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In questo clima, reso ancor più difficile da un'estrema instabilità politica e dalle gravi difficoltà finanziarie della riconversione post-bellica, il movimento fascista conquistò il potere: sebbene Mussolini avesse proclamato il potenziamento dell'apparato produttivo e la massima disciplina nelle fabbriche in nome degli interessi nazionali, le principali Confederazioni di categoria deplorarono le violenze dello squadrismo.
Dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, il Direttivo di Confindustria chiese il ripristino dell'ordine e della legalità costituzionale con un Memorandum presentato a Mussolini nel settembre del 1924. Continuò inoltre a opporre una tenace resistenza sia all'imposizione del monopolio fascista della rappresentanza dei lavoratori, sia ai progetti di corporativismo integrale.
Soltanto nell'ottobre 1925, quando ormai i Sindacati operai e i partiti antifascisti erano sul punto di essere messi al bando, Confindustria riconobbe - col Patto di Palazzo Vidoni - il Sindacato fascista quale suo unico interlocutore.
Negli anni fra le due guerre, duramente segnati dalla "grande crisi" mondiale del 1929, il regime fascista accordò all'industria assistenza e protezione, analogamente a quanto fecero altri governi di fronte a una recessione che minacciava di scardinare l'intero sistema produttivo. L'intervento pubblico, sfociato nel 1933 nella creazione dell'Iri, salvò dal dissesto numerose imprese passate così sotto "mano pubblica".
Successivamente, la politica autarchica favorì l'avvento di posizioni monopolistiche e di oligopolio, al prezzo di un progressivo isolamento dell'industria italiana dai circuiti del mercato internazionale e a scapito delle innovazioni tecnologiche.
In questo periodo,dopo una breve Presidenza di Raimondo Targetti, vi fu il lungo mandato di Antonio Stefano Benni (1923-1934) che ricoprì anche il ruolo di Ministro delle Comunicazioni (1935-1939) e, sotto la sua presidenza, nacque il logo della ruota dentata sovrastata dall’aquila che, nella versione ammodernata, rappresenta ancora oggi l'Associazione.
Negli anni a seguire si alternarono alla guida di Confindustria personaggi di grande spicco come Alberto Pirelli e il Senatore Giuseppe Volpi che rimase in carica dal 1934 al 1943.
Ma la Confindustria, per quanto accreditata e influente nelle alte sfere del Regime - anche per via degli stretti rapporti stabiliti dal suo Direttore (e poi Presidente dall'aprile 1943), Giovanni Balella, con vari Ministeri e settori della PA - si trovò alle prese con il ruralismo, l'antiurbanesimo e la formazione di un ordinamento corporativo e gerarchico ("tutto dentro lo Stato, niente fuori dello Stato", secondo le direttive di Mussolini), elementi che finirono per rappresentare la negazione dei principi del capitalismo industriale.