menu start: Tue Dec 03 14:32:27 CET 2024
menu end: Tue Dec 03 14:32:27 CET 2024
L’economia tedesca ha iniziato il 2023 con un calo del PIL di -0,1%, dopo il -0,4% a fine 2022, e nel 2° trimestre è rimasta stagnante: sta dunque subendo la seconda recessione in tre anni (dopo quella nel 2020) e il PIL supera il livello pre-pandemia solo di 0,2%. Non solo nel 2022 è cresciuta meno dei partner europei (+1,9%, contro il +3,5% dell’Area-euro, +3,7% dell’Italia), ma per i principali previsori, tra cui quelli istituzionali, è l’unico paese UE per cui è prevista una contrazione quest’anno. Le previsioni più recenti stimano un calo tra -0,3% e -0,4% nel 2023 (rispettivamente Fondo Monetario Internazionale di ottobre e Commissione europea di settembre 2023).
Questa dinamica deludente della Germania pone o meno dei rischi per l’Italia, nel 2023 o nel 2024, vista la storica e stretta interconnessione delle due economie? In questo Focus, si cerca di far luce sulla crisi tedesca e sugli effettivi legami attuali con l’economia italiana. Le evidenze raccolte indicano che la recessione tedesca in corso potrebbe avere effetti più moderati sull’Italia, rispetto ad episodi del passato.
La fiacca performance tedesca ha sorpreso gran parte degli analisti perché nel decennio pre-pandemia, 2010-19, la Germania ha trainato l’economia dell’Eurozona con la sua crescita e la sua stazza (il 28% del PIL dell’area è tedesco). Aveva superato le due crisi, quella finanziaria del 2008-2009 e quella dei debiti sovrani del 2012-2013, con più vigore e velocità rispetto agli altri partner europei. Il PIL tedesco, che recuperò i livelli pre-crisi finanziaria già nel 1° trimestre 2011, è cresciuto del 16,9% dal 2010 al 2019, distinguendosi in maniera netta dalla performance degli altri partner europei: +1,0% l’Italia, +10,6% la Spagna e +13,1% la Francia.
Tra i molteplici fattori che spiegano il dinamismo tedesco nel periodo pre-pandemia, i più importanti sono: l’accresciuta rilevanza dell’export e le riforme sul mercato del lavoro, tanto da guadagnarsi l’appellativo The German Job Wunder, il miracolo dell’occupazione tedesco. Il peso dell’export sul PIL è salito rapidamente in Germania, dal 30,8% nel 2000, al 42,6% nel 2010 e al 47,1% nel 2019. Nello stesso periodo, in Italia è passato da 25,6%, a 25,1% e a 31,6%; in Spagna da 28,6%, a 26,0% e a 34,9%; in Francia da 28,6%, a 26,8% e a 31,6%. Le riforme sul mercato del lavoro, iniziate nel 2003-2005 e volte a rendere il sistema produttivo più efficiente, insieme al lungo periodo di moderazione salariale, hanno svolto un ruolo fondamentale nel trainare l’economia tedesca, accrescendo fortemente la competitività del suo settore manifatturiero rispetto ai paesi concorrenti.
A partire dal 2020 la Germania appare priva di quella spinta economica che aveva contraddistinto il decennio precedente: ha ripreso i livelli pre-pandemia soltanto a inizio 2022 e a fine 2022 l’economia si è inceppata di nuovo.
Dal lato della domanda (Grafico A), la recessione di fine 2022-inizio 2023 (-0,5% negli ultimi 3 trimestri) ha preso la forma di un forte calo dei consumi, sia delle famiglie (-1,3%), sia della PA (-2,1%). Gli investimenti invece, hanno retto seppur a fatica (+0,7%); mentre è calato l’export (-1,7%), ma meno dell’import (-3,1%), per cui gli scambi esteri hanno contribuito positivamente alla crescita. Dal lato della offerta, l’industria tedesca di recente sta andando sostanzialmente meglio di quella italiana (+0,4% in termini di valore aggiunto negli ultimi 3 trimestri, rispetto a -1,7%), ma aveva subito una forte caduta in precedenza. Sono i servizi, invece, che stanno perdendo terreno da fine 2022 (-0,9%).
La recessione in corso potrebbe quindi avere impatti più contenuti sull’economia italiana, perché è legata per lo più a consumi e servizi e non riguarda il settore industriale.
I fattori che possono spiegare la debolezza dell’economia tedesca sono di natura sia congiunturale, che strutturale.
Tra le circostanze di tipo congiunturale che hanno impattato negativamente sulla crescita della Germania nell’ultimo biennio vi è sicuramente lo shock energetico, legato all’invasione russa dell’Ucraina.
L’elevata dipendenza della Germania dal gas importato dalla Russia l’ha resa più vulnerabile: nel 2021 le importazioni di gas naturale russo ammontavano a una quota maggioritaria del totale consumato in Germania (circa 57% di 96 miliardi di metri cubi), molto più che in Italia (circa il 38% di 76 miliardi di metri cubi).
L’aumento dei prezzi dell’energia sta ancora mettendo a dura prova la produzione nei settori più energy-intensive, in calo del 19,6% ad agosto 2023 da inizio 2022. Nonostante l’economia tedesca abbia l’indice di intensità energetica più basso tra i principali paesi UE (10,1 energia/valore aggiunto nei 4 settori più energetici, contro 14,3 in Italia), il consumo energetico (di gas ed elettricità) in questi settori è comunque più elevato in Germania (circa 958mila Terajoule nel 2021), rispetto a Italia (487mila TJ), Francia (455mila TJ) e Spagna (371mila TJ). Questo significa maggior impatto dei rincari. Inoltre, il maggior peso di tali settori in termini di valore aggiunto rispetto al totale economia (6,1%, Grafico B) spiega l’impatto più forte dei rincari dell’energia sulla dinamica complessiva dell’economia tedesca.
Anche il rallentamento della Cina nel biennio 2021-2022, per effetto delle politiche “zero-Covid”, ha avuto un impatto significativo sulla Germania, che è più esposta rispetto agli altri partner europei alle esportazioni verso la Cina, soprattutto di beni (6,3% la Germania, rispetto a 2,6% per l’Italia, nel 2022).
Altri fattori più strutturali pongono seri dubbi riguardo le prospettive economiche di medio-lungo periodo dell’economia tedesca.
Primo, il mutato contesto geopolitico, sul quale si veda l’analisi contenuta nel recente Rapporto del CSC sulle catene di fornitura. L’economia tedesca è maggiormente connessa ai paesi dell’Europa dell’Est, particolarmente colpiti dal conflitto in Ucraina. Inoltre, la Germania ha una maggiore interdipendenza con la Cina, il cui modello di crescita è in via di normalizzazione, coerentemente con l’aumento della sua stazza, verso un paradigma da grande economia, incentrato su consumi interni e servizi in grado di soddisfarli. Non a caso, l’apertura commerciale cinese si è ridotta moltissimo, soprattutto dal lato delle importazioni, avvicinandosi ai livelli di quella degli Stati Uniti.
Secondo, la scarsa diversificazione dell’industria tedesca, molto concentrata sul settore automotive (20,6% del valore aggiunto manifatturiero nel 2019, contro il 9,0% in Spagna, 6,1% in Italia e il 5,6% in Francia). Questa elevata dipendenza era emersa nel 2018, in relazione al cosiddetto Dieselgate. Nello scandalo, la Germania risultava tra i paesi con i valori delle emissioni più alti, e la produzione nel settore automotive crollò del -5,0% nel 2019 (Grafico C), trascinando giù la produzione industriale complessiva, che in quell’anno subì un calo di -3,0% (a fronte di un più moderato -1,5% in Italia).
La correlazione tra la crescita italiana e quella tedesca nel quinquennio pre-crisi finanziaria (quella del 2008) era molto significativa (0,60). Più elevata rispetto a quella con gli altri partner europei (poco più di 0,20 tra Italia e Spagna o Francia).
Ma nel periodo 2014-2019, dopo la crisi dei debiti sovrani, la sincronizzazione tra Italia e Germania è diminuita molto (0,25), mentre si è rafforzata quella italiana con Spagna (0,50) e Francia (0,66).
Di recente, dopo il 2020, la correlazione Italia-Germania è un po’ aumentata ma rimane bassa (0,40). Oggi il PIL dell’Italia tende a muoversi maggiormente insieme a quello di Francia e Spagna (0,80).
Può essere utile guardare la sincronizzazione in Europa dell’attività produttiva industriale, in virtù dell’interconnessione commerciale tra i vari paesi partner (Grafico D). Questo risulta particolarmente vero tra Germania e Italia, rappresentando la prima un mercato cruciale per le esportazioni italiane. Lo stretto legame riflette anche il peso manifatturiero che contraddistingue entrambe le economie: 22,2% la quota di valore aggiunto del settore in Germania e 16,7% in Italia, contro l’11,9% in Spagna e il 10,9% in Francia (dati 2021).
La correlazione tra gli indici di produzione manifatturiera italiana e gli omologhi degli altri partner europei, era piuttosto simile nei primi anni Duemila, compresa tra 0,25 e 0,40, sebbene leggermente inferiore quella con la Germania. Un legame più intenso Italia-Germania era evidente per la categoria dei beni intermedi (0,48).
Superata la doppia recessione, la sincronizzazione con la Spagna e la Francia è diventata più forte (0,47 e 0,43) rispetto al legame con la Germania (0,30). Anche i beni intermedi, come principali input di esportazione verso la Germania, sembrano avere registrato una minore interconnessione.
A partire dalla pandemia, poiché questa è stata una crisi comune, la correlazione tra le produzioni industriali è aumentata molto, di più con Spagna e Francia, poco meno con la Germania.
A livello settoriale, il Grafico E mostra come è cambiata la correlazione tra i tassi di crescita mensili degli indicatori di produzione industriale per quei settori che in Italia sono maggiormente esposti in termini di esportazioni verso la Germania. Si osserva come la correlazione tra attività manifatturiera italiana e tedesca sia leggermente aumentata, da 0,24 nel pre-crisi finanziaria a un 0,30 nel pre-pandemia. Ma se consideriamo l’ultimo biennio (2021-2023), è diventata addirittura negativa (-0,24).
In alcuni settori, come ad esempio per gli alimentari, la metallurgia, la carta, si rileva un sostanziale mantenimento della correlazione nel periodo 2014-2019 rispetto al 2001-2007. Per altri, invece, si rileva una diminuzione del legame, come ad esempio per la chimica, i metalli non metalliferi e il settore dei mobili-arredo, in cui le correlazioni diventano negative. Al contrario, aumenta la correlazione nel settore della meccanica strumentale, il cui peso in termini di valore aggiunto in Italia (14,9% nel 2019) ha ormai raggiunto quello tedesco (15,1%), e nel settore farmaceutico. Considerando il periodo che va da inizio 2021 fino a luglio 2023, nonostante il valore negativo della correlazione in aggregato, in alcuni settori si registra un forte aumento, in particolare quello dell’automotive (0,89), la chimica (0,68), la farmaceutica (0,63) e i prodotti in metallo (0,48).
Questo mutamento delle correlazioni tra settori, spesso in riduzione, specialmente tra i due periodi “pre-crisi”, riflette il cambiamento della struttura produttiva avvenuto in entrambi i paesi e in generale in tutta l’Area euro. Ciò sembra coerente con l’aumento della specializzazione produttiva nell’industria in settori chiave che sono diversi tra i vari paesi; specializzazione misurata dalla maggiore dispersione nelle quote di valore aggiunto nel 2019, rispetto ai primi anni Duemila. La divergenza nella tipologia di attività manifatturiere, che tradizionalmente svolge un ruolo importante nella dinamica dei cicli economici, è stata particolarmente accentuata.
Per tenere in considerazione in modo più esplicito le connessioni commerciali che legano il settore manifatturiero italiano a quello tedesco, anche rispetto agli altri principali partner europei (Francia e Spagna), è utile concentrare l’attenzione sulla dinamica delle esportazioni manifatturiere italiane (che costituiscono il 95% delle vendite italiane di beni all’estero).
La Germania, infatti, rappresenta la principale destinazione dell'export manifatturiero dell'Italia, per un valore di oltre 73 miliardi di euro nel 2022, pari al 12,5% del totale.
Più di metà (58%) delle vendite in Germania è costituito da prodotti intermedi, utilizzati dalle imprese tedesche. L’importanza della Germania, quindi, è elevata per quanto riguarda l’export italiano lungo le catene produttive internazionali (14,7% del totale per i prodotti intermedi).
La centralità dell’industria tedesca all’interno delle filiere manifatturiere europee e mondiali è confermata da una forte correlazione tra la dinamica dell’export italiano (non solo verso la Germania) e quella della produzione tedesca sia nel quinquennio pre-crisi del 2008, sia in quello precedente alla pandemia (intorno a 0,8). È forte, in questi periodi, ma minore anche la sincronizzazione dell’export italiano con l’attività manifatturiera francese e con quella spagnola (Grafico F).
Il quadro cambia drasticamente nell’ultimo biennio, da luglio 2021 a giugno 2023, cioè dopo l’impatto più forte dello shock pandemico sull’attività commerciale e produttiva (caduta e rimbalzo) e la crisi energetica: la correlazione delle vendite italiane all’estero con la produzione tedesca diminuisce fortemente (a 0,28), molto più di quanto accade rispetto al manifatturiero spagnolo e francese. Ciò conferma la relativa asincronia recente dell’attività produttiva tedesca con quella italiana.
La minore correlazione tra export italiano e attività tedesca è il risultato di dinamiche settoriali significativamente diverse. Come è logico attendersi, la sincronizzazione è maggiore per i settori manifatturieri italiani più connessi al mercato tedesco: quelli che destinano in Germania una quota maggiore del proprio export sono mediamente più esposti alla performance dello stesso comparto in Germania.
In particolare, la correlazione export-produzione è molto forte nel settore degli autoveicoli, per cui la Germania è ancora un cruciale mercato di sbocco delle vendite italiane, soprattutto di parti e componenti per le produzioni tedesche (Grafico G). È elevata anche la sincronia nei comparti della gomma-plastica, della stampa e dei prodotti in metallo, che pure vendono all’estero soprattutto beni intermedi alle imprese.
Tra i settori italiani meno sincronizzati all’attività tedesca, spicca il caso del farmaceutico, che mostra una correlazione dell’export addirittura negativa rispetto alla performance tedesca nell’ultimo biennio, e anche nel quinquennio pre-pandemia. Ciò è coerente con le crescenti interconnessioni del farmaceutico italiano con il Belgio e gli Stati Uniti (in particolare, il Belgio rappresenta un hub logistico per le esportazioni farmaceutiche europee).
Un relativo allentamento dei legami commerciali tra Italia e Germania, seppur molto profondi, è confermato dalla dinamica degli scambi delle due prime manifatture europee tra loro e nei principali mercati di destinazione.
Le vendite italiane in Germania hanno iniziato a rallentare nel corso del 2022, più rapidamente di quanto avvenuto nel resto del mondo. A sostenere la dinamica italiana è stato il mercato USA, mentre quello cinese è rimasto molto debole anche a causa dei ripetuti lockdown (solo a dicembre 2022 è stata rimossa la politica zero-Covid). A partire dalla fine dell’anno scorso e soprattutto nel 2023 il rallentamento si è accentuato in tutte le principali destinazioni, con l’eccezione di un breve rimbalzo in Cina, favorito da vendite eccezionali nel farmaceutico (nel 1° trimestre 2023). A metà 2023 l’export italiano ha subito una diffusa battuta d’arresto, con una dinamica costantemente peggiore verso la Germania (Grafico H, pannello A).
La dinamica complessiva è qualitativamente simile per le esportazioni tedesche, anch’esse sostenute dal mercato USA nel 2022 e in generale rallentamento nel 2023, con una performance stabilmente debole in Cina. Le vendite tedesche in Italia, dopo avere seguito la tendenza nel resto del mondo fino a inizio 2023, si sono bruscamente ridotte negli ultimi mesi (pannello B).
Per gli altri paesi dell’Eurozona, invece, le esportazioni registrano un rallentamento piuttosto omogeneo nei principali mercati di sbocco dalla fine del 2022, con una dinamica più negativa verso Stati Uniti e Germania ma solo negli ultimi mesi (pannello C).
Il calo delle vendite manifatturiere italiane in Germania (-3,9% nei primi sette mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022, a prezzi costanti) è il risultato di dinamiche differenziate a livello settoriale. Tra i settori più esposti al mercato tedesco, i metalli di base e i prodotti in metallo hanno registrato una variazione negativa nel 2023, che ha annullato la crescita realizzata nel triennio 2019-2022; viceversa, le vendite nel comparto degli autoveicoli sono cresciute a un ritmo molto sostenuto (Tabella A).
È importante sottolineare che i settori manifatturieri maggiormente connessi alla Germania esportano soprattutto beni intermedi, destinati cioè a essere incorporati nelle produzioni tedesche: il legame tra vendite italiane e attività manifatturiera tedesca è quindi diretto (mentre i settori specializzati a valle dipendono soprattutto dalla domanda finale, soprattutto di consumo). Nel complesso, quasi il 58% dell’export manifatturiero in Germania è costituito da semilavorati (rispetto al 49% del totale delle vendite manifatturiere all’estero).
Tra gli altri comparti, spicca in negativo il calo dell’export in Germania di prodotti farmaceutici, che consolida una tendenza di lungo periodo: il peso del mercato tedesco come destinazione dell’export farmaceutico italiano è sceso dal 12,1% nel 2007 al 9,1% nel 2022 e sotto al 7,0% nei primi sette mesi dell’anno in corso.
Le profonde variazioni osservate nel corso degli ultimi due decenni nella relazione tra export italiano e produzione tedesca, che si sostanzia soprattutto nella fornitura italiana di prodotti intermedi e beni alle imprese tedesche, possono essere verificate anche in termini econometrici.
Innanzitutto, elaborando un’analisi di regressione “a finestre mobili” di lunghezza costante (32 trimestri, cioè 8 anni) nel periodo compreso tra il 1° trimestre 2000 e il 2° trimestre del 2023, si nota che l’elasticità stimata tra l’export di beni italiani e l’indice di produzione industriale tedesca è stata statisticamente significativa e su valori vicini all’unità (tra 1,1 e 0,9; Grafico I), ma via via decrescenti fino alla seconda metà del 2016. Successivamente è diminuita fino al minimo di 0,5 nel 2018, diventando statisticamente non significativa nel 2018-2019.
In secondo luogo, si è stimato un indice che rivela la capacità predittiva della produzione tedesca per l’export italiano. Questo è stato costruito come il reciproco dell’errore quadratico medio percentuale di previsione un passo in avanti tra dicembre 2007 e giugno 2022, sia con un modello “ad equazioni singole” sia con un VAR bivariato. Entrambi gli indici (Grafico L) confermano che la capacità predittiva della produzione tedesca per l’export italiano si è via via attenuata. Anche in questo caso c’è un break in corrispondenza della pandemia, dopo la quale la capacità della produzione tedesca di predire l’export italiano si riduce notevolmente.
Queste analisi evidenziano come il sistema produttivo italiano, pur avendo nella Germania un partner rilevante, mostri dinamiche sempre più slegate da quelle tedesche rispetto a qualche anno fa.