L’economia della terza età: consumi, ricchezza e nuove opportunità per le imprese

Note dal CSC

di Massimo Rodà e Francesca G.M. Sica

  • La dinamica demografica è una delle sfide globali più importanti, insieme a quella ambientale. Negli ultimi decenni la popolazione mondiale è cresciuta rapidamente, è divenuta più longeva ed è aumentata la disuguaglianza tra le diverse fasce di età.
  • Nel 2018 la popolazione mondale ha raggiunto i 7,6 miliardi di persone. L’80% degli over 65 vive nelle 20 economie maggiormente sviluppate che producono l’85% del PIL mondiale. Entro il 2030 ci saranno circa 8,5 miliardi di persone e l’età mediana raggiungerà i 33 anni, dai 30 anni del 2018 (24 anni nel 1950, stime Banca mondiale). Il numero degli over 65 da 674 milioni nel 2018 raggiungerà nel 2030 il miliardo, vale a dire oltre 1 over 65 ogni 10 abitanti.
  • L’Italia si caratterizza per avere una popolazione mediamente molto longeva (81 anni gli uomini e 85 le donne) e con una quota di over 65 tra le più alte al mondo: nel 2018 erano 13,6 milioni (22,8% del totale), in aumento dell’11% dal 2012. Sono previsti crescere ininterrottamente fino al 2047, quando saranno quasi 20 milioni (34%). Nel 2018 l’indice di vecchiaia ha raggiunto il suo massimo storico di 173,1: ogni 100 giovani ci sono dunque 173 anziani; erano 130 nel 2000 e 58 nel 1980. L’indice di dipendenza degli anziani ha raggiunto il 35,7%, ciò significa che in Italia ogni 3 persone attive ve n’é 1 over 65. Si tratta del valore più elevato in Europa (31%) e il secondo al mondo dopo il Giappone (46%).
  • Tradizionalmente il perimetro della cosiddetta Silver Economy è identificato dalla quota di spesa pubblica per il capitolo “vecchiaia” (che vale circa il 27% del totale). Ma non si tiene conto della spesa privata per domanda di servizi domestici di assistenza e cura che è a carico delle famiglie e che da occupazione a circa 1,6 milioni di persone (nella veste di badanti e personale domestico). In realtà gli ambiti che compongono l’economia della terza età sono più numerosi e rappresentano una fonte importante di domanda potenziale e quindi un’opportunità per il sistema economico.
  • Gli over 65 si caratterizzano per: un consumo pro-capite medio annuo più elevato, 15,7mila euro (contro i 12,5 per gli under 35); un reddito medio più alto, 20mila euro (a fronte di 16mila degli under 35); una maggiore ricchezza reale pro-capite, 232mila euro (vs 110mila); una solidità finanziaria superiore, con 1 anziano su 10 indebitato (a fronte di quasi 1 su 3 tra gli under 40); un’incidenza della povertà inferiore della metà rispetto agli under 35 (13% vs 30%); una resilienza al ciclo economico in quanto il reddito medio annuo degli over 65, tra le diverse fasce d’età, è l’unico ad avere superato i livelli pre-crisi.
  • La domanda generata direttamente dagli over 65 in Italia è rilevante: in euro correnti, il valore complessivo della spesa realizzata da questa fascia della popolazione è di circa 200 miliardi di euro, quasi un quinto dell’intero ammontare dei consumi delle famiglie residenti. Si stima che nel 2030 la quota varrà circa il 25% del totale e nel 2050 il 30%.
  • Gli anziani in salute rappresentano un segmento di consumatori appetibile per le imprese. Diverse aziende stanno ritarando i propri prodotti, beni o servizi, a misura di anziano. Il punto cruciale, dunque, non è tanto invecchiare, ma invecchiare “bene”. In Italia, da questo punto di vista la situazione è favorevole: l’indicatore “speranza di vita a 65 anni” è di 21 anni, mentre secondo quello “senza limitazioni nelle attività”, un sessantacinquenne avrebbe in media davanti a sé 9,9 anni di vita in salute.


Introduzione

Negli ultimi decenni si stanno verificando a livello globale significativi cambiamenti demografici - lenti ma costanti - che stanno portando a un graduale invecchiamento della popolazione.

Accanto a fattori che sicuramente incidono negativamente sulle dinamiche economiche e sociali, tra cui l’aumento dei costi sanitari, la carenza di profili professionali e di servizi finanziari per gli anziani, le difficoltà nel rendere sostenibili i sistemi pensionistici, la Silver Economy offre importanti potenzialità, in termini di erogazione di servizi sanitari (la c.d. Long Term Care, ovvero le prestazioni per la non autosufficienza, dall’assistenza alle residenze per anziani), di offerta di beni e servizi per la terza età; che spaziano dai servizi residenziali a quelli culturali e ricreativi, ai viaggi e turismo, domotica, alimentazione. Varie multinazionali stanno cercando di diversificare i loro prodotti per “tararli” a misura di anziano al fine di intercettare il potenziale economico derivante dalla popolazione anziana che non solo dispone di una capacità di spesa pro capite più elevata ma anche relativamente più stabile rispetto al ciclo economico nel confronto con gli under 40 anni. In termini monetari, il valore generato dalla c.d. Silver Economy è stato stimato in 7,6 mila miliardi di dollari l’anno negli USA ma a livello globale l’ammontare sarebbe di 15,6mila miliardi, un ordine di grandezza tale da rappresentare la seconda “potenza economica” dopo gli USA e prima della Cina.

Perché sta invecchiando la popolazione? Tale fenomeno è il risultato di una caduta a lungo termine dei tassi di fertilità e di un aumento dell'aspettativa di vita (longevità); quest'ultimo effetto riflette diversi fattori, quali la riduzione della mortalità infantile, i progressi nella sanità pubblica e nelle tecnologie mediche, una maggiore consapevolezza dei benefici collegati a uno stile di vita sano, l’allontanamento dal lavoro faticoso a favore di professioni terziarie, il miglioramento delle condizioni di vita.

La questione dell’invecchiamento è stata messa in agenda dal summit 2019 del G8 a Osaka che l’ha definita, per la prima volta nella storia, un rischio globale. Ma perché mai i grandi della terra dovrebbero occuparsi di demografia e non di economia? Per il fatto che l’80% delle persone al di sopra dei 65 anni vive nelle 20 economie maggiormente sviluppate che insieme producono l’85% del PIL mondiale e, più degli altri, potrebbero beneficiare del “dividendo demografico” generato dai paesi emergenti. In questi ultimi, al contrario, va “infoltendosi” la coorte in piena età lavorativa (30-55 anni) ad un ritmo superiore rispetto alla capacità del sistema economico locale di creare posti di lavoro e, pertanto, non viene assorbita dal mercato del lavoro.

Secondo le ultime proiezioni della Banca mondiale, entro il 2030 la popolazione mondiale supererà gli 8,5 miliardi (7,6 nel 2018) mentre l’età mediana raggiungerà i 33 anni dai 30 anni raggiunti nel 2018 (era 24 nel 1950).

Tali sviluppi avranno implicazioni profonde non solo per gli individui ma anche per i governi, le imprese e la società civile. L’impatto riguarderà, tra gli altri, la salute e i sistemi di assistenza sociale, il mercato del lavoro, le finanze pubbliche e i sistemi pensionistici.

L’Italia è uno dei paesi al mondo con la più elevata vita mediana (45,5 anni) e una significativa quota di anziani sul totale della popolazione (23%). Le previsioni sull’andamento demografico evidenziano un rafforzamento di tale tendenza e la conseguente necessità - per i governi e per il sistema economico - di fare fronte a nuove importanti sfide e opportunità.

 

1. La piramide demografica in Italia e l’evoluzione degli indicatori di invecchiamento

La dimensione di una popolazione e la sua composizione per età sono influenzati dall’effetto congiunto di natalità, mortalità e migrazioni. La popolazione per età puntuali o classi di età, se rappresentata graficamente, si distribuisce secondo una forma di una piramide (la cosiddetta piramide demografica) nella quale ogni barra misura la numerosità associata ad una determinata età o classe di età in valore assoluto o in percentuale della popolazione totale.

La forma della distribuzione della popolazione italiana è lontana da quella classica a piramide, in quanto in Italia la popolazione non si distribuisce in maniera uniformemente decrescente al crescere dell’età, come invece accade per la popolazione mondiale (Figura A) dove prevale l’effetto dei paesi emergenti, caratterizzati da un alto tasso di natalità che assicura il ricambio generazionale. Nel 2018 la distribuzione per età assume in Italia una forma romboidale: stretta alla base in corrispondenza di età “basse” e larga sia nella parte centrale sia all’apice dove ci sono età “alte”. L’allargamento all’apice è spiegato dal transito delle generazioni nate negli anni del baby boom (1961-75) verso la tarda età attiva (40-64 anni) e verso l’età senile (65 e più), mentre il restringimento della parte inferiore è causato dal basso tasso di natalità. Su quest’ultimo aspetto tutti gli scenari previsivi (Figura B) circa il movimento naturale della popolazione scontano saldi negativi annuali tra nascite e decessi. Anche assumendo l’ipotesi di un parziale recupero della fecondità (da 1,29 figli per donna nel 2018 a 1,59 entro il 2065) non basterà a determinare un numero di nati che risulti, anno dopo anno, sufficiente a compensare l’aumentato numero di morti.

Grafico La piramide demografica in Italia e nel mondo - Nota dal CSC silver economy

Grafico Dinamica della popolazione italiana > 65 anni - Nota dal CSC Silver economy

Nel 2018 il saldo naturale, ovvero la differenza tra nati e morti, è risultato negativo (-187mila), registrando il secondo livello più basso nella storia dopo quello del 2017 (-191mila). Di conseguenza, la distribuzione della popolazione dell’Italia al 2030 si discosterà ancora dalla classica “piramide” che caratterizza la struttura demografica dei paesi in via di sviluppo o delle economie emergenti: si restringerà ancora la base a causa della bassa natalità e si amplierà il vertice a causa dell’invecchiamento.

In Italia nel 2018 la popolazione con età superiore a 65 anni era pari a 13,6 milioni di persone (22,8% del totale), in aumento dell’11% rispetto al 2012. In particolare la fascia dei più anziani, gli over 80, è molto numerosa (circa 4,2 milioni di individui) e rappresenta il 7% della popolazione italiana. Per l’Italia le proiezioni circa la composizione della popolazione sono allarmanti, posto che le coorti di età avanzata si infoltiranno ulteriormente mentre quelle giovani si svuoteranno, aumentando il peso della popolazione inattiva su quella in età lavorativa, prevista anch’essa, a sua volta, in sensibile riduzione.

In particolare, il numero di over 65 è previsto aumentare ininterrottamente fino al 2047, quando sarà pari a quasi 20 milioni di persone, e negli anni successivi è stimata ripiegare marginalmente fino a raggiungere nel 2066 i 17,8 milioni. La quota sul totale della popolazione nazionale è vista in aumento fino al 2050 e poi stabilizzarsi intorno al 34%.

Sebbene il catastrofismo demografico sia stato regolarmente smentito in passato, è evidente che le previsioni sulla popolazione traccino comunque una tendenza che, stando a quanto oggi si va osservando, difficilmente verrà invertita a meno che non vengano implementate politiche mirate. Ad oggi, infatti, le statistiche ufficiali rilevano che l’indice di vecchiaia, calcolato come rapporto tra over 65 e popolazione giovane (under 14), nel 2018 ha raggiunto il massimo storico di 173,1. Ciò significa che in Italia ogni 100 giovani ci sono 173 anziani; nel 2000 erano 130, mentre nel 1980 il rapporto era intorno a 58, segnalando una situazione inversa, vale a dire una prevalenza di giovani sugli anziani (ogni cento giovani vi erano 58 anziani). La dinamica progressivamente crescente dell’invecchiamento è spiegata da due tendenze contrapposte: da una parte si è avuto un aumento pressoché costante della quota di anziani e, dall’altra, una contestuale diminuzione della fascia più giovane di popolazione.

Il fenomeno dell’invecchiamento è rilevante non solo per le conseguenze sociali ma anche per quelle economiche in termini di spesa pensionistica e sanitaria e di sostenibilità del sistema pensionistico. In Italia, infatti, l’indice di dipendenza degli anziani nel 2019 è salito a 35,7%, il valore più elevato in Europa (nella media UE è pari a 30,5%) e il secondo al mondo dopo quello del Giappone (46%). L’indice, calcolato come rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età attiva (15-64) segnala nel caso dell’Italia che ogni 3 persone di età 15-64 potenzialmente attive nel mercato del lavoro (in qualità di occupati o di persone in cerca di lavoro) ve n’è 1 considerata inattiva perché ha un’età superiore ai 65 anni (Figura C).

Grafico Le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione in Italia - Nota dal CSC Silver economy

Sul saldo naturale della popolazione influisce anche il saldo migratorio, cioè la differenza tra immigrati ed emigrati. Sulla base delle stime ISTAT circa il futuro demografico del nostro Paese, un contributo determinante verrà dalle migrazioni con l’estero: l’effetto addizionale del saldo migratorio sulla dinamica di nascite e decessi comporterà 2,6 milioni di residenti aggiuntivi nel corso dell’intero periodo previsivo.

Il nostro Paese, come in molti altri ambiti, anche con riferimento alla demografia - e in particolare all’invecchiamento - mostra una forte eterogeneità territoriale, attuale e prospettica.

Incrociando l’ultimo dato disponibile sull’incidenza della popolazione over 65 con l’indice di vecchiaia previsto per il 2030 da ISTAT, si rilevano infatti forti disparità a livello territoriale (Figura D). La maggior parte delle regioni - in particolare Liguria e Sardegna - mostrano una dinamica degli over 65 superiore a quella media nazionale (la linea orizzontale) cui si associa un incremento dell’indice di vecchiaia previsto al 2030 più elevato della media Italia (linea verticale).

Grafico Indicatori di invecchiamento per regione, storici e previsti al 2030 - Nota dal CSC Silver economy

2. L’approccio tradizionale alla “Silver Economy”: dalla spesa pubblica per pensioni ...

Tutti gli aspetti legati all’invecchiamento della popolazione italiana sono tradizionalmente trattati dal lato dei costi, assumendo implicitamente che il fenomeno si configuri come un peso per la collettività. In effetti, una grossa fetta della spesa pubblica è destinata al capitolo “vecchiaia” (“old age”), secondo la classificazione per funzioni COFOG condivisa a livello internazionale. Nel 2017 la quota di spesa pubblica dedicata alle pensioni di anzianità ha raggiunto il 27,4% del totale (Figura E), pari a 230 miliardi di euro (15% del PIL), a fronte di una media nell’Area euro del 23% (12,4% del PIL).

Grafico Spesa pubblica per funzioni e incidenza della spesa per il capitolo "vecchiaia" - Nota dal CSC Silver economy

Il sistema pensionistico italiano è finanziato con un’aliquota di scopo, i “contributi previdenziali”, nella misura del 33% da applicare sulle retribuzioni lorde annue per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, del 24% per artigiani, commercianti e imprenditori agricoli e del 32% per i parasubordinati. Sulla base dei dati Inps il numero di pensionati nel 2017 ha raggiunto i 16.041.852 a fronte di 23.022.959 di occupati: il rapporto pensionati/occupati ha così toccato il livello di 1,435 attivi per pensionato (1,417 nel 2016), prossimo all’1,5, il valore indicato come soglia necessaria per la stabilità di medio-lungo termine del sistema.

Il rapporto tra occupati e pensionati è, infatti, il dato da monitorare per la tenuta del nostro sistema pensionistico, che funziona secondo lo schema della “ripartizione” e prevede che i contributi ricevuti in un determinato anno siano utilizzati interamente per erogare i trattamenti pensionistici dello stesso anno. Tuttavia, l'importo delle prestazioni erogate in favore dei pensionati supera i contributi ricevuti dall'Inps e ciò determina uno squilibrio strutturale.

L'invecchiamento demografico è una delle cause di questo sbilanciamento. Esso implica che le prestazioni pensionistiche debbano essere pagate per un periodo temporale più lungo rispetto al passato, a causa dell'allungamento della vita media della popolazione, cui non ha fatto da contrappeso un aumento dell'occupazione e, quindi, un incremento della contribuzione versata dai lavoratori.

La composizione della spesa pubblica per funzioni appare coerente con il modello del ciclo vitale. Questa teoria economica aiuta ad analizzare come gli individui tendano a massimizzare il proprio benessere rimodulando i comportamenti in termini di reddito da lavoro, di ricchezza e di risparmio, al fine di mantenere costante il livello del consumo nel corso dell’intera vita.

Un profilo intertemporale costante dei consumi (il consumption smoothing) si consegue accumulando dapprima risparmio durante gli anni lavorativi e utilizzandolo successivamente per finanziare i consumi dopo l’uscita dal mercato del lavoro, nell’età della pensione.

La figura F indica l’evoluzione dei comportamenti di un individuo rappresentativo e le interazioni con gli interventi del settore pubblico finalizzati ad operare una redistribuzione attraverso i trasferimenti. Nel grafico si osservano livelli elevati di trasferimenti netti pubblici, soprattutto all'inizio e alla fine della vita (la linea rossa), spiegati principalmente dai servizi di istruzione durante l’età dell’infanzia e dalle pensioni erogate, spese per la sanità e servizi di assistenza a lungo termine in età avanzata. In media il risparmio (linea azzurra) è nullo fino alla maggiore età, mentre dai 20 anni fino a circa 45 anni è negativo (a causa dell’indebitamento dell’individuo) per poi divenire positivo dai 50 fino alla fine della vita lavorativa, anche sotto forma di investimenti in attività finanziarie. I giovani adulti, quindi, una volta entrati nel mondo del lavoro e raggiunta una stabilizzazione dell’attività, prendono in considerazione la possibilità di fare investimenti immobiliari, mobiliari o alternativi. Con l’avanzare dell’età gli individui da risparmiatori netti divengono spenditori netti durante la pensione e sono in condizione di scegliere di rivedere gli investimenti immobiliari fatti in precedenza o smobilizzare le attività finanziarie per ricavarne liquidità.

Grafico Redditi, risparmi e spesa per età - Nota dal CSC Silver economy

I dati ISTAT sul benessere equo e sostenibile dei territori (BES) contenuti nel pilastro o dominio “benessere economico”, consentono di mettere in evidenza la disomogeneità delle province italiane in termini di distribuzione delle pensioni sulla base del livello delle stesse. Tale dispersione risulta evidente nel grafico G che mette in relazione l’importo medio annuo delle pensioni erogate per provincia con la percentuale di pensionati che percepiscono una pensione lorda mensile inferiore a 500 euro. Il legame evidenziato dal diagramma a dispersione è di tipo inverso, il che significa che alle province con un importo elevato delle pensioni si associa una bassa incidenza di pensionati con pensioni basse e viceversa. Milano è la provincia che mostra al contempo un importo elevato delle pensioni e una bassa quota di pensionati con pensione “di basso importo” (al di sotto di 500 euro). All’estremo opposto, si trova Crotone dove 1 pensionato ogni 5 è “povero” e l’importo medio della pensione è al di sotto dei 14mila euro annui (Figura G).

Grafico Dualismo territoriale anche nella capacità di spesa dei pensionati - Nota dal CSC Silver economy

Infatti, in media in Italia l’importo medio annuo della pensione è pari a 18mila euro e oltre 1 pensionato su 10 percepisce una pensione di basso importo. Tuttavia, la media nazionale non dà conto della forte eterogeneità territoriale: il “campo di variazione” ottenuto come differenza tra il massimo e il minimo è pari a 8mila euro. Nel complesso, il monte pensioni ammonta a 54,6 miliardi di euro ma con un contributo del Mezzogiorno sottodimensionato (29%) rispetto alla sua “taglia” in termini di abitanti (pari al 35%), a vantaggio del Nord e del Centro che si accaparrano ciascuno il 35%.

La tendenza all’invecchiamento della popolazione pone un problema di sostenibilità della spesa pubblica nel lungo periodo. Per essere in grado di supportare una popolazione anziana sempre più numerosa e longeva sarebbe necessario un aumento del numero di persone attive nel mercato del lavoro italiano. L’uscita dal lavoro dei baby boomer  attesa nei prossimi anni potrebbe essere compensata da adeguate politiche attive del lavoro, volte ad incrementare il tasso di occupazione che risulta basso rispetto alle altre principali economie: nel 2018 la quota di occupati 15-64 sulla popolazione della stessa classe di età è risultata di poco superiore al 63%, circa dieci punti in meno rispetto alla media europea e quasi 15 punti percentuali rispetto a quella dei paesi del Nord Europa. Peraltro, anche la popolazione in età̀ lavorativa sta divenendo 

sempre più̀ anziana: la quota di individui in età̀ 15-39 anni è scesa al 26,8% del totale, quella relativa ai 40-64enni è salita al 37,2%.

Ad ogni modo, tassi d'occupazione più elevati possono concedere comunque solo un sollievo temporaneo in quanto, in una prospettiva di lungo periodo, i cambiamenti demografici in corso faranno sentire tutti i loro effetti.

 

... alla spesa privata a carico delle famiglie

L’ammontare della spesa sostenuta dalle famiglie per accudire parenti anziani può essere quantificata utilizzando il valore aggiunto generato da quelle attività che, pur essendo destinate all’uso e al consumo delle famiglie, vengono contemplate nelle statistiche ufficiali dei paesi europei, in un settore economico a sè stante, al pari delle attività di produzione di beni e servizi destinate al mercato.

Precisamente, all’interno degli schemi contabili degli istituti nazionali di statistica esiste un settore apposito che è contrassegnato con la dicitura “attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze”.

Merita di essere segnalato che la spesa delle famiglie ammonta complessivamente a 15,3 miliardi che, seppure contabilizzati come valore aggiunto figurativamente generato dalle famiglie nella veste di datori di lavoro per i servizi di badanti e colf e assimilati, sono in realtà esborsi a carico delle famiglie italiane. In aggiunta, in questa veste di datori di lavoro le famiglie creano anche occupazione: 1,5 milioni di lavoratori nel 2018 con un’incidenza sul totale degli occupati pari al 6,5%. Rispetto agli altri paesi europei, in Italia il peso di questo settore sul valore aggiunto complessivamente prodotto è dell’1,2% (0,8% nella media europea) mentre in termini di occupazione la quota percentuale supera il 6% in media (Figura H).

 Grafico Le famiglie come datori di lavoro - Nota dal CSC silver economy


3. Il perimetro largo della Silver Economy: come cambia la spesa degli anziani

Il profilo dell’italiano ultrasessantacinquenne è quello di una persona che vive in una casa di proprietà, ha mezzi economici e tempo a disposizione per aiutare anche economicamente i familiari (30% dei casi), ha una vita sociale più ricca e frequenta più spesso gli amici, fa sport (il 14,4% tra i 65 e i 74 anni), va in vacanza e si dedica sempre di più ad attività di volontariato. Genera una domanda di beni e servizi crescente, diversificata e sempre più significativa, differente da quella che le statistiche coglievano solo un decennio fa.

Dal confronto tra over 60 e under 30, emergono significative differenze nella composizione dei consumi per capitoli di spesa (Figura I).

Grafico Distribuzione della spesa tra alimentari e non - Nota dal CSC Silver economy

In particolare, i consumi degli over 60 sono più alti rispetto a quelli degli under 30 nel comparto dell’alimentazione, della casa e della salute. Rispetto a dieci anni fa gli anziani spendono di più per internet (utilizzato da quasi il 30% dei 65-74enni), per attività culturali (teatro, cinema e musei) e per la pratica sportiva. In euro correnti, il valore complessivo della spesa degli over 65 è di circa 200 miliardi di euro, circa un quinto dell’intero ammontare dei consumi delle famiglie residenti. Nel prossimo decennio la struttura dei consumi non dovrebbe cambiare in modo significativo, ma si assisterà ad un aumento della dimensione della Silver Economy sulla spesa delle famiglie residenti: sotto l’ipotesi che la propensione al consumo rimanga costante, nel 2030 la quota varrà circa il 25% del totale e nel 2050 circa il 30%.

Nel confronto europeo gli over 60 italiani spendono relativamente di meno per istruzione e per attività culturali (Figura J).

Grafico La composizione del paniere di consumi degli over 60 rispetto agli under 30 - Nota dal CSC Silver economy

I dati relativi al consumo, alla ricchezza e al reddito per tipologia familiare identificata dall’età del capofamiglia indicano che i rispettivi livelli aumentano al crescere dell’età (consumi) per poi decrescere (ricchezza) o stabilizzarsi (reddito) in corrispondenza della fascia di età più avanzata. Anche gli indicatori di povertà e fragilità finanziaria mostrano una maggiore solidità delle famiglie over 65 rispetto alle altre tipologie familiari (Figure K e L).

Grafico Consumi individuali per età e Grafico Ricchezza netta e reddito medio - Nota dal CSC Silver economy

In particolare, con riferimento alle abitazioni che insieme ai terreni compongono la ricchezza reale, la quota posseduta dagli over 65 è pari a oltre il 40% in termini sia di valore imponibile potenziale (VIP) sia di valore di mercato stimato (VSM) a fronte del 24% posseduto dagli under 35 secondo i dati pubblicati dall’ Agenzia delle entrate.

Ma come varia la propensione al consumo all’aumentare dell’età?

Stime empiriche effettuate dal Centro Studi Confindustria sui microdati tratti dall’Indagine sui consumi delle famiglie condotta dalla Banca d’Italia, mostrano che la propensione marginale al consumo decresce con l’aumentare dell’età del capofamiglia, mentre il consumo autonomo, cioè la quota parte di consumo che non dipende dal reddito e che graficamente è rappresentata dall’intercetta sull’asse delle ordinate, raggiunge un massimo nella fascia di età centrale (41-50) per poi declinare tra gli over 65 pur essendo superiore rispetto a quello che caratterizza gli under 30 (Figura M).

Grafico Consumo autonomo e propensione al consumo per fascia di età - Nota dal CSC Silver economy

Tutte le misure di povertà e di solvibilità finanziaria mostrano una incidenza più bassa tra gli individui over 65 rispetto a quelli più giovani (Figura N). In particolare, la percentuale a “rischio di povertà” tra gli over 65 anni è pari al 16%, meno della metà rispetto a quanto si rileva tra gli under 40 anni (33%). Tale risultato è in linea con quanto si osserva in media nell’Unione europea dove la quota di poveri tra gli over 65 è intorno al 15%, seppure con una forte eterogeneità tra paesi. In quelli di recente accesso come Estonia, Lettonia e Lituania, la situazione è invertita poiché l'incidenza delle persone povere tra gli anziani è superiore – quasi doppia - rispetto alla fascia di età 16-64 (40%).

Grafico Individui a rischio di povertà o finanziariamente poveri - Nota dal CSC Silver economy

Con riferimento agli individui definiti “finanziariamente poveri”, vale a dire quelli con un servizio del debito superiore al 30% del reddito disponibile sul totale degli individui della stessa fascia di età, tra gli over 65 la quota raggiunge il 35% a fronte del 57% tra i giovani.

La situazione finanziaria varia a seconda della tipologia familiare ma è nettamente più solida per i più anziani. Tra le tre tipologie familiari esaminate dalla Banca d’Italia, quella degli over 65 mostra livelli di indebitamento più bassi in tutte le forme, dai debiti per l’acquisto e la ristrutturazione della casa, al credito al consumo e allo scoperto di conto corrente fino ai debiti professionali (Figura O).

Grafico Meno indebitate le famiglie con capo famiglia over 65 - Nota dal CSC Silver economy

Quanto alla resilienza al ciclo economico, il reddito individuale annuale degli over 65 è stato solo parzialmente eroso dalla crisi iniziata nel 2008 e già nel 2016 era tornato sopra i livelli del 2006, unico tra tutte le tipologie di capofamiglia. Le altre non solo non hanno recuperato i livelli reddituali degli anni precedenti la crisi, ma oggi sono su valori di gran lunga al di sotto di quelli pre-crisi. Per gli under 40 la differenza è rilevante in quanto il reddito di questa tipologia di percettori è mediamente inferiore di un quinto rispetto a quello del 2006, mentre è di circa il 14% più basso per i capofamiglia tra i 41 e i 55 anni (Figura P).

 Grafico Resilienza del reddito al ciclo per età - Nota dal CSC Silver economy

Questioni aperte

  • Come contrastare l’indice di dipendenza degli anziani:

Posto che l’indice è il rapporto tra gli over 65 e la popolazione attiva, per ridurre il valore dell’indicatore si può agire solo sul denominatore intervenendo su più fronti:

- coorte giovane 15-24: innalzare il tasso di occupazione giovanile, che in Italia è tra i più bassi in ambito UE; per la fascia di età 15-24 anni il divario rispetto alla media UE è di quasi 18 punti percentuali: i giovani italiani occupati sono infatti il 17,7% a fronte di una media europea di 35,4% (44% nel Nord europa).

- coorte 55-64: innalzare il tasso di occupazione delle persone tra i 55 e i 64 anni che in Italia è pari al 53,7%, al di sotto della media europea (58,7) e distante dai livelli dei paesi scandinavi, dove si attesta al di sopra del 65%. Il tasso di occupazione dei lavoratori anziani è ancora relativamente basso a causa di un eccessivo ricorso ai pensionamenti anticipati e di insufficienti incentivi a prolungare la permanenza al lavoro.

- tasso di occupazione femminile, tra i più bassi in ambito europeo: 53,1% a fronte di una media europea di 67,4%. Per fare questo occorrono anche politiche volte a tutelare le lavoratrici madri che spesso, se non supportate da una rete familiare, si vedono generalmente costrette a uscire dal mercato del lavoro a causa della carenza di strutture e servizi per l’infanzia.

  • Interazione tra produttività ed età: una manodopera più anziana per via del prolungamento della vita attiva non equivale necessariamente a una minore produttività, dato l’effetto compensazione derivante dalla maggiore esperienza maturata sul campo.
  • Formazione continua: è cruciale per evitare l’obsolescenza delle competenze attraverso l’up-skilling e corsi mirati all’utilizzo più efficace delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

 

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