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Dazi alle porte: a rischio 20 miliardi di export e 118mila posti di lavoro
venerdì 4 Luglio 2025

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Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini lancia un chiaro allarme sui dazi al 10% annunciati dagli Stati Uniti: insieme alla svalutazione del dollaro, comporterebbero un impatto reale del +23,5% sui prezzi dei prodotti italiani, con una perdita stimata di 20 miliardi di export e 118mila posti di lavoro entro il 2026. Non si tratta solo di beni di lusso, spiega Orsini in un’intervista al Corriere della Sera, ma anche di settori sensibili al prezzo come macchinari, mezzi di trasporto e pelletteria. Per questo, avverte, considerare questi dazi “sostenibili” sarebbe un grave errore: il contraccolpo sull’industria italiana sarebbe pesantissimo.

Orsini esorta quindi a trovare un equilibrio nei negoziati con gli Usa, evitando la trappola di una guerra commerciale: rispondere ai dazi con altri dazi significherebbe provocare danni ancora maggiori. Piuttosto, propone di cercare intese che offrano vantaggi a fronte di una politica tariffaria Usa più ragionevole. Tra le carte da giocare al tavolo negoziale, ricorda come l’Italia, per rafforzare la Difesa, sia destinata ad acquistare per l’80% dagli Usa: un elemento di forza che deve essere valorizzato.

Sul fronte fiscale, Orsini considera legittimo usare la leva della global minimum tax come segnale di apertura verso Washington, dato che Stati Uniti, Cina e India non l’hanno adottata. La sospensione della sua applicazione alle imprese Usa può rappresentare un gesto distensivo per favorire un accordo.

 

Guardando ai mercati alternativi, accelerare la chiusura dell’accordo con i paesi del Mercosur è considerato un passaggio cruciale per il futuro dell’export italiano. Un’intesa con Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay – è la riflessione del presidente – potrebbe generare dai 4,5 ai 7 miliardi di export aggiuntivo: un risultato che sarebbe un vero volano per le imprese, in grado di compensare in modo significativo le perdite attese dal mercato statunitense.

Se il tema è la reciprocità delle regole sanitarie, Confindustria è al fianco degli agricoltori europei, ma un accordo strategico come il Mercosur non può essere sacrificato per interessi particolari, perché rappresenta un’opportunità unica di crescita e diversificazione per il tessuto industriale italiano.

 

Il presidente ribadisce poi la centralità del settore automotive, già colpito da decisioni interne europee come lo stop ai motori endotermici dal 2035. Serve proteggere la filiera della componentistica, che in Italia dà lavoro a oltre 70 mila persone, e agire per contenere i dazi americani che rischiano di minacciare ulteriormente il comparto.

Sul nodo della competitività, la priorità indicata è la riduzione del costo dell’energia: pur con la recente discesa del prezzo del gas, il divario con gli altri paesi europei resta un problema serio. Tra le misure a breve termine Orsini cita il disaccoppiamento del prezzo dell’energia, l’uso dell’idroelettrico a costi competitivi e l’impiego degli impianti a fine incentivazione. Nel medio-lungo periodo, ribadisce la necessità di considerare il nucleare.

Sul fronte ambientale, Orsini richiede alla Commissione Ue di non trasformare la transizione verde in un pretesto per tassare le imprese: “La decarbonizzazione è imprescindibile – spiega – ma l’Europa non si azzardi a costruire il bilancio europeo sulla pelle dell’industria, con entrate che derivano dai pagamenti imposti alle imprese con il sistema Ets e Cbam”.

 

Infine, il presidente affronta la questione Ilva, definendola un asset strategico per il Paese, anche in vista degli investimenti nella Difesa. Chiede il rilascio urgente delle autorizzazioni ambientali per riportare l’impianto a pieno regime e garantire approvvigionamenti moderni ed efficienti di gas e acqua. “Faremo di tutto perché Ilva continui a produrre, l’industria ne ha bisogno”, conclude Orsini.