La risalita modesta e i rischi di instabilità

Scenari economici

Nello scenario globale la matassa dell’incertezza si è ancor più ingarbugliata. 

Agli alti rischi economici, acuiti dalle lunghe code della crisi, si sono sommati i ben più minacciosi e incombenti rischi di instabilità politica.

Le sofferenze sociali derivanti da disoccupazione e impoverimento e la mancanza di risposte appropriate hanno fatto riemergere nei paesi avanzati (soprattutto europei) pulsioni profonde di xenofobia e nazionalismo.

L’Italia appare come una piccola nave (con nocchiero) in un mare in gran tempesta. E con importanti riparazioni in corso mentre deve proseguire la navigazione.

Nello scenario ordinario prosegue, benché azzoppata dalla Brexit, la modesta risalita del PIL, cominciata al principio del 2015, e dell’occupazione. Neppure questo risultato può essere, però, dato per scontato.

Il passaggio chiave è costituito dal referendum in autunno sulla nuova Costituzione. La vittoria del fronte del “No” avrebbe pesanti ripercussioni economiche.

Secondo le stime del CSC, il costo per l’Italia della Brexit si traduce, nel biennio 2016-17, in 0,6 punti di PIL, 81mila unità di occupazione, 154 euro di reddito pro-capite e 113mila poveri. Ma sono stime prudenziali, che non incorporano alcune variabili qualitative, e il bilancio finale potrebbe risultare peggiore.

Le nuove previsioni CSC sul PIL italiano sono di +0,8% nel 2016 e +0,6% nel 2017. Nel biennio sarà creata occupazione per 250mila unità di lavoro, che portano a +650mila il totale da quando sono ricominciate ad aumentare; ne mancheranno ancora 1,37 milioni per colmare la voragine causata dalla crisi.

Questi risultati positivi, ma certo non entusiasmanti, sarebbero del tutto compromessi dalle conseguenze della bocciatura della riforma costituzionale al referendum confermativo.

Il CSC ha delineato uno scenario alternativo che parte da tale responso delle urne. Rispetto alle tendenze in atto, l’economia italiana perderebbe in tre anni 4 punti percentuali di PIL, 17 punti di investimenti e quasi 600mila unità di lavoro; nel 2019 il debito pubblico sfonderebbe quota 144% del PIL.  

Il reddito pro-capite diminuirebbe cumulativamente di 590 euro e ci sarebbero 430mila poveri in più. Si tratta di calcoli conservativi, che largamente sottostimano i veri effetti che si materializzerebbero.

Il Paese, già estremamente provato, dovrebbe fronteggiare una nuova grave emergenza economico-sociale, con inevitabili spinte verso soluzioni populistiche.

Proprio perché fuori minaccia tempesta, l’Italia dovrebbe puntare ad attrezzarsi e a diventare più solida, anziché confermare le proprie storiche debolezze.

Per approfondire, scarica le slide proiettate nel corso della presentazione del Rapporto dal direttore del Centro Studi Luca Paolazzi.

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