Comunicato
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AUDIZIONE DEL DIRETTORE GENERALE DI CONFINDUSTRIA MAURIZIO TARQUINI SUL DDL BILANCIO 2026
martedì 4 Novembre 2025

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CONTESTO ECONOMICO: TRA DAZI, INCERTEZZE E CRESCITA DEBOLE

Il Direttore Generale di Confindustria Maurizio Tarquini, durante l’Audizione sul Disegno di Legge di Bilancio 2026, evidenzia un contesto globale ancora più incerto rispetto allo scorso anno.
L’innesco della spirale dei dazi e le tensioni geopolitiche hanno portato l’incertezza ai massimi storici: ciò mette pressione sulle catene del valore, frena le esportazioni, riduce i margini delle imprese e la fiducia delle famiglie che, nonostante l’aumento del reddito disponibile reale, tengono alto il risparmio a fini precauzionali. In tale scenario, il rischio di perdere base produttiva, evidenziato lo scorso anno, è ancor più attuale, anche per la pressione alla delocalizzazione verso gli Stati Uniti esercitata dai dazi, oltre che per il perdurante approccio autodistruttivo delle politiche europee.
In Italia, le 256mila imprese con più di 10 dipendenti, insieme ai 10 milioni di lavoratori che occupano, contribuiscono per oltre l’80% a tenere in piedi la nostra finanza pubblica e il nostro sistema di protezione sociale. È questa la posta in gioco.
La buona tenuta dei nostri conti e la stabilità politica hanno favorito la riduzione dello spread sovrano e dei rendimenti dei BTP dell’1,18% da fine 2023, che varranno, a regime, circa 30 miliardi annui in meno di spesa per interessi sul debito, con un risparmio di 5 miliardi già nel primo anno. Ciò ha anche migliorato la percezione dell’Italia sui mercati e da parte delle principali agenzie di rating.
Tuttavia, la crescita resta debole: il Paese è tornato, dopo la vigorosa ripresa post pandemica, ai livelli da “zerovirgola”, e fatica a ritrovare slancio. In questo quadro, il PNRR sta giocando un ruolo chiave: oltre a innalzare la crescita di lungo periodo, svolge un’azione anticiclica. Senza le sue risorse aggiuntive, che stanno spingendo gli investimenti, l’Italia sarebbe in stagnazione. Invece, registriamo una crescita del PIL, seppur modesta, sia quest’anno che il prossimo. Anche le economie degli altri Paesi europei stanno tenendo grazie a ingenti risorse pubbliche: gli straordinari investimenti in Germania, l’ampio deficit di bilancio pubblico in Francia e il PNRR in Spagna.

UNA MANOVRA A SALDO ZERO, SERVE UN PIANO INDUSTRIALE STRAORDINARIO

Il DDL mobilita risorse pari a 21,3 miliardi nel 2026, 18,8 nel 2027 e 16,4 nel 2028, a fronte di coperture pari a 20,4 miliardi nel 2026 (inclusi i 5,1 miliardi da rimodulazione PNRR), 13,0 nel 2027 e 9,6 nel 2028. Il risultato è una Manovra sostanzialmente “a saldo zero”, senza impatto significativo sul PIL.
Confindustria riconosce la disponibilità al dialogo del Governo che si è tradotta nella condivisione di scelte importanti, in primis quelle su iperammortamento e ZES Unica. Riconosce quella disponibilità specie alla luce dei ristretti margini di intervento, indicati nel Documento programmatico di finanza pubblica, che rendono nullo l’impatto della manovra sul PIL del prossimo anno. Tuttavia, il DDL Bilancio non ha la dimensione adeguata a rilanciare la competitività delle imprese, pur centrando alcuni obiettivi rilevanti.
Proprio per questo, già dalla nostra assemblea pubblica di maggio, abbiamo prospettato la necessità di dotare l’Italia di un Piano industriale straordinario, che andasse oltre i limiti delle singole Leggi di Bilancio, suggerendo tre direttrici di intervento: investimenti, competitività e contesto attrattivo.

PNRR E COSTO DELL’ENERGIA: LE DUE VERE URGENZE COMPLEMENTARI ALLA MANOVRA

Oggi, leggiamo il DDL Bilancio come la prima tappa di questo percorso e ne indichiamo almeno altre due, che consideriamo prioritarie per garantire dimensione finanziaria e focus adeguati ai bisogni delle imprese: la rimodulazione del PNRR e il contenimento del costo dell’energia.

Rimodulare il PNRR
Quanto al PNRR, riteniamo che ne vada rafforzata la vocazione di sostegno agli investimenti produttivi e, per questa via, alla coesione sociale del Paese. A partire dalle risorse non spese per Transizione 5.0, chiediamo che la rimodulazione sia l’occasione per assicurare quel sostegno alle imprese di almeno 8 miliardi l’anno, per un triennio, che abbiamo indicato come obiettivo minimo, guardando anche a ciò che stanno realizzando Francia e Germania. In questa rimodulazione, auspichiamo trovi spazio anche un rafforzamento del credito R&S, che, dal prossimo anno, sarà ridotto nella sua portata, con una aliquota agevolativa del 10%.

Ridurre il prezzo dell’energia
Nei primi dieci mesi del 2025 il prezzo medio in Italia è stato pari a 116 €/MWh; contro gli 87 in Germania, i 65 in Spagna e i 61 in Francia. Rispetto a USA e Cina, da noi l’energia costa dalle tre alle cinque volte di più. L’alto costo dell’energia erode i margini delle imprese e la loro capacità di autofinanziarsi e patrimonializzarsi. Ne risentono la propensione agli investimenti e la competitività dei prezzi di prodotti finali e servizi.
L’Associazione sollecita misure immediate che non incidano sui saldi di bilancio:
un provvedimento che metta in pista nuovi strumenti basati su contratti a lungo termine per energia rinnovabile;
disaccoppiamento dei prezzi dell’elettricità da quelli del gas;
eliminazione dello spread TTF/PSV che pesa per due miliardi l’anno sulle bollette di famiglie e imprese;
riduzione degli oneri generali di sistema attraverso meccanismi di cartolarizzazione, dato che pesano per un 40% sul costo delle bollette elettriche a carico di famiglie e imprese, pari a 10 miliardi l’anno.
Il problema non è più rinviabile, se vogliamo creare le condizioni per tornare a crescere e innovare in modo strutturale. L’urgenza delle misure sui costi dell’energia è data anche dal fatto che non impattano sui saldi di bilancio e richiedono unicamente la volontà di agire.

POSIZIONE SU PRINCIPALI MISURE DELLA MANOVRA E INTERVENTI NECESSARI

Per Confindustria, gli interventi imprescindibili erano e rimangono quattro:

  1. iperammortamento per l’innovazione tecnologica/digitale dei processi produttivi;

  2. stabilizzazione del credito d’imposta per la ZES Unica per il Mezzogiorno;

  3. rilancio dell’operatività dei contratti di sviluppo, rafforzandone le dotazioni finanziarie;

  4. conferma e rafforzamento del Fondo di Garanzia per le PMI.

1. Iperammortamento: misura positiva, ma assenza prospettiva pluriennale
Riteniamo che il nuovo iperammortamento rappresenti un primo, parziale, sforzo sul fronte del sostegno agli investimenti. Positivamente, la norma ammette sia i c.d. beni 4.0, materiali e immateriali, sia gli impianti per l’autoproduzione di energia rinnovabile, prevedendo aliquote di maggiorazione fino al 220% e semplificazioni per la determinazione del risparmio energetico. Tuttavia, l’impianto è ancora debole, almeno per due ordini di ragioni: durata limitata ai soli investimenti effettuati nel 2026 (o prenotati e consegnati entro il 30 giugno 2027) e operatività rinviata all’adozione di un provvedimento attuativo. Per la programmazione degli investimenti servono orizzonti ampi, certi e prevedibili. Ci attendiamo, quindi, che l’incentivo sia esteso su base triennale e che abbia efficacia immediata, a partire dal 1° gennaio 2026. È poi importante chiarire che possono fruire dell’iperammortamento anche gli investimenti avviati quest’anno, magari in base alla normativa 5.0, che non saranno conclusi all’entrata in vigore della nuova disciplina.

2. ZES Unica: proroga molto apprezzata ma servono chiarimenti
Esprimiamo un particolare apprezzamento per la proroga fino al 2028 del credito d’imposta per la ZES Unica per il Mezzogiorno, che recepisce pressoché integralmente una proposta di Confindustria. È una scelta che conferma l’efficacia di questo modello come leva per rilanciare la competitività e gli investimenti nel Mezzogiorno.
Positiva soprattutto la scelta di superare la formula di finanziamento annuale – tra i principali punti di debolezza di questi strumenti – con un’estensione triennale e una dotazione finanziaria certa, seppur decrescente negli anni.
Chiediamo però:
conferma esplicita dei criteri di imputazione temporale già adottati in passato, con riferimento al c.d. credito d’imposta Mezzogiorno, ad esempio la valorizzazione dei SAL, per generare effetti positivi anche sugli investimenti in beni immobili;
possibilità di integrare con risorse dei programmi della politica di coesione UE, qualora il credito riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate risulti inferiore a quello spettante.

3. Contratti di sviluppo: servono più risorse e semplificazione
I contratti di sviluppo rappresentano una leva importante per gli investimenti produttivi più rilevanti. Riscontrano grande interesse da parte delle imprese e determinano impatti positivi su occupazione, crescita delle filiere e sviluppo dei territori. Oggi faticano a decollare, a causa delle lungaggini istruttorie, ma soprattutto di dotazioni non sufficienti. Gli stanziamenti previsti (550 milioni complessivi nel triennio 2027-2029) sono giudicati inadeguati al fabbisogno e inferiori rispetto a quelli degli anni precedenti. Confindustria chiede un potenziamento della misura per dare continuità alla realizzazione di nuovi progetti industriali.

4. Fondo di Garanzia PMI: va reso strutturale
Il Fondo di Garanzia per le PMI è uno strumento cardine della politica economica e di sostegno dell’accesso al credito per le PMI, e ha contribuito alla crescita delle imprese, specie in fasi congiunturali difficili. È necessario anzitutto confermare le attuali regole di funzionamento del Fondo, in vigore fino al 31 dicembre 2025. Peraltro, secondo le stime disponibili, tale conferma non dovrebbe richiedere uno stanziamento di risorse aggiuntivo.
Riteniamo che, per favorire una pianificazione efficace degli investimenti da parte delle PMI, occorra rendere strutturali tali regole anziché rinnovarle di anno in anno. Il ruolo del Fondo va poi rafforzato, in particolare a supporto delle imprese più strutturate e di operazioni di finanza alternativa.
È infine necessario eliminare la disposizione, non ancora attuata, che prevede un premio aggiuntivo per le banche che utilizzano le coperture del Fondo oltre una certa soglia, che potrebbe generare tensioni nei rapporti tra banche e imprese, determinando un maggior costo del credito o una minore propensione delle banche a erogare credito non garantito.

MISURE FISCALI PENALIZZANTI E INCERTE

La Manovra – e non è una novità di quest’anno – presenta anche alcune criticità inattese. Si tratta di interventi che minano l’affidamento dei contribuenti, la certezza del diritto e l’impatto positivo delle misure a sostegno degli investimenti.
Tra le critiche relative alle nuove misure fiscali:
l’inasprimento della tassazione dei dividendi infragruppo (l’introduzione di una tassazione piena al 24%, in presenza di partecipazioni inferiori al 10%, invece dell’1,2% effettivo attuale). Una disciplina dirompente anche rispetto a quello che accade oltre confine, dove si adottano analoghi sistemi di esenzione, e che cambierà radicalmente l’assetto proprietario dei gruppi italiani, penalizzando la nostra capacità di mantenere e attrarre capitali;
il divieto, dal 1° luglio 2026, di utilizzare crediti d’imposta agevolativi sul modello F24 per compensare i debiti per contributi previdenziali INPS e per premi assicurativi INAIL. Una misura molto impattante, soprattutto per imprese con un elevato numero di dipendenti, che effettuano molti versamenti contributivi, e con un livello di redditività basso, per effetto di importanti investimenti o di perdite. Il rischio è che il blocco delle compensazioni congeli risorse liquide e riduca la capacità operativa delle imprese. Il nuovo divieto limiterà, di fatto, la possibilità di utilizzare strumenti ormai centrali nelle politiche di investimento delle imprese, come i crediti di imposta ZES, 4.0, 5.0, R&S. Si tratta, peraltro, di un intervento con effetti retroattivi. Chiediamo, quindi, una complessiva rivalutazione dell’intervento.

SUL LAVORO SEGNALI POSITIVI MA MISURE NON STRUTTURALI

Sul lavoro, sono apprezzabili, in linea di principio, le misure volte a sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori e ad accompagnare il rinnovo dei contratti collettivi, garantendo un regime fiscale di favore sugli aumenti salariali connessi alla dinamica inflattiva. Si tratta, tuttavia, di misure non strutturali, che di per sé producono un effetto di incertezza dal lato delle imprese, in quanto esse non sanno se potranno contare sulle stesse anche nei prossimi anni.
La disposizione sui rinnovi contrattuali può generare disparità di trattamento fiscale tra dipendenti, a seconda del momento in cui i rinnovi contrattuali sono (stati) conclusi. Analoga disparità potrebbe determinarsi anche sul piano negoziale tra diversi comparti o settori, a seconda del momento in cui le parti sociali procedono alla sottoscrizione dei rinnovi contrattuali.
Le misure sui premi di risultato rappresentano un segnale positivo di attenzione al salario variabile, ma rischiano di ridurre l’incentivo alla conversione in welfare aziendale e hanno un campo di applicazione circoscritto alle imprese più strutturate, considerato che il nuovo limite (5 mila euro) è superiore alla media dei premi erogati dal settore industriale. Sarebbe stato preferibile semplificare i requisiti per accedere alla tassazione sostitutiva, a prescindere dall’aliquota applicata, viste le difficoltà di molte imprese in questo periodo.
Si segnala poi la necessità di una specifica agevolazione contributiva per le assunzioni effettuate dalle grandi imprese del Mezzogiorno, legate a piani di investimento riconducibili al credito d’imposta ZES. L’assenza di questa misura continua a essere un limite strutturale del disegno di rilancio del Mezzogiorno, poiché lo priva di un importante traino per rafforzare le filiere produttive e recuperare i divari.
Inoltre, occorre prorogare lo strumento del contratto di espansione a beneficio, in particolare, delle imprese di maggiori dimensioni impegnate in processi di trasformazione industriale. Il mancato rifinanziamento di questa misura priverebbe, infatti, queste imprese di uno strumento utile per accompagnare le transizioni occupazionali nell’ambito dei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione.
In tema di previdenza e, in particolare, di fondi pensione, è apprezzabile il tentativo di dare un segnale teso a imprimere un indirizzo politico di apertura agli investimenti in infrastrutture e imprese. Ma, per mobilitare realmente il risparmio previdenziale a beneficio di infrastrutture e imprese italiane, anche non quotate, occorrono anche misure fiscali di favore, oltre a una revisione delle regole che disciplinano il sistema della previdenza integrativa, al fine di rafforzarne governance e competenze.

SANITÀ E RICERCA: BENE I SEGNALI, MA RESTANO NODI APERTI

È senz’altro positivo l’aumento dei tetti di spesa per l’acquisto di farmaci, dispositivi medici e prestazioni da erogatori privati accreditati. Viene riconosciuta la centralità strategica del settore delle scienze della vita per rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, sebbene gli incrementi risultino ancora insufficienti rispetto ai fabbisogni.
Rimane però aperta la questione payback. Il DDL cancella la quota di prelievo dell’1,83% a carico delle aziende farmaceutiche per la vendita di farmaci al SSN, ma non risolve il problema della spesa ospedaliera, né quello dei dispositivi medici. Occorre, quindi, una risposta strutturale ai tetti e risolvere la questione del payback a carico dei principali settori della filiera.

MISURE DI SOSTEGNO AGLI INVESTIMENTI PRIVATI: BENE RIFINANZIAMENTO NUOVA SABATINI E STANZIAMENTO RISORSE PER INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per quanto riguarda le misure di sostegno agli investimenti privati è positivo il rifinanziamento delle agevolazioni concesse nell’ambito della c.d. Nuova Sabatini e lo stanziamento di risorse a supporto dell’internazionalizzazione. Appare poi di interesse – sebbene lo stanziamento sia esiguo e manchino indicazioni sulle specifiche modalità di intervento – la previsione di contributi a soggetti privati per interventi volti a ridurre l’esposizione ai rischi che interessano il territorio nazionale: è essenziale che la disposizione sia finalizzata a sostenere gli investimenti in prevenzione e protezione delle imprese soggette all’obbligo di sottoscrivere polizze contro i rischi catastrofali.

ASSENZA MISURE SU EMERGENZA ABITATIVA, RICERCA INDUSTRIALE E LA LOGISTICA INTERMODALE. RIVEDERE NUOVO SISTEMA FINANZIAMENTO AGCOM

Mancano, invece, misure specifiche per affrontare l’emergenza abitativa che, tra gli altri effetti, ha quello di ostacolare la mobilità territoriale dei lavoratori e spiazzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il DDL consente di utilizzare una quota del Fondo sociale europeo per il clima anche per le iniziative del Piano casa Italia previsto dalla Legge di Bilancio 2025, ma non prevede, come sollecitato da Confindustria, misure finanziarie e fiscali, ferma la necessità anche di semplificazioni urbanistiche per favorire la realizzazione di alloggi per lavoratori a basso reddito, studenti, anziani.
Si segnala, inoltre, l’assenza di misure per la ricerca industriale e per la logistica intermodale (ferrobonus, sea modal shift). Strumenti utili a potenziare la connettività e la logistica all’interno del nostro Paese e con l’estero; da segnalare, inoltre, la mancanza di risorse per la copertura dei costi del nuovo contratto collettivo per il trasporto pubblico locale, che il settore non è in grado di assorbire.
Infine, si esprime l’auspicio di rivedere il nuovo sistema di finanziamento dell’AGCOM, che sposta integralmente a carico dell’industria regolata il funzionamento dell’Autorità, includendo una platea molto ampia di operatori interessati.

SENZA CRESCITA NON POTREMO GARANTIRE I LIVELLI DI WELFARE ATTUALI

Confindustria conclude l’intervento con un invito alla riflessione e all’azione.
Non dobbiamo, né possiamo, rassegnarci alla sindrome dello “zerovirgola”. Se l’Italia non cresce, il problema non è solo delle imprese, ma collettivo. Ne va della capacità del Paese di costruire un futuro all’altezza del presente, fatto di conquiste che troppo spesso diamo per scontate e che, invece, non lo sono.
Desideriamo ribadirlo: senza crescita, cioè senza le imprese che la fanno, non saremo più in grado di assicurare i livelli di protezione sociale di cui oggi beneficiamo. Significa meno istruzione, sanità, previdenza, assistenza ai più deboli, solo per citare alcuni esempi. E il fatto che le imprese rimangano o vengano qui in Italia, a investire e a scommettere su quel futuro, è un altro dato che non possiamo, né dobbiamo, dare per scontato.
Dipende dalle nostre scelte: almeno su alcune, auspichiamo vi sia la più ampia convergenza delle forze politiche, senza i condizionamenti legati alla ricerca del consenso elettorale.
La stabilità dei conti è una “scelta azzeccata”, ma deve essere accompagnata da un investimento significativo e stabile nel tempo sulle imprese e sulla loro capacità di competere. Per questo, chiediamo scelte coerenti su almeno tre capitoli complementari alla Manovra:
• la rimodulazione del PNRR;
misure per ridurre il costo dell’energia;
Le riforme a costo zero. Dopo un anno, delle 80 proposte di Confindustria, quelle approvate sono 9 e altre 8 sono in dirittura d’arrivo. Siamo consapevoli degli ostacoli cui le politiche di semplificazione vanno incontro, ma incoraggiamo Parlamento, Governo e Regioni a fare di più.
Vogliamo un’Italia più semplice, cioè un luogo dove chi rischia può fare affidamento su regole non ostili e stabili nel tempo.

Unisciti alla più grande comunità di imprese in Italia.

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