Le sfide della politica economica - settembre 2015

Scenari economici

Durante l’estate lo scenario economico è mutato.

Il cambiamento è avvenuto nel solco delle tendenze già emerse ed evidenziate nel corso dei mesi precedenti. È stato nell’intensità dei movimenti, non nella loro direzione.

Nel complesso risulta più favorevole all’economia italiana, seppure in misura marginale rispetto a quanto già chiaro e consolidato. Le modifiche intervenute rafforzano il quadro che si era delineato e fanno rivedere al rialzo le previsioni del CSC.

Le principali variazioni sono tre: la frenata del commercio mondiale più marcata, che deriva da una performance dei paesi emergenti peggiore delle attese; la nuova flessione del prezzo del petrolio; la dinamica dell’attività economica in Italia superiore a quanto inizialmente indicato.

Spicca il caso della Cina. Una serie di dati negativi e lo scoppio della bolla azionaria hanno focalizzato l’attenzione sui problemi cinesi e sulla capacità delle autorità di quel paese di pilotare, senza inciampi, il passaggio dalla crescita trainata da investimenti ed esportazioni allo sviluppo basato sui consumi.

Altri fattori di rischio al ribasso per l’economia mondiale sono costituiti dall’evoluzione politica greca e dalla tempistica e dall’entità del rialzo dei tassi da parte della FED. Appare mitigato, invece, il pericolo di un’escalation nel confronto armato tra Russia e Ucraina. Mentre la deflazione rimane la vera minaccia incombente perché è alimentata dall’eccesso di risparmio mondiale e dalla sovra capacità produttiva in una molteplicità di settori.

Nel nuovo scenario del CSC il prezzo del greggio è posto a 54 US$ nel 2015 (da 62 proiettato in giugno) e 51 US$ nel 2016 (da 70). Quest’ultimo livello implica un incremento rispetto agli attuali valori di mercato.

Le altre principali variabili che formano il contesto esterno non sono mutate significativamente da tre mesi a questa parte. Il cambio dell’euro oscilla attorno a 1,12 contro il dollaro USA; assieme alla moneta americana, si è un po’ apprezzato contro le valute degli emergenti. I tassi di interesse rimangono ai minimi storici.

Nell’insieme, le variazioni intervenute nel quadro internazionale limano impercettibilmente il PIL dell’Italia quest’anno e lo alzano dello 0,2% il prossimo. Nel frattempo le nuove misurazioni dei conti nazionali e del mercato del lavoro italiani ci hanno consegnato un’economia che nel primo semestre 2015 è stata un po’ più brillante di quanto descritto in precedenza ma più in linea con le informazioni qualitative, i potenti impulsi esterni e le valutazioni del CSC.

Il PIL è salito a un ritmo annualizzato di quasi l’1,5% e l’occupazione, tra febbraio e luglio, è aumentata in presa diretta con l’attività economica. I miglioramenti dell’uno si ripercuotono sull’altra, e viceversa, in un circolo virtuoso che sostiene i redditi e diffonde la fiducia. 

Rimangono lontanissimi i livelli del 2007. Il PIL è dell’8,9% sotto il picco pre-crisi. Le persone impiegate sono oltre 720mila in meno ed è raddoppiato, a quasi otto milioni, il numero di quelli a cui manca lavoro, del tutto o in parte.

Comunque, l’aggiornamento delle statistiche aggiunge uno 0,2% alla previsione del prodotto italiano per quest’anno, a parità di profilo nel resto del 2015. Il CSC mantiene, infatti, invariate le proiezioni di accelerazione elaborate a giugno sul resto del 2015. Ci sono buone ragioni per pensare che essa sia in corso e sia guidata dalla domanda interna e dai servizi.

Le nuove previsioni CSC sul PIL italiano sono +1,0% nel 2015 e +1,5% nel 2016. Nel biennio avverrà la creazione di 494mila posti di lavoro.

Le previsioni continuano a essere prudenti alla luce del potenziale effetto complessivo sull’economia del Paese dei bassi livelli dei tassi di interesse, del cambio dell’euro e del prezzo del petrolio e della riaccelerazione del commercio mondiale (l’anno venturo). L’effetto è quantificabile in +1,8 punti percentuali quest’anno e +1,2 punti il prossimo. In totale sono 3,0 punti, che si confrontano con i 2,5 punti dell’incremento cumulato previsto per il PIL.

Si tratta, come spiegato più volte, di spinte una tantum. Il loro beneficio congiunturale si esaurirà nell’arco di un paio di anni. Inoltre, il vantaggio che ne deriva non modifica la reale posizione competitiva del Paese perché ne godono tutte le nazioni dell’Eurozona, sebbene in modo asimmetrico in funzione della dipendenza dal petrolio, del grado di apertura verso l’estero e del livello del debito totale in ciascuna economia.

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