L’intensità energetica dell’industria si riduce nel 2022: possibili spiegazioni

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Molti anni di sostanziale stabilità geopolitica in Europa avevano garantito la “sicurezza” energetica sia in termini di copertura del fabbisogno di gas, come volumi fisici, sia in termini di competitività nei prezzi di fornitura, incoraggiando l’utilizzo di questa fonte energetica nell’attività produttiva delle imprese. Sul finire del 2021, l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche, in particolare del gas che si è trasferito anche all’elettricità, intensificatosi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, ha posto seri rischi per il settore industriale.

Prezzi di gas ed elettricità molto elevati nel 2022

Il prezzo del gas sul mercato europeo, che nel decennio 2010-2020 si aggirava attorno ai 20 euro/mwh, è aumentato in media nel 2022 di +928% rispetto al pre-Covid, raggiungendo picchi di 330 euro/mwh la scorsa estate. Dinamica simile per il prezzo dell’elettricità che, in Italia, ha registrato un aumento significativo raggiungendo in media i 304 euro/mwh al prezzo d’acquisto (+533% nel 2022 dal pre-Covid). Infine, il petrolio, sebbene in maniera più contenuta, è rincarato del +68% nel 2022 dal pre-pandemia.

Tali rincari hanno influito significativamente sulle bollette energetiche delle imprese italiane, che ne hanno subìto in maniera eterogenea gli effetti negativi sui costi di produzione. Nel complesso, i consumi di energia dell’industria italiana rappresentano quasi un quarto dei consumi di energia del totale economia. In particolare, il settore industriale è un grande consumatore di gas, petrolio, elettricità, rappresentando circa il 22% del consumo totale.

Riduzione dell’intensità energetica

L’industria italiana ha reagito ai rincari diminuendo l’uso complessivo di energia, sia in assoluto (-9,2% nel 2022), che per unità di prodotto. La riduzione dell’intensità energetica non è un fenomeno nuovo: da decenni i paesi occidentali hanno fatto grandi sforzi su questo fronte.

Negli ultimi anni il decoupling tra performance economica di un paese e l’utilizzo di risorse energetiche, nonché la capacità di un’economia di slegare l’ammontare di ricchezza prodotta dall’utilizzo di risorse e dall’impatto ambientale, è al centro della transizione energetica. La lotta al cambiamento climatico e l’evoluzione verso un paradigma economico che si pone come obiettivo la riduzione delle emissioni climalteranti accelera, infatti, la trasformazione produttiva verso modelli più sostenibili e meno esposti alle fonti fossili, con l’intento anche di favorire prezzi energetici contenuti e bollette meno onerose. Nel 2022 il processo potrebbe essersi intensificato, in ragione dei prezzi inediti di tali fonti.

Nel 2012 l’intensità energetica dell’industria italiana era pari a 101 tonnellate equivalenti di petrolio per milione di euro di valore aggiunto. Nel 2020 e nel 2021, la pandemia ha parzialmente interrotto questo processo virtuoso. Nel 2022, il rapporto è sceso a 79,9, riducendosi di circa il 10% rispetto al 2021, a fronte di una sostanziale tenuta del valore aggiunto dell’industria (Grafico A). L’intensità energetica sembra quindi essersi riportata sul sentiero di riduzione di lungo termine.

Grafico Scende l’intensità energetica dell’industria italiana - Rapporto CSC primavera 2023

Diminuiti i consumi di gas, soprattutto nell’industria

Nel ridurre i consumi energetici, l’economia italiana, così come altre economie europee, ha compresso soprattutto i consumi di gas (Grafico B). In parte per effetto dei timori di razionamento dei volumi provenienti dalla Russia, in parte come risposta al forte rincaro del prezzo; un qualche ruolo possono aver avuto anche le sollecitazioni governative nazionali ed europee che hanno invitato a perseguire un target di riduzione dei consumi di gas; insieme anche alle temperature in media più miti.

Grafico Calo di consumi di gas nell’industria - Rapporto CSC primavera 2023

Complessivamente, in Italia i consumi di gas si sono ridotti di -6,7% nel 2022 rispetto alla media 2019-2021. Il calo più consistente è attribuibile proprio alle imprese industriali, che hanno diminuito i consumi di -13,2% (-14,9% rispetto al 2021), contro un calo di -9,4% nel settore civile, comprendente anche il residenziale, e una lieve diminuzione (di -1,0%) nel settore termoelettrico. Una riduzione dei consumi di gas ha interessato anche gli altri paesi europei: in Germania -14% (-21% nell’industria) nel 2022 rispetto alla media 2019-21, in Francia -9% (-13%) e in Spagna -3% (-14%).

Diminuita anche l’elettricità, ma meno intensamente

Anche il consumo di elettricità nell’industria è diminuito di -5,6% nel 2022 rispetto al 2021. Una riduzione molto più ampia rispetto a quanto fatto dal sistema economico italiano nel suo complesso (-1,0%).

Contributo eterogeneo all’intensità energetica

Un minor consumo di energia per unità di prodotto, cioè una riduzione dell’intensità energetica, può essere ottenuto, alternativamente o in maniera complementare, con:

  1. un aumento dell’efficienza energetica a parità di tecnologia, impianti e macchinari;
  2. una ricomposizione settoriale della produzione, verso i settori a minore intensità energetica;
  3. un cambiamento nelle tecnologie di produzione e/o di impianti e/o macchinari volto a ridurre il consumo di energia per unità di prodotto (es. la siderurgia da forni elettrici utilizza una tecnologia più efficiente rispetto a quella a ciclo integrale). Questo di solito richiede tempi abbastanza lunghi di implementazione e quindi è difficile che si realizzi nei mesi successivi a uno shock come quello verificatosi nel 2022.

Peraltro, è difficile isolare l’impatto dei cambiamenti tecnologici da quello di un migliore utilizzo delle tecnologie esistenti (entrambi comportano un miglioramento dell’efficienza energetica).

L’accelerazione nella riduzione dell’intensità energetica nel 2022 è misurata sull’aggregato complessivo dell’industria, che potrebbe nascondere diverse eterogeneità settoriali e non consente di identificare il contributo singolo di ciascun settore alla minore intensità energetica.

Maggiore l’incidenza settoriale dei consumi energetici…

Un segnale di una significativa eterogeneità settoriale proviene dalla fotografia che illustra l’incidenza dei consumi energetici (acquisto di materie prime, di raffinati del petrolio, di servizi energetici) nei diversi settori sul totale della produzione (Grafico C).

Grafico L’incidenza dei consumi energetici per settore produttivo - Rapporto CSC primavera 2023

I settori della chimica, metallurgia, carta, minerali non metalliferi sono quelli in cui l’incidenza dell’energia è più elevata: nel 2019, 4,9% nella carta, 7,4% nei minerali non metalliferi, 10,8% nella metallurgia e 14,3% nella chimica. Tali settori, oltre a consumare elettricità, dipendono anche da altre materie prime energetiche. In particolare, consumano una quota di gas superiore al 45% del proprio consumo totale di energia; insieme, contribuiscono per più del 70% al consumo totale di gas. Al contrario, in gran parte degli altri settori, l’incidenza dei consumi energetici non arriva al 4% del totale della produzione.

… peggiore la dinamica della produzione e più elevata la riduzione dei consumi

Se si mette in relazione la performance dei diversi settori industriali nell'ultimo anno (la dinamica della produzione industriale; Grafico D), con la corrispondente incidenza dei consumi energetici (la quota di tali input sulla produzione), si rileva una forte correlazione negativa. In altre parole, i settori caratterizzati da una minore incidenza dei consumi energetici per unità prodotta sono quelli la cui produzione è cresciuta maggiormente perché hanno subìto un minor impatto negativo dai rincari dello scorso anno. Al contrario, i settori più energy intensive sono stati “costretti” dai rincari dell’energia a ridurre la produzione, e così anche i consumi di energia. La riduzione dell’intensità energetica dell’industria è, quindi, il risultato di una “forzata” ricomposizione settoriale del sistema produttivo.

Grafico Maggiore incidenza degli input energetici, minore produzione industriale - Rapporto CSC primavera 2023

Tra i settori che hanno registrato una variazione della produzione industriale peggiore nel 2022 vi sono, infatti, proprio le quattro attività più energy intensive: chimica (-4,1% nel 2022), metallurgia (-9,2%), minerali non metalliferi (-2,9%), carta (-1,0%).

Complessivamente, la produzione industriale dei beni intermedi (il raggruppamento più energivoro) si è ridotta di -2,4% nel 2022, mentre la produzione totale è cresciuta di +0,4%.

Questa è stata complessivamente spinta dalla performance positiva degli altri settori a minore intensità energetica, come quello della farmaceutica (+11,4%), dei computer e prodotti di elettronica (+6,6%), il tessile (+7,8%), l’automotive (+0,6%), i mezzi di trasporto (+5,4%) e i macchinari e apparecchiature elettriche (+3,9%) che, grazie al graduale venir meno delle restrizioni anti-Covid e delle difficoltà di approvvigionamento, hanno proseguito il recupero dell’attività per tutto il 2022.

Quindi, la sostanziale riduzione dei consumi di gas nel settore industriale è attribuibile ai settori energy intensive che hanno visto ridursi maggiormente i volumi di attività e, quindi, il valore aggiunto.

Anche nel confronto europeo, emerge il minor peso in Italia, in termini di valore aggiunto, dei comparti energy intensive sul totale manifattura (Tabella A), che sono proprio i settori più colpiti dai rincari dell’energia. Ciò spiegherebbe, in parte, l’ottima dinamica della produzione industriale italiana rispetto a quella degli altri grandi paesi manifatturieri europei.

Tabella Valore aggiunto - Rapporto CSC primavera 2023

Futuro: quali i rischi per l’industria?

La persistenza di costi energetici più elevati in Europa, sebbene su livelli inferiori rispetto ai picchi del 2022, potrebbe rendere meno competitive le produzioni europee rispetto a quelle di altri partner commerciali come Stati Uniti e Cina. Ciò è particolarmente vero per quelle attività in cui risulta molto difficile ridurre l’intensità energetica e che, peraltro, sono spesso più esposte alla concorrenza internazionale. Il rischio è un ampliamento dei divari settoriali, con effetti permanenti nelle performance dei comparti manifatturieri più energy intensive. Per questi settori occorre una strategia che agevoli gli investimenti per accelerare la transizione energetica e nel frattempo li protegga dalla concorrenza internazionale. Ciò è cruciale per evitare la deindustrializzazione del continente.

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