina nelle fabbriche in nome degli interessi nazionali, le principali Confederazioni di categoria deplorarono le violenze dello squadrismo.

Dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, il Direttivo di Confindustria chiese il ripristino dell’ordine e della legalità costituzionale con un Memorandum presentato a Mussolini nel settembre del 1924. Continuò, inoltre, a opporre una tenace resistenza sia all’imposizione del monopolio fascista della rappresentanza dei lavoratori, sia ai progetti di corporativismo integrale.

Soltanto nell’ottobre 1925, quando ormai i Sindacati operai e i partiti antifascisti erano sul punto di essere messi al bando, Confindustria riconobbe – col Patto di Palazzo Vidoni – il Sindacato fascista quale suo unico interlocutore.

Negli anni fra le due guerre, duramente segnati dalla “grande crisi” mondiale del 1929, il regime fascista accordò all’industria assistenza e protezione, analogamente a quanto fecero altri governi di fronte a una recessione che minacciava di scardinare l’intero sistema produttivo. L’intervento pubblico, sfociato nel 1933 nella creazione dell’IRI, salvò dal dissesto numerose imprese passate così sotto “mano pubblica”.

Successivamente, la politica autarchica favorì l’avvento di posizioni monopolistiche e di oligopolio, al prezzo di un progressivo isolamento dell’industria italiana dai circuiti del mercato internazionale e a scapito delle innovazioni tecnologiche.

In questo periodo, dopo una breve Presidenza di Raimondo Targetti, vi fu il lungo mandato di Antonio Stefano Benni (1923-1934) che ricoprì anche il ruolo di Ministro delle Comunicazioni (1935-1939) e, sotto la sua presidenza, nacque il logo della ruota dentata sovrastata dall’aquila che, nella versione ammodernata, rappresenta ancora oggi la Confederazione.

Negli anni a seguire si alternarono alla guida di Confindustria personaggi di grande spicco come Alberto Pirelli e il Senatore Giuseppe Volpi che rimase in carica dal 1934 al 1943.

Ma la Confindustria, per quanto accreditata e influente nelle alte sfere del Regime – anche per via degli stretti rapporti stabiliti dal suo Direttore (e poi Presidente dall’aprile 1943), Giovanni Balella, con vari Ministeri e settori della PA – si trovò alle prese con il ruralismo, l’antiurbanesimo e la formazione di un ordinamento corporativo e gerarchico (“tutto dentro lo Stato, niente fuori dello Stato”, secondo le direttive di Mussolini), elementi che finirono per rappresentare la negazione dei principi del capitalismo industriale.

Giuseppe Mazzini

1944
1950

La ricostruzione post-bellica

All’indomani della Seconda guerra mondiale, Confindustria assunse un ruolo di primo piano nell’opera di ricostruzione. Ciò soprattutto grazie ad Angelo Costa, Presidente dell’Associazione dal 1945 al 1955, arrivato dopo i brevi periodi di presidenza transitoria di Giuseppe Mazzini e Fabio Friggeri a seguito della caduta del fascismo e la liberazione di Roma.

Egli seppe stabilire rapporti non strumentali, nel rispetto delle reciproche sfere d’autonomia, con i governi centristi di Alcide De Gasperi e riuscì a ricomporre il tessuto dei rapporti contrattuali con le Organizzazioni sindacali.

Fin dagli esordi del mandato di Costa vennero siglati alcuni importanti accordi con la Cgil: lo sblocco dei licenziamenti, la perequazione salariale fra Nord e Sud, il ripristino delle Commissioni interne e l’istituzione della scala mobile.

Altre intese, a livello nazionale e di categoria, vennero poi concluse nel corso degli anni ’50 con la CISL e la UIL, due nuove Confederazioni nate nel 1948 dal distacco delle componenti cattolica, repubblicana e socialdemocratica dalla CGIL.

Costa, affiancato da un segretario generale come Mario Morelli (che rimarrà in carica fino al 1970) nell’opera di difesa e valorizzazione dei principi dell’iniziativa privata, fu un deciso fautore del ripristino dei meccanismi di mercato e della liberalizzazione degli scambi, appoggiando le scelte della classe politica, anche a costo di non trovare il consenso di alcuni gruppi industriali restii a rinunciare al protezionismo doganale.

Angelo Costa

1951
1963

Il miracolo economico

L’adesione dell’Italia al Mercato Comune Europeo nel 1957 e il cosiddetto “miracolo economico” diedero legittimità alle convinzioni liberiste di Angelo Costa, ancora guida riconosciuta di Confindustria. Trascinata dal vigoroso sviluppo delle grandi imprese del “triangolo industriale” – Milano, Torino e Genova – l’economia nazionale registrò in quegli anni tassi di crescita tra i più alti del mondo occidentale.

Le industrie meccaniche, automobilistiche, chimiche e tessili vissero una stagione di espansione, favorite dall’aumento dei consumi interni, dal miglioramento della produttività e dal crescente inserimento dell’Italia nei flussi del commercio internazionale. Il boom attirò milioni di lavoratori dal Sud verso le regioni del Nord, ridisegnando la geografia sociale del Paese e ponendo nuove sfide al sistema produttivo.

Sono gli anni della presidenza di Alighiero De Micheli, cui seguì quella di Furio Cicogna, in un contesto di progressiva trasformazione del rapporto tra Stato e industria. L’istituzione del Ministero delle Partecipazioni Statali (1956) e l’avvio di una politica di programmazione economica culminata con la nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1962, segnarono un profondo mutamento nel ruolo dell’intervento pubblico.

Questo nuovo scenario vide Confindustria porsi come interlocutore attento ma critico delle scelte di politica industriale dei governi di centro-sinistra, con una crescente tensione tra la difesa dell’iniziativa privata e l’espansione della mano pubblica in settori strategici. In questa stagione di grandi cambiamenti, l’Associazione consolidò il proprio ruolo di rappresentanza unitaria, ponendo al centro del dibattito la modernizzazione del Paese e il rafforzamento della competitività industriale.

Furio Cicogna

1964
1979

La nuova sede e Il Sole 24 Ore

Negli anni a cavallo tra la fine del “miracolo economico” e l’avvio delle tensioni sociali che scandirono la seconda metà del secolo, Confindustria rafforzò la propria capacità di rappresentanza anche sul piano culturale e dell’informazione economica. Nel 1965, nacque Il Sole 24 Ore dalla fusione di due storiche testate: Il Sole, fondato a Milano nel 1865, e 24 Ore, nato nel 1946 come organo ufficiale dell’Associazione.

L’obiettivo era chiaro: dare vita a un quotidiano capace di offrire una voce autorevole e indipendente sul sistema economico italiano, promuovendo i valori dell’impresa, della modernizzazione e del mercato.

Fin dalla sua nascita, Il Sole 24 Ore si affermò come punto di riferimento imprescindibile per imprenditori, professionisti, istituzioni e operatori internazionali, contribuendo in modo determinante alla diffusione di una cultura economica e produttiva nel Paese. Con il suo stile sobrio, i suoi approfondimenti tecnici e l’attenzione alle dinamiche del mondo del lavoro, il quotidiano divenne uno degli strumenti più riconosciuti e stimati del sistema confindustriale.

All’inizio degli anni ’70 Confindustria si trasferì dalla storica sede di Piazza Venezia al quartiere dell’E.U.R. a Roma, in un nuovo edificio commissionato agli architetti Luccichenti e Monaco, tra i più significativi interpreti dell’architettura razionalista italiana.

In quegli anni, per il mondo industriale (alla cui guida tornò nel 1966 Angelo Costa) le difficoltà si accentuarono e, all’indomani dell’”autunno caldo” del 1969, le ondate di conflittualità operaia si susseguirono per un decennio nei principali stabilimenti, scuotendo le fondamenta del sistema d’impresa e rendendo sempre più difficile la governabilità delle fabbriche.

Di fronte al pericolo di isolamento, e nel pieno di una pesante recessione economica dovuta al vertiginoso rincaro del petrolio e alla forte crescita del costo del lavoro, Confindustria reagì con una correzione di rotta in due direzioni: con la cosiddetta “riforma Pirelli” si propose di rafforzare le proprie strutture organizzative con una rappresentanza più equilibrata e partecipata delle associazioni territoriali e di categoria; leve più giovani e piccole imprese, organizzatesi fin dal 1958 in vari gruppi locali, contribuirono significativamente ad un approccio innovativo.

Di fronte al pericolo di isolamento, e nel pieno di una pesante recessione economica dovuta al vertiginoso rincaro del petrolio e alla forte crescita del costo del lavoro, Confindustria reagì con una correzione di rotta in due direzioni: con la cosiddetta “riforma Pirelli” si propose di rafforzare le proprie strutture organizzative con una rappresentanza più equilibrata e partecipata delle associazioni territoriali e di categoria; leve più giovani e piccole imprese, organizzatesi fin dal 1958 in vari gruppi locali, contribuirono significativamente ad un approccio innovativo.

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Il disgelo nei riguardi del sindacato, avviato nel corso della presidenza di Renato Lombardi (affiancato dal 1970 da un manager esperto e di particolare talento, Franco Mattei), sfociò nel 1974, durante quella successiva di Giovanni Agnelli, nella proposta di un’azione comune contro rendite e parassitismi, con lo scopo di ridare slancio e vigore alle forze produttive dell’impresa e del lavoro.

In questo clima, e nell’intento di contribuire a un ritorno della pace in fabbrica, venne siglato con i Sindacati, nel gennaio 1975, l’Accordo sull’indicizzazione dei salari.

A presiedere la Confindustria nel periodo della “solidarietà nazionale” fra i partiti dell’arco costituzionale, intesa a fronteggiare l’offensiva del terrorismo, venne chiamato per la prima volta un personaggio che non proveniva dalle file dell’imprenditoria: l’ex governatore della Banca d’Italia, Guido Carli. Durante il suo mandato (dal 1976 al 1980), che vide alla direzione dell’Associazione un autorevole economista come Paolo Savona (a cui si deve l’avvio operativo del Centro Studi), venne formulata da Confindustria la proposta di uno “statuto dell’impresa”, in grado di affrancare il sistema imprenditoriale da “lacci e lacciuoli” politici e burocratici che ne imbrigliavano lo sviluppo.

Nel 1977, su iniziativa di Confindustria, nacque a Roma la LUISS – Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – con l’obiettivo di creare un polo universitario d’eccellenza capace di formare le nuove classi dirigenti del Paese. L’Ateneo raccolse l’eredità del preesistente Pro Deo, trasformando l’istituto sorto negli anni ‘60 in una vera università privata, specializzata nei campi dell’economia, del diritto e delle scienze politiche.

Particolarmente innovativa, per l’epoca, fu la forte attenzione al mondo delle imprese, alle istituzioni e ai processi decisionali pubblici e privati. Dal 1978 la guida dell’università fu affidata allo stesso Guido Carli, che fu capace di imprime all’Ateneo una visione moderna, ispirata alla cultura liberale e al pragmatismo anglosassone, rafforzandone il legame con il sistema Confindustria.

Negli anni successivi, la LUISS consolidò la sua identità come università aperta al mondo, rafforzando le sue relazioni internazionali, sviluppando percorsi in lingua inglese e favorendo l’accesso al mondo del lavoro grazie a uno dei career service più attivi d’Europa.

1980
2000

La trasformazione dell’industria italiana

All’inizio degli anni ’80, una fase importante nella vita della Confederazione coincise con la Presidenza di Vittorio Merloni. La sua designazione alla massima responsabilità degli industriali italiani costituì un tangibile riconoscimento del notevole sviluppo e crescente ruolo assunto nel frattempo dalla Piccola e Media Impresa.

L’esigenza di un’efficace politica industriale e la revisione della struttura del salario (dopo la disdetta della scala mobile) vennero poste al centro dell’azione della Confindustria sotto la direzione di Alfredo Solustri, le cui competenze professionali erano maturate all’interno dell’Associazione.

Successivamente, nel corso del mandato di Luigi Lucchini (1984-1988), si affermò il principio della centralità dell’impresa come fattore propulsivo per la crescita economica e la modernizzazione sociale del Paese. La particolare esperienza nel campo delle relazioni sindacali ed esterne del direttore Paolo Annibaldi (che ricoprì questo incarico sino al 1990), valse a rendere più intensi i rapporti della Confindustria con istituzioni pubbliche e soggetti sociali.

Sono questi gli anni di un forte rilancio dell’industria italiana, che conobbe rilevanti innovazioni organizzative e ampliamenti delle sue strutture produttive in nuove aree del Paese, un tempo appena sfiorate dal processo di sviluppo.

Tra la fine degli anni 80 ed i primi anni ’90 si consumarono avvenimenti epocali destinati a riecheggiare nei decenni successivi sugli assetti geoeconomici mondiali, dalla caduta del muro di Berlino il 9 novembre del 1989 alla disgregazione dell’Unione Sovietica sul finire del 1991.

A seguito della firma del Trattato di Maastricht e dell’accelerazione impressa al processo di unificazione europea nel 1992 s’impose sempre più la necessità di internazionalizzare l’economia italiana, anche al fine di trovare nuovi spazi in un mondo si avviava sulla via di una nuova e sostenuta globalizzazione.

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Per Confindustria l’esito della partita europea sarebbe dipeso da un recupero di competitività complessivo del sistema Paese. Grazie alla politica degli accordi tripartiti (Governo, Confindustria, Sindacati) – avviata sotto la presidenza di Sergio Pininfarina (1988-1992) – l’Italia seppe controllare l’inflazione e realizzare una sia pur imperfetta politica dei redditi, evitando i rischi di un’emarginazione dai Paesi più industrializzati.

Decisivo in tal senso fu l’Accordo del 10 dicembre 1991 sulla lotta all’inflazione, a seguito del quale, il 1° maggio del 1992, per la prima volta non venne pagato il “punto pesante” di contingenza. Tale linea proseguì sotto la Presidenza di Luigi Abete (dal 1992 al 1996) con l’Accordo del 7 luglio 1992, che stabilì l’abolizione della scala mobile.

Nel corso di quegli anni venne ribadita l’autonomia e l’apartiticità della Confindustria, al di fuori di ogni collateralismo politico e furono adottati nuovi criteri partecipativi del sistema associativo.

Il processo d’integrazione dell’Italia nella Comunità europea si rivelò, tuttavia, assai più ricco di ostacoli di quanto si pensasse originariamente, a causa di una nuova difficile congiuntura economica. Il Paese si trovò ad affrontare, negli anni di Tangentopoli, una grave crisi politica e istituzionale.

Pur operando in acque così agitate, con inchieste giudiziarie che coinvolsero alcune grandi imprese, Confindustria riuscì a mantenere la rotta, all’insegna di una linea di condotta non corporativa e aperta al confronto con la società civile, sostenendo lo sforzo delle imprese italiane per aumentare i loro livelli di competitività e impegnandosi nell’ambito della concertazione con Governo e Sindacati che portò all’Accordo del luglio 1993 sulla politica dei redditi.

2001
2015

L’era della globalizzazione

L’inizio del nuovo millennio apre una fase in cui la globalizzazione e l’innovazione tecnologica accelerano trasformazioni profonde nel sistema produttivo, imponendo alle imprese italiane una visione sempre più proiettata verso i mercati internazionali. In questo contesto, Confindustria assume un ruolo attivo nel promuovere competitività, innovazione e apertura, sostenendo la necessità di semplificare regole, attrarre investimenti e rafforzare la presenza del manifatturiero italiano nel mondo.

Sotto la presidenza di Antonio D’Amato (2000–2004), con la direzione di Stefano Parisi, l’azione confederale si concentra su rilancio del Mezzogiorno, riforma del mercato del lavoro e sostegno a una cultura imprenditoriale moderna. Il quadro europeo si consolida con l’introduzione dell’euro, mentre crescono le pressioni globali derivanti dall’apertura dei mercati e dalla crescente concorrenza internazionale.

Nel 2004, Luca Cordero di Montezemolo viene chiamato alla guida dell’Associazione. Il suo mandato segna un rafforzamento dell’identità pubblica e culturale di Confindustria, che si fa promotrice di una nuova attenzione al rispetto delle regole, alla tutela della proprietà intellettuale, alla flessibilità e agli investimenti in formazione e ricerca.

Sotto la direzione di Maurizio Beretta l’Associazione accresce la propensione all’internazionalizzazione e la valorizzazione del made in Italy, considerate pilastri imprescindibili per un’Italia capace di competere nel nuovo scenario globale.

Ma nel 2007, i segnali di una crisi finanziaria profonda iniziano a manifestarsi. L’esplosione della bolla dei mutui subprime negli Stati Uniti innesca una catena di eventi che travolge le economie occidentali, colpendo duramente anche l’Italia. Il crollo della fiducia sui mercati, la contrazione del credito e la crisi della domanda si traducono in un pesante rallentamento industriale.

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È in questo clima che Emma Marcegaglia, assume la presidenza nel 2008, prima donna al vertice di Confindustria, affiancata da Giampaolo Galli come Direttore Generale. Il sistema industriale, già fragile, viene investito da un’ondata recessiva che mette a rischio occupazione e investimenti.

Confindustria in questi anni non smette di promuovere una cultura della condivisione nelle imprese, ponendo al centro del confronto tra le parti sociali il binomio produttività–salari, e rilanciando il dialogo con il sindacato per affrontare insieme una delle fasi più difficili della storia economica recente.

Nel 2012 la guida dell’Associazione passa a Giorgio Squinzi che nomina Direttore Generale della Confederazione Marcella Panucci, prima donna a ricoprire tale ruolo. Il contesto resta critico: l’Italia attraversa una nuova fase di instabilità politica e la crisi economica assume tratti strutturali sotto il gravame del debito pubblico.

La priorità diventa difendere il sistema manifatturiero, combattere la “cultura anti-impresa” e rilanciare un Industrial Compact europeo capace di sostenere la produzione e l’occupazione.

Confindustria si impegna anche sul fronte interno con una profonda riforma del sistema associativo: una Commissione, presieduta da Carlo Pesenti, avvia un processo che culmina con l’approvazione del nuovo assetto organizzativo nel 2013. La Confederazione cerca così di riproporre la propria capacità di adattarsi riaffermando il principio della rappresentanza come leva strategica per lo sviluppo del Paese.

2016
2024

L’era delle sfide globali

A maggio 2016 Vincenzo Boccia, imprenditore salernitano con una lunga esperienza nel sistema associativo, venne eletto Presidente di Confindustria. La sua presidenza si inserì in un contesto economico caratterizzato da una lenta ripresa post-crisi, con l’Italia che mostrava segnali di crescita inferiori rispetto ad altri Paesi europei e alle economie emergenti.

Nel quadriennio di presidenza Boccia, Confindustria continuò ad enfatizzare la centralità dell’industria come motore per superare la stagnazione economica, promuovendo iniziative volte a rafforzare la competitività del sistema produttivo italiano.

Tra queste, l’implementazione del piano “Industria 4.0” e la sottoscrizione del “Patto per la Fabbrica” con le organizzazioni sindacali, mirato a rilanciare la produttività attraverso la condivisione di obiettivi tra imprese e lavoratori.

Segnarono un momento particolarmente significativo anche le Assise Generali di Verona del 16 febbraio 2018, durante le quali Confindustria presentò un articolato programma di politica industriale, sottolineando l’importanza di un’azione concertata tra istituzioni e imprese per affrontare le sfide della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica.

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Nel maggio 2020, in un periodo segnato dall’emergenza sanitaria globale causata dalla pandemia di COVID-19, la Presidenza di Confindustria passò a Carlo Bonomi. La sua elezione avvenne attraverso una votazione telematica, riflettendo le restrizioni imposte dalla crisi sanitaria.

Bonomi assunse la guida dell’organizzazione in un momento di profonda incertezza economica, con l’industria italiana colpita duramente dalla crisi sanitaria prima e da una serie di ulteriori crisi connesse poi, dalla logistica internazionale, all’impennata inflazionistica, all’energia.

Nel quadriennio la direzione generale dell’organizzazione vide l’avvicendamento di Francesca Mariotti, in carica dal luglio 2020, e Raffaele Langella, nominato nell’ottobre 2023.

La presidenza Bonomi fu caratterizzata dall’impegno nel sollecitare interventi rapidi e decisi da parte delle istituzioni, sottolineando la necessità di una politica industriale efficace e di un sostegno concreto alle imprese per affrontare sfide di portata epocale.

Al tempo stesso Confindustria si impegnò attivamente nel contrasto alla pandemia, con un ingaggio concreto e al fianco dei cittadini nella campagna vaccinale e nel dialogo con il governo per l’elaborazione e l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), evidenziando l’urgenza di riforme strutturali in ambiti chiave quali il fisco, il lavoro e la pubblica amministrazione.

Le Sedi di Confindustria

La prima sede della “Confederazione Italiana dell’Industria”, fondata il 5 maggio 1910, fu presso la Lega Industriali di Torino, in Via Monte di Pietà. Le vicissitudini seguite alla Grande Guerra, la maggiore industrializzazione del Paese, la necessità di un confronto con il Governo e con l’Organizzazione sindacale dei lavoratori, portarono gli industriali a trasferire la sede a Roma. L’8 aprile 1919, presso la sede di Assonime di Via Lata, gli industriali si riunirono per approvare il nuovo statuto, il logo “Confederazione Generale dell’Industria Italiana” e la nuova sede provvisoria in Via Vicenza 7 (già Ordine Mauriziano). Ad ottobre dello stesso anno la sede di Confindustria si trasferì nel palazzo delle Assicurazioni Generali di Piazza Venezia, dove rimase fino all’inizio degli anni ’70, con una breve pausa tra il ‘44 e il ’47, quando la nuova Confederazione Generale dell’Industria Italiana, frutto dello scioglimento avvenuto nel novembre 1943 a seguito della fine della Seconda guerra mondiale, ebbe una sede provvisoria a Palazzo Grazioli in Via del Plebiscito.

Nel 1972 Confindustria si trasferì dalla storica sede di Piazza Venezia nel quartiere dell’E.U.R. a Roma nel nuovo edificio commissionato agli architetti Luccichenti e Monaco.
Arricchito da un imponente mosaico pavimentale – tra i più estesi d’Europa – disegnato da Giuseppe Capogrossi, il nuovo palazzo intendeva coniugare rigore e armonia con l’ambiente circostante. Oggi, il Palazzo ospita, oltre agli uffici di Confindustria, anche gli uffici di numerose Associazioni di settore del Sistema associativo.

La sede di Viale dell’Astronomia comprende anche lo storico Auditorium di Confindustria, progettato dall’architetto Pierluigi Spadolini e inaugurato il 30 maggio 1974, in occasione dell’Assemblea Generale che elesse Presidente Giovanni Agnelli. Da allora, e per oltre quarant’anni, insieme alle sue 18 sale modulari e a vaste aree polifunzionali, ha svolto un ruolo importante in termini di efficienza e funzionalità, nella variegata offerta congressuale sviluppatasi nella città.
Nel 2016 ha visto la luce il nuovo Centro Congressi di Confindustria, composto dall’Auditorium della Tecnica, dalle aree espositive e dalle sale riunioni. L’intervento di valorizzazione, promosso a fine 2015, ha ridato vita a uno spazio prestigioso, reinterpretato in chiave contemporanea e reinserito nel circuito degli elementi di pregio dell’Architettura del moderno della città.

Con una dotazione tecnologica all’avanguardia, l’impiego di materiali innovativi, l’efficienza acustica e il risparmio energetico, il nuovo Centro Congressi è in grado di competere con i suoi omologhi di nuova generazione a livello internazionale e di rappresentare un punto di riferimento per la città di Roma.

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