Rapporto CSC: crescita italiana sorprende in positivo. Pil in rialzo a 0,9% nel 2024, 1,1% nel 2025

17 aprile 2024 | Centro Studi

Secondo il Rapporto di previsione di primavera "Tassi, PNRR, superbonus, energia: che succederà alla crescita italiana", elaborato dal Centro Studi Confindustria, la crescita italiana ha sorpreso in positivo nel 2023, arrivando al +0,9% annuo nonostante i tassi e l’inflazione alti. In decelerazione dai ritmi altissimi del 2021-2022, che incorporavano il recupero post-pandemia, ma molto meglio dei modesti ritmi italiani pre-pandemia. Una crescita 2023 che è pari al doppio di quella media dell’Eurozona. Da notare, peraltro, che, se non si fosse verificato uno straordinario decumulo delle scorte (-1,3 il contributo al PIL), la crescita del PIL italiano sarebbe arrivata al +2,2%. Il PIL italiano nel 2024 è atteso crescere in linea con la dinamica osservata nel 2023: nello scenario base, il CSC prevede un incremento annuo del +0,9%, ovvero 0,4 punti percentuali in più rispetto a quanto previsto nello scenario di ottobre scorso. La crescita nel 2025 è attesa poco superiore, al +1,1%.

Nel biennio di previsione 2024-2025, oltre al miglioramento della domanda globale che darà nuovo impulso all’export, due fattori potranno sostenere ancora la crescita italiana su ritmi significativi.

Il primo è il taglio dei tassi di interesse da parte della BCE

Negli ultimi comunicati ufficiali, è divenuto evidente che la BCE non sta più pensando a ulteriori rialzi e intravede l’inizio di una fase di tagli.

Lo scenario di previsione segue queste indicazioni: al primo taglio a giugno, ne seguiranno altri tre entro fine anno, ipotizzati di un quarto di punto ciascuno, arrivando al 3,50%, un punto meno di oggi; nel 2025 seguiranno altri tre tagli, fino al 2,75%. A tali livelli, la policy monetaria continuerà ad essere (poco) restrittiva a fine orizzonte previsivo, in misura molto più limitata rispetto ad oggi. Ciò potrà dare maggiore slancio agli investimenti e anche ai consumi.

Rispetto a questo scenario, il rischio che si arrivi invece a un rialzo dei tassi può considerarsi minimo. Mentre non è da escludere che una maggiore persistenza dell’inflazione europea oltre la soglia del +2,0% possa indurre la BCE a rimandare ancora la discesa dei tassi, tanto più se la FED decidesse di aspettare ancora. Per l’economia italiana ciò agirebbe in direzione sfavorevole, perché prolungherebbe la stretta monetaria, che è già eccessiva alla luce dell’inflazione italiana scesa, da ottobre 2023, ben sotto il +2%.

Il secondo driver di crescita nel biennio di previsione è l’attuazione del PNRR che sta entrando nel vivo: nel 2024 e 2025, infatti, l’ammontare delle risorse del Piano da spendere per investimenti e riforme è pari rispettivamente a 42 e 58 miliardi di euro, cioè oltre 2 punti di PIL all’anno, 100 miliardi nel biennio. Sebbene sia difficile fare delle ipotesi precise sugli impatti complessivi che le risorse del PNRR, da poco rimodulato dal Governo, avranno sulla crescita dell’economia, perché mancano informazioni proprio su vari aspetti della rimodulazione, la spinta al PIL di una piena attuazione del Piano sarà in ogni caso molto forte, determinante per tenere alta la crescita italiana.

Vari fattori frenano la crescita. A fronte di questi due potenti stimoli alla crescita ci sono viceversa vari fattori che tenderanno a frenare il PIL italiano nel biennio. L’effetto

netto è atteso essere comunque positivo. Ma chiaramente ciò significa anche che ci sarebbe spazio nel 2024-2025 per una crescita economica ancora più forte di quella oggi prevedibile.

Primo freno, il costo dell’elettricità pagato dalle imprese resta più alto in Italia rispetto ai principali paesi UE e anche rispetto agli altri grandi competitor internazionali come USA e Giappone. Tutto ciò crea uno svantaggio competitivo per le imprese italiane: una riforma del mercato elettrico e una maggiore quota di rinnovabili nella generazione elettrica, visto che oggi hanno costi inferiori alle fonti fossili, potrebbero attenuare i costi dell’energia in Italia e ridurre (sebbene non eliminare) la dipendenza estera.

Secondo freno, il graduale phase out del Superbonus, già in scadenza a fine 2023 in termini di aliquota al 110%, e degli altri incentivi all’edilizia. Le costruzioni ad uso residenziale, in termini di valore aggiunto e quindi di contributo al PIL, dovrebbero risentire fortemente di tale prevista riduzione degli incentivi, già nel 2024 e in misura ancora maggiore nel 2025. La manifattura non dovrebbe risentirne molto. È chiaro che parte della crescita del PIL negli anni scorsi è attribuibile agli impatti del Superbonus, 2,4 punti percentuali in 4 anni.

Terzo, le strozzature mondiali nei trasporti e il loro impatto negativo per l’industria italiana.  Il tema della sicurezza dei trasporti non riguarda solo il Mar Rosso, snodo cruciale dello scambio di merci tra Europa ed Asia, ma anche numerose altre fragilità lungo le rotte internazionali di trasporto, per esempio nello stretto di Malacca (in Asia) e nel canale di Panama (in America). In Italia, più della metà dei volumi di merci in entrata arriva via mare e le navi trasportano il 42% delle quantità esportate. Diverse criticità, inoltre, si hanno anche nelle rotte regionali dei trasporti, che sono per lo più via terra: per l’Italia in particolare lungo l’arco alpino, per le connessioni con gli altri

paesi UE. A proposito della crisi nel Mar Rosso, in particolare, l’impatto dei recenti aumenti dei costi di trasporto marittimi, più che raddoppiati, sui prezzi alla produzione dell’industria italiana è stimato complessivamente moderato, ma è forte in specifici settori come la chimica, la metallurgia, la carta.

Entrando nei diversi capitoli delle previsioni, si evidenzia che gli investimenti fissi sono attesi in modesta crescita, +1,0% in media nel 2024 e +0,7% nel 2025, un ritmo molto ridimensionato rispetto allo scorso anno (+4,7% nel 2023) e ancor più rispetto al biennio post-pandemia (+20,3% nel 2021 e +8,6% nel 2022), che hanno rappresentato un unicum rispetto agli altri principali paesi europei. Nel 2024-2025, comunque,

diversi fattori agiranno a supporto della dinamica degli investimenti: quelli pubblici continueranno a crescere a ritmi elevati grazie all’attuazione dei progetti del PNRR; che dovrebbero far crescere anche la spesa in fabbricati non residenziali; quelli in impianti e macchinari, soprattutto, saranno spinti dal taglio dei tassi di interesse; e anche dal fatto che le imprese, dopo la fase di attesa in corso, potranno utilizzare i nuovi programmi di incentivazione (Transizione 5.0)

Nello scenario previsivo, le esportazioni italiane di beni e servizi, dopo la quasi stagnazione del 2023 in cui comunque sono cresciute più del commercio mondiale, torneranno a crescere nel biennio a un ritmo più marcato (+2,2% e +2,5%), poco sopra il commercio mondiale, sebbene ancora inferiore a quello messo a segno nel 2021 e 2022.

L’occupazione, misurata in termini di unità equivalenti a tempo pieno (ULA), avanzerà nell’orizzonte previsivo a un ritmo di poco inferiore a quello del PIL: +0,7% nel 2024 e +1,0% nel 2025. La recente buona performance dell’occupazione ha permesso un rientro del tasso di disoccupazione, sceso al 7,4% a inizio 2024 dal picco del 10,2% nella primavera 2021. Tasso che è previsto calare nel 2025 al 7,1%, grazie ad un’occupazione in ulteriore aumento e una forza lavoro che continuerà ad avanzare ma a ritmo contenuto. Da notare che è in atto una ricomposizione della forza lavoro in cui l’industria perde lavoratori a vantaggio dei servizi; crescono dal 2015 i lavoratori dipendenti mentre si riducono gli indipendenti che rimangono comunque sopra la media europea. In forte crescita negli ultimi anni anche il tasso di occupazione dei giovani ma un forte contributo viene dalla riduzione della popolazione, più che dal maggiore impiego dei giovani.

L’aggiustamento dei conti pubblici. La stima del deficit pubblico nel 2023 è stata di recente fortemente rivista al rialzo dall’Istat, al 7,2% del PIL dal 5,3% previsto nella NaDEF di settembre scorso. La revisione è legata a modifiche nel trattamento contabile delle risorse mobilitate dal Superbonus e da Transizione 4.0. Nello scenario previsivo, il rientro del deficit sarà consistente nel 2024, arrivando al 4,4% del PIL, più lento nel 2025, al 3,9%. Ciò grazie a una dinamica positiva delle entrate e al graduale venir meno degli incentivi all’edilizia.

Il debito pubblico italiano è stimato in risalita al 139,1% del PIL nel 2024, ovvero +1,8 punti di PIL in più rispetto al 2023, e nel 2025 è previsto continuare a salire di altri 2,0 punti, al 141,1. Questo per effetto di due fattori: la differenza tra costo medio del debito e crescita nominale torna ad essere positiva; c’è un effetto sfavorevole di riclassificazione contabile relativo, come detto, ad alcune agevolazioni fiscali (Superbonus e Transizione 4.0).

Sui conti pubblici tornano operative quest’anno le regole del Patto di Stabilità e Crescita che, largamente modificate e per lo più in meglio, richiederanno all’Italia e a diversi altri paesi UE interventi per migliorare deficit e debito, per riportarli verso i parametri fissati che, in sintesi, richiedono un indebitamento stabilmente e significativamente sotto al 3%. 

In uno scenario globale, nel biennio di previsione l’economia si manterrà su un sentiero di espansione anche se a ritmi moderati. La crescita sarà sostenuta dalle economie emergenti, in lieve accelerazione, da quella USA, che non ha risentito degli alti tassi, ma è prevista in graduale rallentamento anche per l’aumento dell’incertezza connessa alle elezioni presidenziali, e solo nel 2025 da una migliore dinamica nell’Eurozona che quest’anno rimarrà ancora sui ritmi del 2023. Esistono, tuttavia, significativi rischi al ribasso, che riguardano un aumento delle tensioni geopolitiche, un’escalation dei conflitti militari in atto e ulteriori interruzioni nelle catene globali di fornitura, soprattutto nei trasporti internazionali. In positivo, invece, potrebbero sorprendere una possibile tenuta del robusto ritmo di crescita degli Stati Uniti e una ripartenza più veloce dell’economia europea, a partire da quella tedesca, soprattutto nel caso di un rientro dei tassi più rapido dell’atteso.


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