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La Via della Seta è un’opportunità, ma serve molta prudenza

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La Via della Seta è un’opportunità, ma serve molta prudenza

13 marzo 2019 | Affari Internazionali, Direttore Generale

La Via della Seta è affare serio, con le dovute precauzioni può essere anche un’opportunità.

Le imprese italiane hanno preso molto seriamente la questione della partecipazione italiana alla Belt and Road Initiative (Bri), il piano infrastrutturale terrestre e marittimo della Cina di Xi Jinping.

Oggi in una intervista su Formiche, il Direttore generale Marcella Panucci spiega perché dire di sì a Pechino non è una follia. Con tutte le accortezze del caso e senza strappi con gli Usa, che sono e restano nostri alleati, il gioco può riuscire.

Con le dovute precauzioni un’apertura alla Cina è possibile, forse doverosa visto che l’economia italiana alle porte della recessione è ancora a trazione export. A patto che il tutto sia gestito con grande attenzione a tutti gli aspetti che caratterizzano questa complessa fase delle relazioni internazionali.

La preoccupazione degli Stati Uniti sembra riguardi in via prioritaria il possibile accordo sulla tecnologia 5G. Ma il Governo ha opportunamente smentito che tra i capitoli del Memorandum ci siano quelli telefonia mobile e, più in generale, delle telecomunicazioni.

Ma è chiaro che gli Stati Uniti, che in questa fase hanno un confronto piuttosto duro con la Cina, si preoccupino di eventuali aperture ingiustificate da parte di altri Paesi. Noi però confidiamo che il Governo ne sia consapevole e abbia ben presente gli aspetti di sicurezza nazionale su cui bisogna essere estremamente attenti.

La Via della Seta, come la intendono le imprese, dovrà servire soprattutto a portare in Cina i prodotti italiani per equilibrare i flussi commerciali che oggi sono a noi sfavorevoli. Si tratta di una grande infrastruttura che l’Italia, ma anche l’Europa, dovranno utilizzare per connettersi al gigante economico asiatico e favorire intese commerciali mutualmente vantaggiose.

Un altro obiettivo importante è quello di aumentare le forniture delle imprese italiane nei Paesi terzi attraversati dalla Belt and Road Initiative. Tutto ciò, chiaramente, nell’interesse nazionale e nel pieno rispetto della politica commerciale della UE.

Al riguardo, non basterà evidentemente un Memorandum of Understanding bilaterale: sarà necessaria una strategia di promozione accurata e condivisa con il sistema delle imprese, perché sono loro gli attori che operano sul mercato e che possono fornire le indicazioni migliori. Il MoU deve favorire le produzioni italiane soprattutto in termini di sveltimento dei traffici attraverso i Paesi che ci collegano alla Cina.

È chiaro che un’iniziativa del genere non potrà avvenire senza coinvolgere nella decisione l’Unione europea e i nostri principali partner. 

Per quanto riguarda il rischio per il know how delle imprese italiane, l’Italia ha una buona disciplina del Golden power (la norma che consente allo Stato di bloccare scalate ostili da parte di istituzioni estere) che però va attuata con riferimento alla individuazione degli asset strategici. In aggiunta serve uno strumento europeo. Ci auguriamo pertanto che il nostro governo contribuisca costruttivamente alla definizione del regolamento UE sullo screen degli investimenti diretti esteri.


 


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