Lo scenario internazionale

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7. Lo scenario internazionale

7.1 Commercio mondiale

Un quadro economico debole e incerto

Nel 2023 lo scenario economico globale si è indebolito, in Europa per gli impatti negativi dell’inflazione ancora elevata e della stretta monetaria, negli emergenti per la dinamica dell’economia cinese che sta stentando più dell’atteso. Le prospettive restano fiacche e incerte. Sono preponderanti i rischi al ribasso, dovuti soprattutto all’ampliamento delle tensioni geopolitiche, legate all’ulteriore guerra in Medio Oriente, alla maggiore frammentazione produttiva internazionale e alle possibili ripercussioni sui prezzi delle commodity. Ma esistono anche fattori che possono sorprendere in positivo: un maggior traino dalla robusta crescita degli Stati Uniti e una frenata più rapida dell’atteso dell’inflazione globale e, quindi, un allentamento anticipato della stretta della politica monetaria.

L’attività manifatturiera mondiale ha subito una sostanziale battuta d’arresto, dopo il forte rimbalzo successivo allo shock da Covid. Hanno pesato vari fattori: lo spostamento dei consumi dai beni ai servizi, come quelli turistici, l’indebolimento dell’industria europea, che gravita intorno a quella tedesca, e le condizioni più difficili per la domanda, soprattutto di investimenti, a causa della stretta sul credito e del graduale esaurirsi delle politiche emergenziali.

Ciò si è riflesso in un calo del commercio mondiale di beni, che è frenato in modo particolare dall’elevata incertezza geoeconomica, dal rafforzamento del dollaro (valuta di riferimento di buona parte degli scambi) e dal moltiplicarsi delle barriere commerciali (oltre 3mila nel 2022, da meno di mille nel 2019).

Gli indicatori congiunturali non prefigurano una svolta

Per il 3° trimestre del 2023 la dinamica degli scambi globali di beni continua a essere stagnante. L’indice dell’attività portuale di container RWI/ISL Container Troughput Index – segnala il proseguimento della risalita (da 123,4 di luglio a 124,7 ad agosto), completamente sostenuto dalla movimentazione portuale cinese, cha ha più che compensato la forte riduzione dell’attività nei porti dell’Europa del nord. Nel 2023 le pressioni sulle catene di fornitura si sono normalizzate, secondo la dinamica del Global Supply Chain Pressure Index, rilevando anche una domanda mondiale molto debole. Segnali ancora negativi provengono dalla componente ordini esteri del PMI globale, da marzo 2022 sotto la soglia neutrale (50), che segnala una stabilizzazione nel ritmo di riduzione degli ordini nel 3° trimestre.

Scambi di beni in calo nel 2023

Nello scenario CSC, il commercio mondiale di beni è quindi visto in riduzione nel 2023 (-1,0%), con una forte revisione al ribasso rispetto alle previsioni di marzo (+2,0%). Tale stima sconta un’eredità negativa dal 2022 (-0,7%), a causa della forte caduta nel 4° trimestre, e una contrazione nei primi setti mesi del 2023 (-0,1% la media delle variazioni congiunturali dei primi sette mesi del 2023).

Nello scenario di previsione si assume una risalita degli scambi di beni dall'ultima parte dell'anno in corso (+2,0% nel 2024; Tabella 3), anche grazie a un andamento più favorevole dell’attività manifatturiera, ma ben al di sotto dei ritmi pre-pandemia (+2,9% medio annuo nel quinquennio 2014-2019; dati FMI) a causa del perdurare dei principali ostacoli (incertezza, tensioni, barriere commerciali).

Tabella Le esogene internazionali della previsione - Rapporto di previsione ottobre 2023

La dinamica degli scambi nel 2024 è in linea con quella, modesta, attesa per il PIL mondiale (+2,2% a prezzi costanti e cambi di mercato). Nel complesso il PIL e gli scambi di beni andranno di pari passo, così come era accaduto nel quinquennio 2014-2019, ma lungo un sentiero di crescita più basso (Grafico 25).

Grafico Debole il commercio mondiale di beni - Rapporto di previsione ottobre 2023

Robusti gli scambi di servizi

Gli scambi mondiali di servizi, che erano caduti profondamente durante lo shock pandemico, registrano invece una robusta risalita. A guidare tale dinamica sono soprattutto i flussi turistici internazionali, ormai tornati sui livelli pre-pandemici nella maggior parte delle aree del mondo. La crescita degli scambi di servizi è attesa rimanere robusta nell’orizzonte previsivo (intorno al +5% annuo, secondo le stime dell’FMI), consolidando un trend in atto già negli anni pre-pandemia.

Un maggiore ruolo dei servizi nel commercio con l’estero, infatti, è sostenuto da fattori strutturali, tecnologici e commerciali: la terziarizzazione in atto in molti paesi emergenti, la riduzione delle barriere agli scambi di servizi (da livelli molto alti) e, in particolare, la maggiore offerta di servizi intermedi (alla produzione, informatici, professionali, finanziari ecc.), per i quali esistono pochi strumenti di controllo, grazie alle tecnologie digitali, dai paesi emergenti a quelli avanzati.

Negativo il contributo della Cina…

La debolezza del commercio mondiale di beni è il risultato di dinamiche eterogenee tra i principali blocchi geoeconomici: Stati Uniti, Europa e Cina.

La Cina continua a ridurre il ruolo di principale driver degli scambi, grazie al nuovo modello di sviluppo, incentrato sulla domanda interna e su una minore dipendenza dai prodotti esteri (soprattutto intermedi). La dinamica delle importazioni cinesi, che era debole già prima dello shock pandemico, si conferma molto sotto quella della produzione industriale; anche il rimbalzo dell’export a inizio 2023 si è rivelato effimero (Grafico 26).

Gli scambi degli Stati Uniti e dei paesi dell’Area euro, invece, sono cresciuti molto rapidamente nel biennio 2021-2022, più della produzione industriale, soprattutto per quanto riguarda gli acquisti all’estero, in particolare degli Stati Uniti. Sono stati trainati dalla forte domanda di beni, dalla vivacità degli investimenti, dalla buona dinamica dell’attività manifatturiera e, negli USA, dal rafforzamento del dollaro. Il calo del 2023 appare, quindi, una fisiologica correzione al ribasso.

Grafico In calo l'import USA ed europeo, sempre meno aperta l'economia cinese - Rapporto di previsione ottobre 2023

… in un mondo più frammentato

L’effetto degli shock che hanno caratterizzato gli ultimi cinque anni, dal ritorno dei dazi come strumento di politica commerciale (con l’amministrazione Trump) alla pandemia, con i conseguenti blocchi nelle catene globali di fornitura, all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, all’emergere delle dipendenze critiche come fattore di rischio ed infine, alla guerra in Medio Oriente che rischia di polarizzare ulteriormente le tensioni tra blocchi di paesi, è evidente nella struttura più frammentata degli scambi globali. Il commercio estero non appare più un volano di crescita, quanto una possibile fonte di rischio se il partner commerciale presenta criticità per la sua collocazione politica e per l’eccessiva concentrazione dell’offerta.

Gli effetti di questi cambiamenti si rilevano in una riconfigurazione degli scambi tra blocchi di economie. In particolare, è forte la riduzione degli scambi Cina-Stati Uniti: dal punto di massimo del 2019 ai primi sei mesi del 2023, il peso delle transazioni commerciali bilaterali si è ridotto di quattro punti percentuali per gli Stati Uniti e poco più della metà per la Cina. Inoltre, nell’ultimo anno si registra una riduzione graduale ma costante dell’importanza relativa degli scambi UE-Cina, all’incirca della stessa entità per entrambe le economie (poco meno di un punto percentuale), e un rafforzamento del peso di quelli tra UE e USA, più forte per gli Stati Uniti (due punti percentuali) che per la UE (al livello di massimo pre-pandemia; Grafico 27).

Grafico In aumento i segnali di disaccoppiamento tra Cina e Occidente - Rapporto di previsione ottobre 2023

Deboli investimenti esteri frenano il commercio mondiale

Nel 1° trimestre 2023 i capitali esteri investiti nel mondo hanno registrato un forte rimbalzo, dopo il crollo del 4° trimestre 2022, ma questo non è stato sufficiente a riportarli al livello del 1° trimestre 2022 (ancora sotto del 35%). Gli investimenti diretti esteri continuano ad essere molto concentrati: i due terzi sono stati destinati ai paesi del G-20; di questi, poco meno della metà è stata ricevuta dagli Stati Uniti, grazie anche agli incentivi derivanti dal Chips Act e dall’Inflation Reduction Act; seguono Brasile e Cina con una quota del 9% ciascuno.

Il basso livello medio degli IDE che caratterizza questi ultimi tre anni, inferiore del 17% rispetto al valore di lungo periodo, influirà negativamente sulla dinamica degli scambi globali nel biennio di previsione, considerata l’elevata correlazione esistente tra investimenti e flussi commerciali.

7.2 USA e FED

Rivista al rialzo la crescita USA

Nello scenario del CSC si ipotizza una crescita del PIL degli Stati Uniti del 2,1% nel 2023, che segue il +2,1% registrato nel 2022, e dell’1,4% nel 2024.

L’ultimo dato relativo al PIL, nel 2° trimestre 2023, molto superiore alle attese, ha spostato verso l’alto la variazione acquisita per il 2023 di circa 0,4%, a +1,7%. L’inerzia statistica più favorevole spiega larga parte della revisione al rialzo delle previsioni per il 2023 presentate ad aprile (+1,1%). Le attese più positive sono dovute anche ad una maggiore tenuta delle decisioni di consumo delle famiglie e di investimento da parte delle imprese. Le famiglie hanno goduto di una crescita dei salari orari (+0,37% la media delle variazioni mensili) maggiore dell’inflazione core (+0,33%) e hanno sostenuto gli acquisti erodendo l’extra-risparmio accumulato nel periodo della pandemia: la propensione al risparmio è diminuita più che in altri paesi. Le imprese hanno potuto usufruire delle riduzioni fiscali introdotte con l’Inflation Reduction Act e non hanno ancora sofferto pienamente gli effetti dei tassi elevati di politica monetaria, ad eccezione di quelle operanti nel settore delle costruzioni (Grafico 28).

Grafico Gli investimenti residenziali USA risentono dei tassi elevati - Rapporto di previsione ottobre 2023

Nel 2° trimestre del 2023, infatti, il PIL americano è aumentato dello +0,5% (Grafico 29), dopo tre trimestri positivi consecutivi (+0,6% nel 1°), portando l’economia americana ad un livello cumulato del +2,4% rispetto al 2° trimestre 2022 e del 6,1% superiore a quello pre-pandemia (4° trimestre 2019). La dinamica positiva degli ultimi quattro trimestri è stata trainata in particolare dai consumi che hanno contribuito per +1,3% alla crescita cumulata (+0,3% i consumi di beni, +1,0% quelli di servizi) e per lo 0,1% a quella del 2° trimestre 2023. D’altra parte, gli investimenti fissi lordi hanno confermato il trend negativo già osservato a partire dal 2° trimestre del 2022 (-0,1% la contrazione cumulata), però dovuto esclusivamente agli investimenti in costruzioni (-0,7%, +0,7% gli altri investimenti), cui si aggiunge un decumulo delle scorte (-0,3%). Le esportazioni nette hanno invece contribuito positivamente (+0,9%), come risultante di un decremento delle importazioni (contributo dello 0,6%) e di un miglioramento delle esportazioni (+0,3%), così come la spesa pubblica (+0,7%).

Grafico Crescita del PIL reale USA e contributi delle componenti - Rapporto di previsione ottobre 2023

Nel 3° trimestre del 2023, la produzione industriale ha avuto una buona dinamica, grazie a tre incrementi consecutivi nelle rilevazioni di luglio (+1% mensile), agosto (+0,0%) e settembre (+0,3).. Tali dati delineano una variazione trimestrale di +0,6%, che segue il +0,2% nel secondo trimestre e -0,1% nel primo, e un acquisito annuale di +0,5% rispetto al 2022. Indicazioni favorevoli sono giunte anche dal recupero degli indicatori congiunturali: il PMI e l’ISM manifatturieri sono tornati in corrispondenza o in prossimità della soglia di espansione (rispettivamente 50,0 ad ottobre e 49,0 punti a settembre, +1,2% e +2,1% la crescita trimestrale). L’indice dei Direttori degli acquisti di Chicago ha registrato una battuta d’arresto a settembre (44,1 punti da 48,7), a fronte però di una crescita trimestrale del 3,9%. Gli indici sull’attività manifatturiera locale della FED sono prevalentemente attestati su valori ancora recessivi, ma hanno recuperato negli ultimi tre mesi.

Il mercato del lavoro nel 2023 ha registrato un consolidamento del tasso di disoccupazione (3,7% tra luglio e settembre, da 3,6% nel 2° trimestre). I posti di lavoro creati tra gennaio e settembre 2023 nei settori non agricoli sono stati complessivamente 2,3 milioni (erano stati 4,8 nel 2022, di cui 3,9 nei primi 9 mesi), in aumento nel 3° trimestre (799mila) rispetto al secondo (603mila).

L’indice di incertezza di politica economica americana misurata dall’ EPU Index nel 3° trimestre ha registrato una riduzione del 27,5% rispetto al 2°, mentre il dato acquisito nel 2023 è inferiore del 22,8% se confrontato a quello del 2022. Il dato mensile di settembre risulta in aumento del 24,4% su base mensile, presumibilmente per il rischio di “shut down” della pubblica amministrazione, poi evitato, per il momento, che potrebbe inaugurare un profilo di progressivo aumento della tensione fino alle elezioni di novembre 2024.

Nella seconda metà del 2023 e nel 2024, i conti delle famiglie saranno alleviati dalla riduzione attesa dell’inflazione, anche se l’extra risparmio è stato ormai interamente speso. L’effetto degli elevati tassi di interesse sulle imprese si dispiegherà pienamente nei prossimi tre trimestri, ed inizierà ad attenuarsi nella seconda metà del prossimo anno, dopo il previsto taglio di tre quarti di punto percentuale della Federal Reserve (si veda il paragrafo seguente sulla politica monetaria). In particolare, ne trarranno beneficio gli investimenti in costruzioni, che nell’ultimo anno sono scesi significativamente, come già anticipato dal rialzo dei prezzi immobiliari. Come risultante di tali fattori, il tasso di crescita dell’economia statunitense nel 2024 è ipotizzato essere più moderato rispetto al sorprendente anno in corso.

Fine corsa per i rialzi FED?

La FED, dopo una serie di rapidi rialzi dei tassi ufficiali da marzo 2022, a settembre 2023 li ha tenuti fermi nella forchetta 5,25-5,50%. Il tasso di riferimento prima di questa impennata era a 0,00-0,25%, dall’aprile 2020. Il tasso effettivo FED, da 0,08%, è salito a 5,33% (Grafico 30).

Grafico Tassi americani: fine del rialzo? - Rapporto di previsione ottobre 2023

L’inflazione USA si è ridotta in misura marcata (+3,7% annuo a settembre 2023, ma era scesa fino a +3,1% a giugno), dal picco di +9,1% a giugno 2022. Tuttavia, la misura core resta più alta (+4,1%) ed entrambe sono ancora sopra l’obiettivo (+2,0%). Mentre negli USA i prezzi al consumo dell’energia diminuiscono (-0,5%), pesa sui prezzi la forte domanda interna e quindi le pressioni domestiche; le retribuzioni nominali, in frenata a +4,5% annuo nel 2° trimestre 2023 (da +5,1% a fine 2022), hanno incorporato il precedente aumento dei prezzi.

La disoccupazione USA resta sotto il valore di lungo termine, stimato dalla FED al 4,0% (Grafico 31), pur con qualche incremento negli ultimi mesi. La creazione di nuovi posti di lavoro rimane forte, nonostante la stretta monetaria. Perciò, la FED sembra ritenere che c’è spazio per avere un’economia in salute pur con tassi così alti.

Grafico Obiettivi FED: inflazione ancora un po' alta - Rapporto di previsione ottobre 2023

A settembre il comunicato FED non indica più che il tasso ufficiale sarà alzato nelle prossime riunioni. Tuttavia, una maggioranza, non ampia, dei membri del FOMC (Federal Open Market Committee) intende alzare i tassi di un altro quarto di punto, a 5,50-5,75% entro fine 2023; ma la minoranza di chi vuole tenerli fermi è significativa. Per il 2024, quasi tutti i membri del FOMC (tranne due) intendono abbassare i tassi e una maggioranza si potrebbe formare per tagliare fino al 5,00-5,25% entro fine anno, ovvero di mezzo punto.

Le attese dei mercati indicano come sentiero più probabile che i tassi FED restino fermi al picco attuale fino a fine 2023, pur con una probabilità non trascurabile che ci siano ulteriori rialzi (stime CME). Nel 2024, secondo i future, la FED terrà ancora fermi i tassi nei primi mesi e poi inizierà il taglio, verso metà anno, fino al 4,50-4,75% a dicembre, con una riduzione di tre quarti di punto.

Lo scenario CSC, basato su tali indicazioni, ipotizza che la FED deciderà di lasciare i tassi agli alti livelli attuali fino a dicembre 2023 e poi anche nei primi mesi del 2024. In seguito, a metà anno, si ipotizza l’inizio del taglio dei tassi verso valori meno restrittivi: 4,75% a fine anno. Lo scenario CSC di marzo incorporava un rialzo meno ampio nel 2023 (a un massimo di 5,25%), e poi un taglio maggiore nel 2024.

Il livello neutrale del tasso USA (nominale) di lungo periodo è stimato al 2,50% dal FOMC: il tasso effettivo FED nel settembre 2023 supera tale soglia di 2,83 punti. Ciò indica che nel 2023 la politica monetaria esercita un forte freno sull’economia e l’inflazione USA, tramite il credito più stretto per famiglie e imprese. L’impatto della politica monetaria restrittiva sarà alleggerito nel corso del 2024, quando comunque il tasso FED supererà la soglia neutrale di oltre due punti a fine anno.

La probabilità, non piccola, che la FED invece possa decidere ulteriori rialzi dei tassi, nei prossimi mesi, per continuare a combattere l’inflazione, contando sulla dimostrata resilienza dell’economia USA, rappresenta un rischio al ribasso per lo scenario. Specie se questo inducesse la BCE, per timore di ripercussioni sull’euro (una svalutazione alimenterebbe l’inflazione importata), a inseguire i nuovi rialzi decisi oltreoceano, dove però le dinamiche economiche sono piuttosto diverse rispetto all’Eurozona.

Il tasso FED resta sopra a quello BCE: la distanza in media è pari a +1,2 punti nel 2023 e poco meno nel 2024 (+0,8). Questo differenziale è importante perché, a parità di altri fattori, continua a esercitare una spinta a indebolire l’euro rispetto al dollaro. Tuttavia, i ripetuti rialzi BCE che hanno sostanzialmente tenuto invariata la distanza tra i due tassi rispetto al 2022 (+1,1) hanno evitato il proseguire del trend di svalutazione dell’euro, che ha invece preso a oscillare senza una direzione. Un risultato non sgradito alla BCE, sebbene non sia stato un obiettivo ufficiale.

La FED, inoltre, da giugno 2022 sta limitando il reinvestimento in nuovi titoli americani delle somme incassate dai vecchi bond (acquistati con il piano di Quantitative Easing) che man mano giungono a scadenza: 95 miliardi di dollari al mese non vengono impiegati per i riacquisti di titoli. Il comunicato di settembre ha ribadito questo rapido sentiero di decumulo.

Lo stock di titoli nel bilancio FED, perciò, si sta costantemente riducendo, anche se resta piuttosto ampio: a ottobre in portafoglio ci sono ancora 4.930 miliardi di dollari in Treasury e 2.480 in Mortgage Backed Security; ma negli ultimi 12 mesi il bilancio complessivo si è ridotto di ben 803 miliardi.

La incessante riduzione dello stock di titoli sta rimuovendo la spinta al ribasso sui rendimenti di medio-lungo termine negli USA. Il Treasury decennale, di conseguenza, negli ultimi mesi è risalito in modo piuttosto rapido e costante: 4,33% a settembre, da 3,35% in aprile.

7.3 Eurozona e BCE

L’Eurozona in rallentamento con dinamiche eterogenee tra paesi

La crescita dell’Eurozona è rimasta sostanzialmente piatta nella prima parte dell’anno, ed è attesa continuare così nei prossimi mesi: in media d’anno crescerebbe al tasso già acquisito di +0,5% nel 2023, in linea con lo scenario CSC presentato a marzo scorso. Il ritmo di espansione dell’area rimarrebbe contenuto anche nel 2024: si ipotizza una crescita di +0,6%, al ribasso rispetto a quanto incorporato nello scorso rapporto, per effetto di un trascinamento più debole sul prossimo anno e di un contesto internazionale ancora molto fiacco.

L’economia dell’Area euro è rimasta quasi ferma nei primi 2 trimestri del 2023 (+0,1% in media; Grafico 32). Tra le principali economie europee, la crescita nella prima parte dell’anno è stata sostenuta soprattutto dalla buona performance di Spagna (+0,6% nel 1° trimestre e +0,5% nel 2°) e Francia (0,0% e +0,5%); anche l’Italia ha trainato la crescita dell’Area a inizio anno, ma ha contribuito a frenarla nel trimestre primaverile. Negativa, invece, la performance della Germania, dove il PIL è diminuito marginalmente nel 1° trimestre (-0,1%) ed è rimasto stabile in quello successivo (0,0%) per effetto di fattori sia contingenti che strutturali (si veda il Focus 4). Confrontando il livello del PIL dell’Eurozona al 2° trimestre 2023 con quello dello stesso periodo nel 2022, si rileva un aumento di +0,5%; positiva è anche la crescita tendenziale registrata dai principali partner europei, a parte la Germania: +2,2% la Spagna, +1,0% la Francia, +0,3% l’Italia.

Grafico L'Area euro in rallentamento - Rapporto di previsione ottobre 2023

La debolezza della crescita riflette la stagnazione dei consumi delle famiglie dell’Area, rimasti pressoché fermi nel 1° semestre. Il dato è la sintesi di performance divergenti: in Germania e Francia si è rilevato il calo più intenso della componente, -0,3% nel 1° e 0,0% nel 2° per le famiglie tedesche, +0,1% e -0,5% per quelle francesi. Al contrario, in Spagna e Italia la resilienza dei consumi delle famiglie ha determinato una buona, e largamente inattesa, crescita: rispettivamente +0,3% e +1,0% nei primi due trimestri dell’anno per l’economia spagnola, +0,6% e +0,2% per quella italiana. Ciò riflette anche la migliore performance del settore dei servizi e del turismo, che gioca un ruolo più importante nelle due economie.

Anche gli investimenti hanno mostrato un andamento eterogeneo tra i vari paesi. Cresciuti, nell’Eurozona, di +0,4% nel trimestre invernale e di +0,1% in quello primaverile. La dinamica spagnola si è rivelata essere la più virtuosa: rispettivamente +3,1% e +1,9%, spinta principalmente dal settore delle costruzioni e dei mezzi di trasporto. Gli investimenti tedeschi, nonostante la fase di significativo indebolimento dell’economia, sono saliti di +1,7% nel 1° trimestre e +0,4% in quello successivo, grazie al rimbalzo registrato da tutte le componenti. Negativa, invece, la performance degli investimenti in Francia, in cui si è registrato rispettivamente un -0,3% e -0,1%, e in Italia, dove sono cresciuti di +1,0% nel 1° trimestre ma diminuiti di -1,7% nel 2°.

In prospettiva, i segnali provenienti dai principali indicatori negli ultimi mesi sono di una sostanziale stagnazione. L’indicatore di sentiment economico si è contratto nel 3° trimestre (93,8 da 96,9), così come quello relativo alle aspettative occupazionali (102,8 da 105,7). Il PMI composito dell’Area euro ha registrato a settembre la quarta contrazione consecutiva, sebbene in leggera risalita rispetto ad agosto (47,2 da 46,7).

Da notare l’emergere di una forte diversificazione a livello settoriale: il valore aggiunto dell’industria è sceso (-1,1% nel 1° trimestre, -0,3% nel 2°), e in prospettiva non sembra migliorare. Quello delle costruzioni ha iniziato a mostrare i primi segni di indebolimento (+2,1% nel 1° e -0,5% nel 2°), ancora sotto i livelli pre-pandemia (-0,9%) ed è atteso in peggioramento. Ha mostrato una certa resilienza, invece, il settore dei servizi (+0,5% e +0,2%), seppure con un ritmo tendente verso il basso, anche nel trimestre estivo.

Un ulteriore fattore di eterogeneità è legato all’inflazione. Se in aggregato è in diminuzione (si veda il paragrafo seguente), permane una forte differenziazione tra i paesi dell’area: si va da +9,0% della Slovacchia a -0,3% dei Paesi Bassi; paesi come la Spagna (+3,3%) si collocano al di sotto della media dell’Area (+4,3%), mentre altri, come Italia e Francia, al di sopra, rispettivamente +5,6% e +5,7% (indici IPCA; Grafico 33). Questa divergenza, derivante soprattutto dalla diversa risposta delle politiche nazionali e dalla diversa esposizione ai rincari energetici (in termini di dipendenza e consumi), rende non omogenea la trasmissione della politica monetaria unica. Inoltre, le ultime previsioni della BCE, pubblicate a settembre, rivedono al rialzo l’inflazione per l’anno in corso rispetto a quelle di giugno (+5,6% da +5,4%) e ancora sopra il target nel 2024 (+3,2% da +3,0%). Ciò continuerà a comprimere il potere d’acquisto delle famiglie, solo in parte compensato dalla spinta proveniente dagli aumenti salariali e da una buona tenuta dell’occupazione.

Questa fase di rallentamento dell’economia è attesa protrarsi anche nella prima parte del 2024. Nella seconda metà, l’inflazione più contenuta e la riduzione attesa dei tassi di interesse contribuiranno a creare condizioni più favorevoli per imprese e famiglie.

Tuttavia, altri venti contrari si sono intensificati più di recente: l’accresciuta incertezza e le tensioni geopolitiche ulteriormente acuite dal recente conflitto in Israele. Questi ultimi fattori potrebbero penalizzare ulteriormente il contesto economico dell’Area euro, in primo luogo attraverso il canale del commercio, particolarmente sensibile alla frammentazione politica (si veda il paragrafo 7.1); in secondo luogo, in ragione di un rischio tangibile, seppur esiguo per il momento, di un aumento del prezzo del petrolio (si veda par. 7.4).

Grafico Tassi di inflazione diversi tra i paesi dell'Area euro - Rapporto di previsione ottobre 2023

BCE: fine corsa per i tassi?

La BCE a settembre ha alzato ancora i tassi ufficiali (a 4,50%), proseguendo nella rapida stretta monetaria iniziata a luglio 2022. Rispetto alla policy monetaria iper-espansiva mantenuta nell’Eurozona per oltre 6 anni (2016-2022), la restrizione è stata forte e brusca: il tasso principale (sui prestiti alle banche) era a zero; quello sui depositi delle banche, che ora è salito al 4,00%, era negativo, fino alla primavera 2022 (-0,50%; Grafico 34).

Grafico Proseguito a settembre il rialzo dei tassi BCE e dell'Euribor - Rapporto di previsione ottobre 2023

La BCE ha deciso i rialzi per abbassare l’inflazione, che nel 2022 era troppo sopra l’obiettivo del +2,0%, sebbene conscia che, inizialmente, questa fosse stata spinta in alto solo dai prezzi energetici. In particolare, la BCE si è impegnata a tenere a freno le aspettative di inflazione. Anche limitando l’indebolimento del cambio (che accresce i prezzi in euro delle commodity quotate in dollari e alimenta l’inflazione importata), legato alla veloce risalita dei tassi USA, che Francoforte ha, in parte, dovuto “inseguire” nell’ultimo anno. Il rialzo dei tassi BCE dal 2022 ha in effetti interrotto la svalutazione dell’euro, che pure a tratti, come negli ultimi due mesi, perde terreno sulla divisa USA.

Intanto, i prezzi energetici, frenando, stanno riducendo l’inflazione totale (+4,3% a settembre 2023, da un picco di 10,6% a ottobre 2022), ma ancora su valori elevati. La dinamica di fondo dei prezzi, al netto di energia e alimentari, sta anch’essa rallentando (+4,5%). La novità, dai mesi estivi, è che ora la core è poco sopra quella totale, dopo aver incorporato tra fine 2022 e inizio 2023 gli effetti di second round degli stessi rincari energetici che richiedono più tempo per essere smaltiti.

Il ribasso delle quotazioni di gas e petrolio da fine 2022, che non è legato alle mosse restrittive della BCE, ha favorito l’avvicinamento all’obiettivo di inflazione di Francoforte. Già agevolato anche dalla frenata dell’economia europea determinata dagli effetti dello shock energetico. Questi due fattori hanno agito nella direzione di tenere ancorate le aspettative di inflazione e ad essi si è aggiunto il rapido e consistente rialzo dei tassi da parte della BCE.

Rialzo che però indebolisce ulteriormente l’economia, come la stessa Banca Centrale ricorda nei suoi comunicati, tramite l’impatto restrittivo che i maggiori tassi hanno sulla domanda interna. Pur in mancanza di una stima ufficiale del tasso “neutrale” nell’Eurozona, ai livelli attuali e viste le stime di vari istituti, è certo che la policy è in territorio molto restrittivo. Lo conferma l’ultimo comunicato BCE, che da mesi non parla più di “normalizzazione”, ma di livelli “sufficientemente restrittivi” dei tassi.

Il rialzo dai tassi ufficiali ha determinato un brusco aumento del tasso Euribor, che è il principale parametro di riferimento nei finanziamenti dei consumi e degli investimenti: 3,97% in media a ottobre 2023, da -0,50% a marzo 2022, un aumento di oltre quattro punti. Questo balzo dei tassi di mercato (in gran parte, ma non interamente finora, trasferito nel costo del credito) è la principale causa della riduzione in corso del credito all’economia.

A settembre, la Banca centrale ha indicato che l’esatto sentiero dei tassi sarà definito di seduta in seduta, dipendendo dai nuovi dati su inflazione ed economia in generale. Certamente, il livello dei tassi resterà alto per un “periodo sufficientemente lungo”, ma la BCE non esclude a priori né ulteriori rialzi (verosimilmente limitati), né l’inizio di una fase di tagli.

I future sull’Euribor indicano un tasso stabile nei prossimi mesi, a un massimo di 3,99% nel dicembre 2023. A ciò farebbe seguito nel 2024, poco prima di metà anno, un’inversione di rotta, con un tasso di mercato che arriverebbe a 3,31% a fine anno, coerente con un taglio di 0,50/0,75 punti. Secondo i mercati, quindi, i tassi sono già al picco e resteranno stabili per 7/8 mesi, prima di scendere.

Lo scenario CSC segue le indicazioni dei future e quelle contenute nei comunicati BCE: i tassi ufficiali resteranno fermi nei prossimi mesi, al 4,50%. Intorno a giugno 2024 si ipotizza un primo taglio, cui seguirà un altro entro fine anno, entrambi di un quarto di punto, arrivando al 4,00% a dicembre.

Rispetto a questo scenario, c’è un rischio al rialzo per l’economia, legato a una possibile discesa più veloce dell’atteso dell'inflazione europea (grazie al forte “effetto base” favorevole a ottobre 2023): ciò potrebbe indurre la BCE ad anticipare la discesa dei tassi, a inizio 2024.

Oltre che sui tassi, la BCE a seguito del balzo dell’inflazione sta stringendo la policy monetaria anche tramite lo strumento dei titoli (Grafico 35). Ha fermato già nel 2022 i programmi di nuovi acquisti di titoli emessi nell’Eurozona (PEPP in aprile, QE-2 a luglio).

Grafico Portafoglio titoli della BCE in rapido calo - Rapporto di previsione ottobre 2023

Poi, da luglio 2023, sta lasciando diminuire lo stock di titoli acquistati con il QE-2, non riacquistando più titoli in scadenza (-28 miliardi al mese, in media). Dopo che già tra marzo e giugno aveva iniziato una riduzione lenta, tramite reinvestimenti parziali in titoli (-15 miliardi al mese). Riguardo al PEPP, invece, la BCE ha confermato a settembre 2023 che continuerà fino a fine 2024 a reinvestire in titoli tutte le somme incassate da quelli che scadono, tenendo costante lo stock.

Quindi al momento l’unico canale attraverso cui la domanda BCE continua ad essere presente sui mercati dei titoli nell’Eurozona sono questi riacquisti di titoli PEPP in scadenza ogni mese. Da inizio 2023, perciò, la domanda totale di titoli si sta riducendo, allentando il freno ai tassi di mercato.

Questo significa che il totale dei bond nel bilancio BCE si sta riducendo abbastanza rapidamente: 4.778 miliardi di euro a ottobre, da 4.942 a inizio 2023 (-164). I titoli pubblici sono scesi a 2.468 miliardi, assorbendo la gran parte della riduzione complessiva (-119). I corporate bond emessi da imprese europee sono scesi a 330 miliardi (-14), i covered bond a 292 (-10), gli ABS a 15 (-8). Anche lo stock di titoli acquistati col Pandemic Programme si è, di fatto, ridotto di poco (1.669 miliardi, -14) .

Questa mossa ha lasciato spazio a un aumento dei tassi di medio-lungo termine nell’Area euro (2,84% il Bund decennale a ottobre 2023, da 2,19% a gennaio), senza che ne risentissero gli spread sovrani, rimasti sostanzialmente sui livelli di inizio anno (+1,86 il BTP-Bund a ottobre, da +1,90 a gennaio).

Il terzo strumento tramite cui agisce la stretta BCE sono i prestiti alle banche. Le TLTRO-3, operazioni “straordinarie” della durata di 3 anni, con le quali la BCE aveva prestato ampie risorse alle banche europee e rivelatesi fondamentali nel 2020-2021 per evitare difficoltà nella raccolta bancaria, stanno via via giungendo a scadenza. Ne restano in campo cinque, già ridotte nell’ammontare dai rimborsi anticipati delle banche, per un totale di prestiti pari a 491 miliardi (498 incluse le operazioni ordinarie, di cui 162 a banche italiane, da 332 a inizio anno). Le TLTRO-3 arrivano a scadenza ogni tre mesi, l’ultima a dicembre 2024: la maggiore è quella che scade a marzo 2024 (258 miliardi).

Il venir meno di queste risorse BCE potrebbe creare qualche difficoltà nella raccolta alle banche. In effetti, prime avvisaglie si sono viste nell’indagine BLS, che ha segnalato qualche moderata difficoltà sui mercati e la liquidità tra fine 2022 e inizio 2023. La BCE, comunque, a settembre ha sottolineato che sta monitorando la situazione: al momento, non ha deciso nuovi interventi.

7.4 Commodity

Il petrolio si stabilizza su prezzi alti

Il prezzo del petrolio Brent ha iniziato bruscamente a risalire da giugno 2023, quando era a 75 dollari al barile, dopo una lunga fase di moderazione da metà 2022 (picco a giugno a 123 dollari). Ciò lo ha riportato a 94 dollari in media a settembre e a 90 in ottobre, un livello di nuovo molto sopra a quello “di equilibrio” (60-70 dollari) per il mercato mondiale.

Tale rincaro, che ha registrato una pausa di recente, non sembra collegabile alla guerra in Ucraina e alla posizione della Russia che è uno dei principali produttori di petrolio al mondo (10,5% del totale nei primi 9 mesi del 2023). Finora, l’impatto sui prezzi petroliferi della ulteriore guerra in Israele, esplosa dal 7 ottobre, sembra molto esiguo.

Ad aver pesato sul recente rialzo del prezzo possono essere stati gli annunci OPEC di tagli della produzione, sebbene l’obiettivo dichiarato fosse stabilizzare il mercato. Il gruppo di paesi OPEC e non-OPEC a ottobre, infatti, ha espresso apprezzamento per i precedenti tagli volontari, unilaterali, all’estrazione di Arabia Saudita e Russia (fino a fine 2023), rispetto alle quote stabilite.

I punti di svolta nelle quotazioni, anche in questi ultimi anni “anomali” sono stati in effetti guidati dai dati sul mercato fisico del petrolio, la cui situazione è sintetizzata dalle scorte di greggio (Grafico 36). Dopo una lunga fase di squilibri e riaggiustamenti tra domanda e offerta mondiale tra 2020 e 2022, le scorte nei paesi OCSE si sono andate stabilizzando su un livello poco sotto a quello pre-pandemia, da inizio 2023. Mostrando qualche flessione di recente, che spiega il balzo del prezzo nei mesi estivi.

Grafico Petrolio: la stabilizzazione del mercato fisico ferma il prezzo - Rapporto di previsione ottobre 2023

Lo scenario di ottobre della Energy Information Administration prevede una stabilizzazione del prezzo sui livelli di settembre: 91 dollari a fine 2023, 94 a fine 2024. Nello scenario CSC, incorporando tale indicazione, si ipotizza il permanere del prezzo sui valori attuali fino a fine 2023 e a ciò seguirebbe una sostanziale stabilità nel corso del 2024. Il Brent quindi è ipotizzato attestarsi, in media, a 85 dollari nel 2023 (grazie al fatto che era più basso nella parte centrale dell’anno) e poi a 90 nel 2024. Rispetto allo scenario CSC di marzo, ciò comporta una revisione al rialzo per il biennio, piccola per il 2023 (+2 dollari), ampia per il 2024 (+10 dollari).

Rispetto a questo scenario, ci sono nuovi rischi di un possibile ulteriore aumento delle quotazioni petrolifere, connessi a un eventuale allargamento della guerra in Medio Oriente che finisca per coinvolgere anche paesi dell’area che sono significativi produttori di greggio (es. Iran, che conta per il 2,7% del totale mondiale).

Nel 2023 si registra una significativa crescita della domanda (+1,8 mbg), un po’ meno dell’offerta mondiale (+1,3 mbg, stime EIA). L’estrazione resta comunque sopra i consumi, per cui il mercato mondiale è ancora ben rifornito, anche se con meno abbondanza rispetto al 2022 (+0,3 mbg, da +0,8). Le scorte di greggio OCSE hanno continuato a risalire, specie nella prima metà del 2023, tornando quasi ai valori pre-pandemia (-2,8% a settembre rispetto alla media 2019).

La risalita dell’offerta nel 2023 è stata dovuta soprattutto agli USA (+1,5 mbg), mentre l’estrazione è stata ridotta nei paesi OPEC (-0,9) e in Russia ha subito limitate ripercussioni (-0,3 dal 2022, quando era addirittura aumentata, solo -0,1 rispetto al 2021). L’aumento dei consumi di petrolio è stato concentrato in Cina e altri emergenti asiatici, mentre negli USA e Europa sono rimasti stabili. Si è consolidata, intanto, la redistribuzione dei flussi avviata nel 2022: i paesi occidentali acquistano meno petrolio russo, che è importato di più da altri paesi asiatici. Questa “transizione” comunque difficile è uno dei motivi di un prezzo più alto del “normale”, nonostante l’offerta totale sia abbondante.

Nel 2024 è atteso che i consumi continuino a crescere significativamente (+1,3 mbg), mentre l’estrazione frenerebbe (+0,9 mbg). Ciò riporterebbe la domanda appena sopra l’offerta, in sostanziale pareggio (appena -0,1 mbg il divario). Si fermerebbe quindi nel 2024 la risalita delle scorte OCSE, che subirebbero una marginale erosione, poco sotto i livelli pre-pandemia (-3,9% a fine anno). Questo andamento del mercato fisico mondiale, che sostanzialmente si equilibra come flussi, ma con stock poco sotto la media storica, motiva l’ipotesi CSC di un prezzo che tende a stabilizzarsi nel 2024, restando però di circa 20 dollari sopra il tradizionale valore obiettivo dei paesi petroliferi.

L’estrazione si stabilizzerebbe nel 2024 in Russia e nell’OPEC, mentre frenerebbe molto negli USA, pur restando in crescita (+0,4 mbg). La gran parte della crescita della domanda verrebbe ancora da Cina ed emergenti asiatici, poco dagli USA, mentre in Europa si avrebbe un piccolo calo (-0,1 mbg).

Prezzo del gas in moderato aumento

Lo scenario CSC ipotizza un prezzo del gas in Europa intorno ai valori attuali nei mesi finali del 2023 (37 euro/mwh, pari alla media di settembre-ottobre) e poi in marginale aumento nel 2024, quindi sopra i minimi raggiunti quest’anno. Il prezzo TTF si assesta perciò a 40 euro in media nel 2023 (molto sotto i 124 euro medi del 2022) e a 44 nel 2024, con una revisione al ribasso rispetto allo scenario CSC di marzo nei due anni (-10 e -6 euro/mwh).

Negli ultimi mesi il prezzo del gas europeo è leggermente aumentato (Grafico 37): dopo il minimo toccato nell’estate 2023 (30 euro in media a luglio), ha virato al rialzo ma in misura molto limitata rispetto ai picchi del 2022. La volatilità giornaliera resta ampia: nel corso di ottobre, è salito da 28 a 49 euro in pochi giorni (a cavallo dello scoppio del conflitto in Israele e dell’incidente a un impianto in Finlandia).

Grafico Prezzi del gas più moderati, ma molto più alti in Europa - Rapporto di previsione ottobre 2023

I prezzi rimangono, inoltre, più alti dei valori pre-pandemici: nel 2019 il gas era in media a 14 euro: siamo a valori quasi triplicati. I timori di scarsità di volumi in Europa nella prossima stagione invernale, tra fine 2023 e inizio 2024, sono molto più moderati rispetto allo scorso anno: i prezzi correnti sembrano incorporare poco tale rischio. L’aumento degli stock di gas nei primi 7 mesi del 2023 è stato maggiore in Italia rispetto al 2022: perciò, il fabbisogno per stoccaggi nei prossimi mesi è basso. I paesi UE hanno anche ridotto i consumi di gas (-15% annuo in Italia nei primi 7 mesi del 2023), limitando il fabbisogno di import. Ciò grazie pure alle condizioni climatiche favorevoli nei mesi invernali (non per l’estate).

L’import di gas russo nell’Europa occidentale è stato ridotto in misura marcata già nel 2022 e ancor più nel 2023 (in Italia, Tarvisio conta quest’anno solo per il 6% del totale), rimpiazzato da forniture alternative (altri paesi esportatori, ma anche altre fonti energetiche). Proprio questa complessa “transizione”, che però difficilmente sarà totale, e il connesso maggiore ricorso a paesi fornitori anch’essi non politicamente affini (es. Algeria), finiscono per tenere alto il prezzo del gas.

Il prezzo del gas negli USA, similmente, si è ridotto molto fino a un minimo a maggio 2023 (2,15 dollari/mmbtu, dal picco di 8,79 nell’agosto 2022) e poi ha subito una lieve risalita fino a settembre (2,64). Il livello è più alto rispetto al pre-pandemia (+18% da fine 2019), ma in misura molto meno ampia rispetto all’Europa (+150%). Anche perché il rincaro negli USA nel 2022 era stato nettamente inferiore: nel mese di picco, agosto, il prezzo europeo era 8 volte più alto di quello americano. I due mercati, infatti, sono in gran parte “separati” dalla distanza fisica, perché il gas è trasportato principalmente tramite gasdotti nei singoli continenti, mai transoceanici, mentre ancora oggi è relativamente meno utilizzato il GNL trasportato tramite navi.

Commodity un po’ meno care

I prezzi delle commodity non energetiche sono in riduzione nel corso del 2023: alimentari -4,5% a settembre rispetto a fine 2022, metalli -8,2% (prezzi in dollari; Grafico 38). La flessione dei prezzi sembra, in generale, essere legata al peggioramento delle attese di crescita per molti paesi avanzati ed emergenti, che frena le prospettive della domanda mondiale.

Grafico Commodity: quotazioni in moderato calo - Rapporto di previsione ottobre 2023

Tra i metalli, è più contenuto il ribasso della quotazione del rame (-1,2%), più ampio quello dell’alluminio (-9,0%). Tra i prezzi alimentari, diminuisce molto il prezzo del grano (-18,5%), mentre cresce quello del riso.

Le quotazioni, però, restano tutte molto alte rispetto ai livelli pre-pandemia: metalli +30,6% da fine 2019, alimentari +40,2%. Il 2023 è il quarto anno consecutivo con prezzi molto alti rispetto al passato: i rialzi si sono dunque rivelati persistenti, perché alle tensioni post-pandemia del 2021 si sono sommate nel 2022 le spinte al rialzo a seguito del conflitto in Ucraina. Ciò pesa sui costi delle imprese e sulla spesa delle famiglie italiane.

Le previsioni della Banca mondiale, nello scenario elaborato in aprile, ipotizzavano già che le quotazioni di numerose commodity non energetiche sarebbero calate molto nel 2023: per gli alimentari -7,9% nell’intero anno, per i metalli -8,9%.

Per il 2024, la Banca mondiale prevede un’ulteriore flessione dei prezzi non-energy, ma più moderata, sia per gli alimentari (-2,8%), che per i metalli (-3,2%). Questi modesti cali attesi, però, lasceranno i prezzi ancora su valori elevati per un altro anno.

7.5 Emergenti

Dinamiche differenziate tra gli emergenti

I paesi emergenti subiscono effetti eterogenei dal mutato contesto internazionale caratterizzato da inflazione più contenuta, ma ancora elevata, e tassi d’interesse ai massimi nei paesi avanzati. Soprattutto questi ultimi continuano a rendere evidenti le vulnerabilità delle economie emergenti in termini di solidità delle finanze pubbliche e bilanciamento delle partite correnti.

Sulla crescita degli emergenti pesa soprattutto la ripartenza più lenta delle attese della Cina che, anche in prospettiva, soffre l’incertezza sul ritorno a un sentiero di crescita stabile per fattori congiunturali che s’innestano su problemi strutturali (si veda il Focus 8).

Nel 2022 la crescita dei paesi emergenti è stata del 4,1%: tutte le principali economie erano cresciute tranne la Russia che ha registrato un segno negativo (-2,1%). Nel biennio di previsione 2023-2024, sono ipotizzate crescere rispettivamente del 3,9% e del 4,0%, in peggioramento di 0,1 e 0,5 punti rispetto allo scenario CSC di marzo (Grafico 39).

Grafico L'andamento atteso per i principali paesi emergenti - Rapporto di previsione ottobre 2023

L’inflazione resta elevata per molti paesi emergenti

L’andamento dei prezzi resta allarmante in Argentina, dove l’inflazione è fuori controllo e si prevede che raggiunga il 122% nel 2023 (+49 punti percentuali rispetto al 2022; Grafico 40). L’attesa del FMI è che l’inflazione cali di circa 30 punti percentuali entro il 2024. Intanto, il quadro macroeconomico è reso ancor più difficile dalla contrazione del PIL del -1,8% nel 2023 (e quasi stabile nel 2024).

Grafico I paesi asiatici crescono controllando l'inflazione - Rapporto di previsione ottobre 2023

Le altre economie caratterizzate da tassi d’inflazione relativamente elevati, ma che lasciano ancora margini di manovra per contrastarli, sono: la Turchia (51%), l’Iran (47%), il Pakistan (29%), la Nigeria (25%) e l’Egitto (24%). Tra il 2022 e il 2023, alcuni di questi paesi hanno mostrato un balzo consistente nel tasso di inflazione: Pakistan (+17 punti percentuali), Egitto (+15) e Nigeria (+6). Invece, è rilevante il calo dell’inflazione registrato in Turchia (-21 punti percentuali rispetto al 2022).

Seppur partendo da livelli più bassi, si è registrato un calo consistete anche in Russia, dove l’inflazione scende al 5% nel 2023 dal 13,8% del 2022 (quasi -9 punti percentuali).

A fronte di una crescita sostenuta, le economie emergenti asiatiche sono riuscite a mantenere tassi di inflazione moderati nel 2023 (4% in media), che sono previsti calare leggermente nel 2024. Particolarmente bassa l'inflazione cinese, che dovrebbe calare allo 0,7% nel 2023 e risalire, invece, al 1,7% nel 2024.

Meno entrate per i paesi petroliferi

Si affievolisce, almeno momentaneamente, il sollievo alle partite correnti per i paesi esportatori di idrocarburi (Grafico 41). Rispetto alle previsioni di marzo, in Arabia Saudita, Russia e Iran le partite correnti, pur rimanendo in surplus, hanno registrato una riduzione dal lato delle entrate a seguito del calo del prezzo del petrolio e delle altre materie prime, più o meno rilevante in base al peso del settore nell’economia. Arabia Saudita e Russia hanno mostrato anche un consistente peggioramento dei propri saldi di bilancio pubblico.

Grafico Partite correnti degli esportatori di idrocarburi in calo - Rapporto di previsione ottobre 2023

L’effetto opposto, ovvero di miglioramento per i saldi commerciali, è atteso per Colombia, Turchia e Filippine, che risultano più esposti dal lato delle partite correnti, importando gran parte degli idrocarburi necessari a soddisfare il proprio fabbisogno energetico. India, Pakistan e Brasile si confermano tra le economie emergenti che manifestano un più evidente “deficit gemello”, ovvero un disavanzo simultaneo di partite correnti e bilancio pubblico.

Peso argentino e lira turca ancora in caduta libera, giù il rublo

Sul fronte valutario, non si arresta la caduta del tasso di cambio dollaro/peso argentino e dollaro/lira turca, che rispetto al livello di fine 2018 hanno perso rispettivamente circa il 90% e l’80% del loro valore (Grafico 42). Sul peso argentino, oltre all'inflazione, incidono una serie di fattori: l’incertezza politica legata alle elezioni presidenziali, che influisce sulle scelte di investimento, e il grado di priorità che sarà data alle rinegoziazioni con il FMI per evitare un altro default. Sulla lira turca invece permangono le debolezze economiche strutturali illustrate in precedenza: un deficit gemello e un’elevata inflazione.

Il rublo, dopo l’impennata nei primi mesi della guerra in Ucraina, ha mostrato un rapido calo rispetto al dollaro, posizionandosi molto al di sotto del tasso precedente al conflitto (-16 punti percentuali rispetto a gennaio 2022). Pesano ancora la guerra, le sanzioni economiche e soprattutto il riassestamento, seppur parziale, del prezzo di gas e petrolio: l’andamento del tasso di cambio del rublo è molto correlato con l’andamento dei prezzi di queste fonti energetiche.

Infine, i tassi di cambio dello yuan cinese e della rupia indiana mostrano una moderata ma continua svalutazione, che si contrappone al leggero recupero del cambio brasiliano. Va comunque tenuto presente il rafforzamento del dollaro, che in media pesa su tutti i cambi bilaterali.

Grafico Prosegue la caduta del peso argentino e della lira turca; rublo in calo - Rapporto di previsione ottobre 2023

Ripartenza più difficile del previsto per l’economia cinese

Dopo l'abbandono delle politiche "zero Covid", che aveva inizialmente fatto sperare in una rapida ripresa nei settori dei servizi e delle vendite al dettaglio, la crescita rimane fiacca in Cina soprattutto a causa della debolezza generale della domanda. Ciò nonostante, l’economia dovrebbe essere in grado di raggiungere l’obiettivo governativo di crescita fissato attorno al +5% per il 2023 e al +4,5% per il 2024. A differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti, la ripresa post-pandemia non ha generato pressioni inflazionistiche e la politica monetaria è stata solo moderatamente accomodante. In Cina si è mantenuta una dinamica dei prezzi molto bassa, per cui la Banca centrale potrebbe muoversi in controtendenza rispetto alle altre banche dei paesi avanzati.

La produzione industriale e la crescita delle vendite al dettaglio sono in moderata ripresa. La persistente debolezza dell’industria deriva anche da una domanda estera fiacca. Allo stesso tempo, la crescita degli investimenti continua a rallentare, mentre le esportazioni e il settore immobiliare registrano un persistente declino. La produzione nel settore dei servizi è cresciuta, seppur a tassi contenuti.

Resiliente l’economia indiana

Nonostante le sfide legate all’elevata inflazione, alla rupia più debole e alla politica monetaria più restrittiva, la crescita del PIL indiano si è dimostrata sostenuta nel 2022 (+7,2%) e si assume che resti una tra le economie emergenti più performanti nei due anni di previsione, con tassi di crescita rispettivamente del +6,3% e +6,1%. Anche gli indici PMI del manifatturiero confermano la tendenza espansiva. A luglio 2023, l’inflazione al consumo ha raggiunto il valore più alto da 15 mesi, ma entro fine anno dovrebbe assestarsi attorno al 5,5% e scendere al 4,6% nel 2024. Per questo si prevede che la Reserve Bank of India manterrà il tasso di policy al 6,50% per gli ultimi mesi del 2023, mentre è probabile una riduzione dei tassi entro la metà del 2024.

La politica monetaria brasiliana in allentamento

Seppur sulle prospettive di crescita del Brasile pesino i rallentamenti delle economie dei paesi avanzati, le previsioni sono state riviste al rialzo per il 2023. La crescita economica è trainata dal settore dei servizi, mentre i consumi privati sono ancora compressi per via di inflazione e tassi di interesse relativamente elevati. La banca centrale brasiliana, che aveva attuato tra le prime una politica monetaria molto restrittiva per ridurre l’inflazione (al 4,7% nel 2023 dal 9,3% del 2022), ha iniziato ad allentare la stretta per sostenere la ripresa economica. Ci si aspetta che il calo dei tassi ufficiali prosegua, sulla scia di quanto già avvenuto nei mesi scorsi (al 12,75% a fine settembre dal 13,75% del 2022) a tal punto che il tasso di policy potrebbe scendere ben al di sotto del 10% a fine 2024.

L’economia russa continuerà a risentire delle sanzioni occidentali

Da un lato la Russia è riuscita a contenere i danni subiti dalle sanzioni e dalla riduzione dei quantitativi di gas esportati in Europa grazie all’aumento dei prezzi e all’apertura di nuove relazioni commerciali, soprattutto con la Cina e altri paesi asiatici. Dall’altro, però, le prospettive di crescita future potrebbero essere ostacolate dalle restrizioni commerciali, che hanno portato con sé l’esodo delle multinazionali occidentali e, quindi, il ritiro di una vasta porzione degli investimenti privati. La domanda interna sarà il principale traino della crescita economica nel 2023 e 2024, attesa essere +1,8% e +1,2% nei due anni di previsione. La politica monetaria è prevista restare rigorosa, con controlli sui capitali e altre misure non monetarie per sostenere il tasso di cambio.

7.6 Cambio

Euro di nuovo in calo

Il tasso di cambio dell’euro sul dollaro, sceso sotto la parità a ottobre 2022, è risalito fino a luglio 2023, per poi calare nuovamente intorno a 1,05 in ottobre, un livello nettamente inferiore a quello medio degli ultimi anni (1,13 dal 2018; Grafico 43).

Il cambio effettivo nominale dell’euro (rispetto a 41 valute mondiali) ha registrato, però, una dinamica molto più robusta, tornando sopra il precedente picco raggiunto a fine 2020. L’euro, infatti, si è rivalutato rispetto a un ampio insieme di valute, anche per gli effetti asimmetrici dello shock russo sui prezzi dell’energia e delle diverse risposte delle banche centrali nelle altre economie mondiali.

Grafico Si è arrestata la risalita dell'euro - Rapporto di previsione ottobre 2023

Il rafforzamento del dollaro era iniziato nel 2021, con le pressioni inflazionistiche e le aspettative di un avvio del processo di normalizzazione delle politiche della FED, e si era rafforzato nel 2022, con l’effettivo avvio del forte rialzo dei tassi USA. La risalita dell’euro da fine 2022 è stata favorita, invece, dall’accelerazione dell’aumento dei tassi da parte della BCE, che ha seguito quello USA. La distanza tra i tassi si è poi stabilizzata nel 2023, non esercitando di fatto particolari pressioni sul tasso di cambio, nonostante il tasso USA resti più alto.

Il recente indebolimento della moneta unica può essere spiegato da altri due fattori (che ne avevano sostenuto il recupero): la debole dinamica del PIL europeo, a fronte di una crescita robusta negli USA, e le nuove tensioni al rialzo sui prezzi energetici, in un contesto di elevata incertezza geopolitica. Ciò rappresenta anche un rischio al ribasso per la moneta unica.

Il CSC assume nel biennio previsivo un cambio dollaro-euro stabile intorno ai valori di settembre-ottobre 2023 (1,06), su un livello poco diverso rispetto ai valori medi del 2022 (1,05). In media annua, con tale ipotesi si arriva a 1,08 nel 2023, un +2,5% rispetto all’anno scorso.

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